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Le condizioni di vita delle donne cinesi hanno cominciato a deteriorarsi con l'avvento del feudalesimo, quando, ridotte al rango subalterno, incominciarono a perdere tutte le prerogative di cui avevano goduto fino ad allora. Si ritrovarono così sottomesse a seconda del momento a tre autorità: quella del padre, del marito, del fratello maggiore in assenza del genitore, e anche del figlio in mancanza del marito.
Totalmente sottomesse all'uomo e private di tutti i diritti economici e sociali, non ricevevano nessun tipo di istruzione, dovendosi dedicare esclusivamente ai lavori domestici. A quindici anni dovevano tagliarsi i capelli e sposarsi a venti. Quando si sposavano, le donne andavano ad abitare dal marito e da quel momento era loro dovere dedicarsi alla cura dei suoceri, come prima dei genitori.
Era abbastanza comune, specie nelle classi meno abbienti, che un padre per motivi puramente economici vendesse la propria figlia ad un uomo anziano e ricco, e avere così i soldi per prendersi cura del resto della famiglia. Non era raro il caso che, per fuggire dalla miseria, fosse la ragazza stessa ad offrirsi come concubina ad un uomo molto più anziano di lei, per ottenerne favori e protezione (situazione non molto dissimile, anche se sotto un altro nome, da quelle che quasi quotidianamente le cronache nostrane ci raccontano).
È questo il destino che attende la bella e giovane Song Lian (Gong Li), una ragazza di diciannove anni di estrazione contadina, studentessa universitaria nella Cina pre-rivoluzionaria del 1920, ancora vagamente feudale.
Da bambina Song Lian, la cui famiglia è caduta in disgrazia, non sognava affatto di diventare una concubina, ma dopo la morte del padre è costretta ad abbandonare gli studi e ad accettare di diventare la quarta moglie e concubina del ricco Chen Zuoqian, un ricco signore di un'antica casata del nord della Cina.
Una scelta, la sua, quasi obbligata, per non essere costretta a vivere in miseria nella casa di una donna, la matrigna, che l'ha sempre odiata. "Ma allora sarai una concubina" le fa notare perfidamente questa. "Già, una concubina. È questa la sorte di ogni donna", replica ormai rassegnata Song Lian.
E così la sfortunata Song Lian diventa la quarta e più giovane moglie di un potente cinquantenne discendente da un'antica dinastia cinese e si trasferisce nella casa di lui, un antico palazzo retto da leggi arcaiche che assomigliano sinistramente a quelle di un lager-prigione, in una funerea clausura dove ogni gesto ha un puro valore rituale. Prima di lei ci sono altre tre mogli che vivono ciascuna in un proprio appartamento del ricco e complicato palazzo dell'agiato marito: l'anziana Yuru, che ha avuto un figlio da lui; Zhuo Yun, una donna abile e misteriosa e Mei Shan, una cantante lirica ancora molto attraente.
Catapultata in un mondo sconosciuto, in una realtà di donne sottomesse, ben presto la ragazza scopre le leggi che governano la casa del "padrone" e la triste e precaria condizione delle donne che vivono nel suo interno, intrappolate dal complesso e primitivo rituale delle "lanterne rosse", che troneggiano appese sopra le porte di ciascuno dei quattro appartamenti. Tutte aspettano con ansia l'arrivo della sera, per vedere quale delle quattro lanterne rosse verrà accesa, segno che il "signore" ha deciso con quale delle mogli desidera passare la notte. Ne derivano aspre lotte e sordidi intrighi per cercare di prevalere su ciascuna delle altre e godere così i favori del marito nei giorni seguenti.
Song Lian all'inizio non riesce a sottostare alle rigide regole che governano la casa e all'intrigata rete dei rapporti che si sono instaurati fra le mogli, fatti di ostilità, invidie, gelosie e perfidie, per riuscire a conquistare i favori del marito a discapito delle altre e avere così l'onore di accoglierlo per una notte nel suo letto, al fine di acquisire qualche ora di dominio sulle altre e godere di qualche effimero privilegio. Poi però questo torbido clima invischia sempre più la fragile Song Lian, che si trova coinvolta nel complesso degli intrighi e delle rivalità che governano quel mondo, al punto che decide di fingersi incinta, sperando così di prevalere sulle altre e diventare la favorita.
Purtroppo però non ha fatto i conti con la gelosia delle altre donne e soprattutto con quella della sua cameriera personale, che ha accarezzato, invano, il sogno di diventare lei la quarta moglie. Quando il suo inganno viene scoperto, si innesca una tragica spirale di violenza che la porterà alla pazzia.
Vincitore del Leone d'argento al Festival di Venezia del 1991, "Lanterne rosse" è un melodramma al femminile, sontuoso e sfolgorante, gelido e dolorosamente intimo, che Zhang Yimou ha messo in scena con grande raffinatezza formale da un romanzo dello scrittore cinese Su Tong.
Con questo film Yimou ancora una volta ci racconta una storia che critica direttamente il feudalesimo cinese e indirettamente la Cina contemporanea, ancora ancorata alle proprie tradizioni e ad un rigido e inviolabile codice comportamentale.
Alla sfarzosità della messa in scena, Zhang Yimou fa corrispondere una narrazione capace di sottolineare le minime sfumature psicologiche dei vari personaggi, ma anche le dinamiche dei rapporti di potere che regolano la vita all'interno dell'ovattato mondo racchiuso fra le antiche mura del labirintico palazzo.
"Lanterne rosse" è sicuramente un film appassionante e suggestivamente potente che approfitta di una storia del passato per parlare dell'oggi e costruire una poco velata critica all'opprimente potere cinese, basato su un sistema alquanto arcaico di gerarchie sociali e sessuali (il film è stato pesantemente censurato in patria) e alle sue contraddizioni nei confronti della condizione femminile. Perché Song Lian è una studentessa e la sua rivoluzione alla fine si rivela funzionale proprio a quella struttura di potere che all'inizio del film sembrava volesse mettere in discussione.
Il film diventa così una denuncia sulla perversione del potere, ridotte come sono, le donne, a vivere un percorso inarrestabile verso l'annullamento della loro personalità e la loro progressiva disumanizzazione. Ognuna di loro è lì, in quella casa, ma nessuna può essere se stessa, costretta a vivere unicamente per far piacere al signore e padrone.
"Lanterne rosse" è poi un ritratto spietato e crudele dei rapporti tra i sessi e dei rapporti di classe, guidati spesso dalle logiche di potere che si stabiliscono tra i vari personaggi. Perché a fare la differenza tra le quattro signore è proprio il potere, che ciascuna riesce a conquistare nei confronti con le altre.
Presenza incombente e onnipotente, l'uomo è il simbolo di questo potere. Potere che non ha un volto specifico (magistrale la scelta del regista di non mostrare mai il volto del signore, se non in campi lunghi o dietro veli o tende) ma può essere ovunque e chiunque, è presente anche quando è altrove.
Lo è sempre, anche se assente o invisibile, lo è quando sceglie chi sarà la sua concubina per una notte, lo è quando cela sotto buone maniere la negatività di fondo, lo è quando impone rigide regole e impartisce severe punizioni a chi ha disobbedito, lo è quando manda a morire chi gli è stata infedele.
L'atmosfera che si respira nella casa è cupa e malata, sa di dolore e sa di morte. Non potrebbe essere altrimenti, perché invalicabile è il muro delle tradizioni feudali, invalicabile è la spietata e inumana condizione femminile. Di fronte a questo annichilente potere, ogni tentativo di ribellione o di disubbidienza è destinato al fallimento. Senza una valida cultura della dignità ogni pretesa di autonomia è destinata alla sconfitta.
La regia descrive magistralmente la condizione di donne che diventano oggetti nelle mani di uomini avvezzi ad usarle per soddisfare il proprio ego e come simbolo della loro virilità.
"Lanterne rosse" diventa così un film sulla prevaricazione del potere maschile. Un potere radicato nella tradizione e regolato da un rigido e inviolabile codice comportamentale, che relega la donna al ruolo di fattrice, badando soltanto alle sue capacità di accettazione e di obbedienza al marito.
Con "Lanterne rosse" Yimou conferma le sue doti di esteta del cinema (già ampiamente espresse in altre sue opere come "Hero", "La città proibita", "La foresta dei pugnali volanti"), riuscendo ad incantare lo spettatore occidentale con il fascino della ritualità orientale, con lo splendore delle scelte cromatiche, con la ricchezza delle scenografie e dei costumi.
Al di fuori del rosso (che in Cina è il simbolo della nascita e della morte) il film è quasi tutto in bianco e nero (ad eccezione di qualche squarcio di blu e azzurro). Una scelta registica molto particolare che sottolinea l'atmosfera di morte e di estraneità che pervade l'intera pellicola e che esula da qualsiasi lettura "occidentalizzante" della storia. Così come risultano momenti di grande cinema i suoni che popolano la casa delle lanterne rosse (i canti di Mei Shan, i massaggi sonori con le palline, il suono del flauto suonato dal figlio di Yuru, la musica che risuona dopo la morte della terza signora).
Bravissima Gong Li, la quarta signora, che ci regala uno dei più bei ritratti di donna che il cinema ci abbia offerto, in un film amaro, qualunque chiave di lettura si dia al film.
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Recensione a cura di luisa75 - aggiornata al 25/07/2011 15.10.00
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