Recensione locke regia di Steven Knight USA, Gran Bretagna 2013
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Recensione locke (2013)

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locandina del film LOCKE

Immagine tratta dal film LOCKE

Immagine tratta dal film LOCKE

Immagine tratta dal film LOCKE

Immagine tratta dal film LOCKE
 

La trama di Locke si può raccontare in poche parole. Un uomo, Ivan Locke, torna a casa dal lavoro quando all'improvviso davanti ad un semaforo, appena scatta il verde, prende una decisione: non torna a casa, ma si dirige verso un luogo diverso da quello che aveva programmato. Da adesso in poi, in tempo reale, si verificheranno le conseguenze di questa decisione scandite da una serie indefinita di telefonate.
Un uomo solo dentro un’auto diretto ad un ospedale di Londra, alla vigilia di quello che è il lavoro più importante della sua vita, cioé dirigere una immensa colata di cemento (la più grande d'Europa) per la costruzione di un grandissimo complesso edilizio. In più ha promesso ai suoi due figli di arrivare in tempo a casa per guardare la partita di calcio insieme davanti alla TV. Ivan Locke è un uomo appagato e fiero del proprio lavoro che effettua con estremo scrupolo e tutt'altro che avaro di soddisfazioni, considerato il difficile compito che lo aspetta il giorno dopo, segno peraltro della grande fiducia dei suoi superiori che nutrono nei suoi confronti.
E' un uomo appagato dalla propria famiglia, con una moglie, Katrina, che ama ricambiato, e due figli di cui è orgoglioso e che non vedono l'ora del suo ritorno a casa per vedere la partita.
Perché questo improvviso e imprevedibile cambio di direzione?

Il motivo è molto semplice: circa nove mesi prima, alla conclusione di una commessa che lo aveva impegnato tre mesi lontano dalla propria famiglia, durante i festeggiamenti per la fine dei lavori alza il gomito con l'alcool come tutti gli altri, compresa la sua segretaria, Beth, che gli era stata affiancata in quel periodo. Un bicchiere tira l'altro ed entrambi finiscono completamente ubriachi a letto per una singola notte d'amore, che non mai stata lontanamente palesata sia da Ivan e Beth, per tutto il periodo precedente alla giornata fatidica. La conseguenza è che Beth è rimasta incinta ed avendo superato da poco i quarant'anni è una delle ultime occasioni per diventare madre. Informa Ivan che vuole tenere il bambino ed Ivan accetta la sua decisione. Beth non vuole essere d'intralcio alla sua vita, ma quel giorno informa Ivan che si sta recando in ospedale per partorire. Ivan decide di andare a Londra per assistere al parto.
La struttura di "Locke" è quella di un road movie, ma con nessuna interazione fisica verso l'esterno. Chiuso all'interno della sua auto, nel sovrapporsi di telefonate che si susseguono a getto continuo, si assiste alla frantumazione di una vita e del suo vissuto. Un cambiamento radicale derivato dalla forza di una scelta, la coerenza nel perseguirla e la dignità di assumersi una responsabilità. E' un road movie nei meandri della propria coscienza che non viene percepita appieno da coloro che stanno all'altro capo del telefono.

Lavoro, famiglia e Beth

Il suo diretto superiore rimane sbigottito dalla rinuncia di quella che è la più importante giornata della sua carriera, la svolta dal punto di vista professionale. E' costretto a licenziarlo, ma Ivan a sua insaputa comincia una serie di telefonate ai suoi collaboratori affinchè la colata del giorno dopo possa avvenire anche senza la sua presenza. Controlli, collaudi, permessi. Tutto deve essere a posto, perché anche se è stato licenziato vuole finire il suo lavoro nei tempi previsti. Più che non attribuire i meriti a colui che lo sostituirà, non vuole scaricare la responsabilità ai suoi collaboratori di un eventuale fallimento. Finire questo lavoro è soprattutto un dovere etico e morale. Le telefonate lavorative si intersecano a quelle dirette alla sua famiglia e a Beth in ospedale. Prova a tergiversare sul ritardo con sua moglie Katrina, ma poi le confessa il suo errore di una notte con una donna che non ama. Chiede il suo perdono ma non lo ottiene. Katrina vuole che torni a casa, ma lui rifiuta perché deve sostenere una donna che partorirà suo figlio. Il risultato è catastrofico tanto da essere sbattuto fuori di casa.
Beth rivela fin da subito la sua estrema fragilità interiore che viene acuita dalle difficoltà di un parto prematuro e non privo di rischi. Una volta saputo del suo arrivo, Beth comincia a tartassare Ivan di telefonate, il quale si rende conto che la donna deve essere rincuorata e sostenuta. Ad infermieri e medici non nasconde la verità: non è né il marito, né il compagno di Beth, ma è il padre del bambino che sta per nascere. Non nasconde nemmeno la verità a Beth. Non la ama, non l'ha mai amata, tantomeno la amerà malgrado la nascita di suo figlio. Lui ama sua moglie e i suoi figli e nulla cambierà nei suoi sentimenti. Ma vuole essere lì per suo figlio che sta per venire al mondo, vuole occuparsi di lui. Non vuole che rimanga senza un padre.
E' sorprendente vedere come il personaggio di Ivan Locke, con l'incedere in tempo reale, acquisisca maggiore forza, mentre i suoi interlocutori mostrino tutte le loro debolezze e fragilità. Subisce tutta una serie di pressioni che abbatterebbero una montagna, una vita che va in frantumi, ma non viene mai preso dal panico, continua dritto senza invertire quel senso di marcia che gli restituirebbe agi economici e conforto affettivo. Una forza morale quasi sovrumana che manda in frantumi le certezze dei suoi interlocutori.
Lo smarrimento del suo superiore (Gareth), la paura di fallire del suo collaboratore (Donal) che inizia ad ubriacarsi per prendere coraggio, l'incapacità di perdonare di Katrina, le false speranze di Beth. Il film di Knight sottolinea come più grande è la capacità di prendere una decisione radicale, quanto più piccola è la capacità di comprenderne i motivi da parte delle altre persone che ci circondano.
Ivan Locke, mandando in frantumi la propria vita per perseguire coerentemente uno scopo, allo stesso getta in profonda crisi i suoi interlocutori perchè perdono un punto di riferimento sicuro e costante.

L'ombra di un padre sconosciuto

Più che nelle sue telefonate l'anima di Locke si rivela in quei rari momenti di pausa dove il protagonista è solo con sé stesso e mette a nudo la propria anima. Il vero antagonista che aleggia nei pensieri e nei sentimenti di Ivan è quel padre che non ha mai conosciuto. Una figura "presente" nella sua assenza, sia nel corso della sua vita che in quel preciso momento: Un padre che provoca in lui sentimenti di rabbia e di odio che riversa in monologhi densi di livore.
Mai stato presente, neanche quando lui stesso è nato. Un padre fannullone che rimane una macchia impressa nella sua coscienza e nel suo stesso cognome. Ha faticato una vita per togliersi di dosso la figura del padre, ha lavorato duro per diventare una persona rispettabile, malgrado un nome che significava infamia.
Ora ha l'occasione quasi irripetibile per scrollarsi di tutto gli errori paterni e recarsi all'ospedale per vedere suo figlio, cosa che suo padre non aveva. Una volontà di imprimere una impronta genetica diversa: essere presente come padre, prendersi cura di un figlio di una donna che non ama e che non amerà mai.

E' facile entrare in sintonia con un personaggio come Ivan Locke. Ne vieni subito rapito per questa sua spiccata rettitudine morale che viene resa in maniera straordinaria da una delle migliori interpretazioni di Tom Hardy, lontano dalle fisicità di Bronson o Warrior. Stretto nell'abitacolo Hardy mette a nudo il suo personaggio, ci fa scoprire gradualmente i lati della sua personalità con un'interpretazione misuratissima senza gigionerie inutili. La collocazione fuori concorso di Locke probabilmente ha impedito che la performance di Hardy, insieme a quella di Eddie Marsan di "Still life", una probabile concorrenza alla Coppa Volpi di Themis Panou di "Miss Violence".

Il resto è nelle sapienti mani di Stephen Knight, sceneggiatore de "La promessa dell'assassino", che si sta facendo notare in questi giorni per un altro pregevole lavoro, quel "Redemption" che ha permesso ad un attore come Jason Stratham ad operare al di fuori dei suoi soliti ruoli con una interpretazione convincente, segno che questo regista ha buone capacità di valorizzare i propri attori.
Partendo da un'idea semplicissima e scarna, Knight ha diretto un film che non risente assolutamente delle ristrettezze dell'abitacolo dell'auto, unica location, in fondo, del film. I tempi giusti della sceneggiatura che alimentano la tensione emotiva della pellicola, la caratterizzazione dei personaggi, Ivan Locke a parte, che sono soltanto delle voci in un viaggio che sembra infinito e un montaggio di prim'ordine permettono all'ormai (solo) ex sceneggiatore ad essere uno degli autori da tenere d'occhio degli ultimi tempi.

"Sono il padre del bambino"

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Recensione a cura di The Gaunt - aggiornata al 29/04/2014 15.10.00

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