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Sergio Rubini nella sua ultima fatica cinematografica ripropone un tema a lui da sempre caro: il ritorno alle proprie radici e l'indagine retrospettiva della propria infanzia.
Rispolverando il ruolo del capostazione, che lo vide debuttare sullo schermo, Rubini cuce una storia in parte autobiografica (il padre del regista come il protagonista del film è un ex dipendente delle Ferrovie nonché pittore dilettante) sulla relazione tra un padre e il suo unico figlio.
La storia, così come ne "L'amore ritorna", inizia ai giorni nostri: Gabriele Rossetti, un figlio ormai importante che, come il regista, si è staccato dal luogo natio, vi fa rientro per accompagnare all'ultima dimora il padre morente.
A ritroso la scena si sposta verso la metà degli anni Sessanta in un paese dell'entroterra barese: qui vive un bambino piuttosto vivace figlio di un capostazione insoddisfatto del suo lavoro impostogli a suo tempo dal padre e di una bella professoressa (Valeria Golino), consorte integerrima nonché valida donna di casa. Completa la famiglia uno zio scapolo non ancora trentenne (Riccardo Scamarcio) proprietario di un avviato negozio e adorato da sorella e nipote.
I presupposti per una vita felice ci sarebbero tutti, ma in realtà l'equilibrio familiare è minato dalle frustrazioni del capostazione, pittore dilettante cultore di Cézanne, vittima degli scherni di una coppia di boriosi notabili locali e sfruttato da una dubbia signora di origini romagnole, membro per matrimonio dell'alta borghesia (Anna Falchi).
Il rapporto padre-figlio pur partendo da una base positiva (la prima sequenza del flashback sull'infanzia di Gabriele si apre in un'assolata mattinata davanti a un bar di paese con bambino impiastricciato di gelato e padre intento a realizzare un disegno) si incrina e si falsa a causa delle aspirazioni dell'uomo incomprese da tutti: vorrebbe vedersi apprezzato come artista, vorrebbe non avere tra i piedi quell'ingombrante cognato che gli ruba l'affetto di moglie e figlio e quindi è visto come l'uomo "nero", il cattivo, da suo figlio che spesso tende a indulgere in strane fantasticherie.
I nonni con cui la madre dice di parlare, i personaggi dei quadri di Cézanne si animano e a scene reali e realistiche si aggiungono le fantasticherie surreali e fiabesche del piccolo Gabriele a cui si aggiunge l'immagine sospesa del macchinista sporco di carbone (il vero uomo nero del titolo) che in viaggio verso Bari getta le caramelle ai chiassosi bambini di un orfanotrofio.
Alla fine tutti i nodi vengono al pettine: l'amato zio dongiovanni da strapazzo è costretto molto suo malgrado a un matrimonio riparatore con una ragazza bruttina e degna rappresentante del suo meschino nucleo familiare, mentre Gabriele imparerà a comprendere suo padre solo con il suo viaggio a ritroso da adulto. Con la psicanalisi del ricordo Gabriele ha conquistato un rapporto paritetico col genitore che gli era mancato durante l'intera esistenza di suo padre.
Con Gabriele va anche l'amarcord personale dell'attore-regista Rubini che più volte sin dall'epoca de "Il viaggio della sposa" passando per "Tutto l'amore che c'è" e "La Terra" ha scelto come set per le sue storie la Puglia (e in particolare il suo paese natale, Grumo Appula, paesino dell'entroterra a pochi chilometri da Bari).
Ne "L'uomo nero" le locations sono varie, il regista ha scelto paesi della provincia di Bari ma soprattutto di Brindisi per restituire i sapori e le immagini degli anni Sessanta, spicca il colore abbacinante ( molte scene del film sono all'aperto, in pieno sole) e la fotografia impeccabile.
L'intento di Rubini non è però quello di realizzare un film-cartolina a scopo turistico perché il paese riprodotto dal film è un luogo della memoria uguale a molti paesini dell'entroterra barese.
"L'uomo nero" non è neanche epico o troppo rievocativo, ma è sospeso a metà tra il surreale (giusto equilibrio per rappresentare i ricordi di un bambino tra realtà e fantasia) e l'ironico.
Riccardo Scamarcio, con i baffetti alla Clark Gable e l'atteggiamento da "sciupafemmine de' noantri" rivela una valida attitudine alla commedia, attitudine fortemente confermata dalla coppia avvocato-professore ( Maurizio Micheli pugliese d'adozione e Vito Signorile, attore d'estrazione teatrale e soprattutto valido esperto del vernacolo barese), sorta di rivisitazione dei collodiani Gatto e Volpe, con una buona dose di antipatica strafottenza. I due attori impersonano il lato più retrivo della vita di paese: boriosi perché altolocati, ma in realtà piccini di mente perché incapaci di vedere oltre.
Viaggio nella memoria perfettamente riuscito, tra il bene e il male, interpreti gradevolissimi, storia garbata, sicuramente da vedere.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 29/04/2010
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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