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"El pueblo unido jamás será vencido"
Augusto Pinochet, generale dell'esercito e dittatore cileno di orientamento fortemente reazionario, arrivò al potere nel 1973, finanziato dalla CIA e appoggiato dagli Stati Uniti, dagli esponenti dei ceti abbienti e dai vertici della chiesa cattolica cilena, rovesciando con un colpo di stato il legittimo governo del Presidente socialista Salvador Allende, il quale rimase ucciso (suicidatosi per non arrendersi è la versione ufficiale) durante l'assalto alla residenza presidenziale della Moneda.
La sua azione in campo economico, supportata da un gruppo di boriosi economisti educati negli USA, nell'università di Chicago (i cosiddetti Chicago Boys), abbracciò una politica totalmente liberista e conservatrice: questa, se da una parte stimolò l'iniziativa privata e tenne a bada l'inflazione provocando una crescita del sistema produttivo cileno, dall'altra peggiorò le condizioni di vita dei settori più deboli della popolazione, che raggiunse livelli di vera e propria indigenza.
Quando nei primi anni '80 la recessione mondiale determinò anche in Cile una profonda crisi economica, che peggiorò le condizioni di vita anche delle classi medie, queste cominciarono a togliere il loro sostegno al regime di Pinochet. Così, nel 1988, il dittatore, pur di rimanere al potere, tentò un'ultima carta, chiamando i cileni ad un referendum pro o contro il suo stesso regime, forte della convinzione che bastasse accusare i suoi oppositori di essere "comunisti" perché il "popolo bue", la massa coi paraocchi, che non capisce niente e crede a tutto (in Italia dovremmo saperne qualcosa), accorresse in massa a sbarrare il Si per altri otto anni di dittatura.
La vittoria, contro tutte la previsioni, del NO, unita alle forti pressioni internazionali, convinsero il dittatore a lasciare il potere e restituire il Cile alla democrazia. Anche se in realtà rimase capo delle forze armate fino al 1998, per poi diventare senatore a vita e godere dell'immunità parlamentare.
Il film "NO - I giorni dell'arcobaleno", di Pablo Larraìn, è la storia di quel referendum che cambiò il Cile.
Ispirato al romanzo "Los días del arcoiris" (in italiano I giorni dell'arcobaleno), di Antonio Skarmeta (per intenderci, l'autore di "Il postino di Neruda", da cui Michael Radford ha tratto il film "Il postino"), il film conclude l'opera di ricostruzione del regista cileno della storia del suo paese negli anni della dittatura di Pinochet, dopo "Tony Manero" (che racconta la storia disperata di un disadattato testimone dei crimini del regime) e "Post mortem" (che ricostruisce il golpe del 1973 attraverso il punto di vista di un funzionario dell'obitorio di Santiago, dove venne eseguita l'autopsia del presidente Allende).
Se nelle due pellicole precedenti l'orrore della dittatura rimaneva sullo sfondo e faceva da cornice a vicende private, in "NO", la storia cilena impregna tutto il racconto fino a diventarne la vera protagonista.
Siamo in Cile nel 1988: la dittatura militare, responsabile di 15 anni di omicidi, pestaggi, esili, e misteriose sparizioni, è ancora al potere e continua la sua politica di feroce repressione contro i dissidenti e gli oppositori.
Sollecitato dal dissenso interno e dalla crescente pressione internazionale, nel 1988 il dittatore venne spinto ad indire un referendum per legittimare la sua permanenza al potere per ulteriori 8 anni.
Pinochet ebbe un appoggio incondizionato da parte della società che aveva osteggiato la presidenza Allende, da coloro che credevano fosse meglio la permanenza dei militari piuttosto che un governo "rosso", dei cittadini che tranquillamente continuavano ad accettare violenze, pestaggi, soprusi, esecuzioni, rapimenti, obnubilati dagli zuccherosi programmi, tipici oggi delle televisioni commerciali, e dal campionato di calcio, ritenuto il più avvincente del Sudamerica.
Convinti intimamente che la poderosa macchina del consenso, sostenuta dai media assoggettati al regime, gli avrebbe facilmente fatto superare l'ostacolo e conquistare la vittoria.
Se così non fosse stato c'erano sempre a disposizione i brogli e i risultati elettorali da manipolare, come nelle elezioni del 1980, quando i militari avevano votato cinque volte ciascuno. Forti di questa convinzione, Pinochet e il suo entourage, concessero all'opposizione semiclandestina 15 minuti quotidiani, in orario notturno, di comunicazione libera sulla TV di stato.
Un'autorizzazione, tutto sommato, che la gerarchia al potere giudicava innocua, visto che nel resto della programmazione giornaliera, la Tv, anche quando non trattava direttamente il referendum, continuava a trasmettere spettacoli di evasione che esaltavano lo status quo, o programmi di disinformazione e informazione manipolata di bassissimo livello culturale e scarsissima utilità sociale, con lo scopo di tenere incollata ad essa i telespettatori e impedire loro di formarsi un'idea personale (ancora una volta in Italia ne dovremmo sapere qualcosa).
Il comitato per il No al regime di Pinochet, convince allora un giovane pubblicitario cileno di successo, René Saavedra (dalle convinzioni politiche piuttosto blande e tiepido oppositore del regime, anche se figlio di un dissidente esiliato da Pinochet quando prese il potere), affinchè metta a punto la loro campagna elettorale, utilizzando una serie di immagini e documenti delle nefandezze attuate per anni dal governo golpista, già preparati e pronti per essere mandate in onda.
La sua esperienza lavorativa e il suo stile di vita, vicino allo yuppismo rampante americano, che lo collocano ben distante dalle idee della sinistra radicale, che vede nel referendum l'ultima occasione per liberare il Cile dalla dittatura e conquistare la libertà, lo portano però ad emettere un giudizio nettamente negativo su quel materiale, in quanto ritenuto inefficace e non adatto a "vendere" il prodotto "NO e l'idea di democrazia", perchè, spiega, "non sarà con la visione di immagini così tristi e deprimenti che convinceremo i cileni a vincere la paura e votare no". "Serve felicità, serve leggerezza, serve allegria".
René, abilissimo nell'uso del linguaggio pubblicitario, usato per vendere bibite ed elettrodomestici (sul mercato è appena arrivato il forno a microonde), escogita così lo slogan "la alegria ya viene" sotto il simbolo dell'arcobaleno (più rassicurante del rosso delle bandiere "comuniste") e, ribaltando la strategia pensata dai partiti d'opposizione, che considerano la sua idea un affronto verso tutti coloro che hanno sofferto le violenze della dittatura, gira una serie di spot con immagini di vita quotidiana, in cui i protagonisti parlano di futuro, di felicità, di spensieratezza, ma anche di democrazia e di libertà, in stile marketing pubblicitario, e musichette esili e orecchiabili che diventano il tormentone del momento. Costringe così gli avversari a cambiare strategia (ricorrendo anche alle minacce fisiche nei suoi confronti) e, a loro volta, affidare la loro campagna pubblicitaria a Lucho Guzman, il capo ufficio di Réne.
E così i due si ritrovano di giorno a lavorare gomito a gomito per pubblicizzare telenovele e soap opere (dagli Stati Uniti è arrivata la nuova stagione di Beautiful) bibite gasate e forni a microonde, mentre di sera diventano due avversari che cercano di sabotare l'uno la campagna elettorale dell'altro.
Lo scetticismo maggiore sul suo operato prospera proprio tra gli attivisti di sinistra, che non hanno motivo di credere che l'esito del referendum non sia favorevole al dittatore, come Veronica, la sua ex moglie con cui condivide un figlio, che lo ritiene di fede politica piuttosto incerta e tentennante.
Arriva persino a disprezzare il positivismo che permea la sua campagna pubblicitaria e ad accusarlo di collaborare egli stesso al successo di Pinochet, nonostante sia figlio di un oppositore politico esiliato.
Non sarà così. Il referendum, contro tutte le previsioni, verrà vinto dal No con il 56% dei voti complessivi e porterà il Cile a voltare pagina.
La passeggiata di René tra due ali di folla esultante, prima di tornare a girare patinati spot pubblicitari, ci ricorda che nella società dello spettacolo le immagini le valgono più delle idee. Ma la sequenza finale, che si chiude sulla faccia tutt'altro che felice del giovane davanti alle immagini pubblicitarie che sta preparando, tanto frivole quanto retoriche, è veramente angosciante e racchiude il vero significato politico del film.
Giovanissimo, appena 36 anni, Pablo Larrain con i suoi film ha dato una svolta alla cinematografia cilena, e di conseguenza a quella dell'intera America latina. "No - I giorni dell'arcobaleno" rappresenta per lui, dunque, l'occasione per fare definitivamente i conti con la sua storia personale che confluisce, inevitabilmente, nella storia del suo paese, e che dimostra quanta strada abbia fatto da allora il suo pensiero politico e la sua formazione culturale.
Larrain, che il pubblico italiano conosce per i suoi due precedenti lavori sulla storia recente del Cile, con "No – I giorni dell'arcobaleno" ripercorre una delle pagine più buie e tragiche vissute dal paese sudamericano, ma la sua regia non cerca il sensazionalismo, vuole soltanto costringere lo spettatore a riflettere sugli effetti perversi della mancanza di libertà, tra le altre conseguenze di vivere sotto una dittatura fascista; dove non è possibile esprimere le proprie idee e le proprie convinzioni, a meno che non siano in linea con i principi del regime.
Film straordinario, che si caratterizza per una serie di dualismi e contrapposizioni di varia natura.
La prima contrapposizione di natura ideologica, oppone il fronte del No a quello del Si, la sinistra progressista e democratica alla destra conservatrice e fascista. In ambito professionale questo dualismo si manifesta tra René e Guzman, rappresentante della destra pinochetista e curatore della campagna pubblicitaria per il SI alla riconferma di Pinochet.
Polarità alternative tra il nuovo Cile della speranza e dell'allegria e il vecchio Cile conservatore e fascista.
Di natura concettuale e sentimentale è la contrapposizione tra René e la sua ex moglie Veronica: lei lo accusa di scarso coinvolgimento politico, mentre lui considera proprio il suo eccessivo impegno la causa principale del fallimento del loro ménage coniugale.
Generazionale, infine, è lo scontro che contrappone due diverse concezioni delle cose, due diversi modelli di vita che si ripercuotono sul diverso modo di significare il linguaggio mediatico: più fluido, diretto, immediato, coinvolgente quello della pubblicità creativa, più ingessato, lento, obsoleto quello della politica. Il paradosso risiede nel fatto che la pubblicità può tutto, e che se anche dietro le immagini c'è il nulla, le immagini sono tutto. E non importa se l'oggetto della campagna è la politica o un prodotto commerciale, perché le tecniche e il linguaggio sono gli stessi, e cioè quelli della pubblicità commerciale. Come a dire che la politica è una merce e deve essere sponsorizzata e venduta come qualsiasi altra merce.
Dal punto di vista visivo il film si avvale di una fotografia a dir poco geniale, che ricostruisce lo spirito, l'atmosfera e i canoni estetici dell'epoca in cui si svolse il referendum. Una scelta stilistica della regia molto originale ed estremamente efficace, capace di creare un effetto di continuità temporale tra i filmati d'archivio storici della televisione cilena e il girato attuale, realizzato utilizzando macchine da presa degli anni '80 in grado di riprodurre gli standard qualitativi del momento (bassa risoluzione, immagini sgranate, formato 4/3 e così via).
Questo permette al film di offrire una sequela di immagini emozionanti che precipitano lo spettatore in un full immersion nel passato e lo inducono a compiere una seria riflessione politica su cosa significa abitare in un paese dove manca la libertà, cosa implica vivere sotto un asfissiante regime di polizia, cosa comporta sperimentare sulla propria pelle la sospensione dei diritti civili.
"No", comunque, non è un film militante in senso stretto. Larrain ha l'onestà intellettuale di non nascondere nulla, di mostrarci che il dissenso non era generalizzato, che c'era una larga fetta di gente comune che stava dalla parte di Pinochet e non mostrava di rimpiangere Allende, perchè anche se mancava la libertà c'era un po' di lavoro per tutti e un indotto senso di sicurezza nel futuro.
In questa voluta ambiguità il regista però non dimentica di inserire scene cruente di arresti, pestaggi, torture, uccisioni di massa; ci mostra il clima di terrore che agitava le vite di tanti oppositori finiti nel mirino della polizia di regime.
Gael Garcia Bernal, bravissimo attore messicano, interpreta in modo impeccabile, il ruolo di René Saavedra, il pubblicitario che inventò la campagna vincente per il cartello del No.
Una figura immaginaria ma che si ispira a due personaggi reali, Eugenio Gàrcia e Josè Manuel Salcedo, che hanno realizzato la celebre campagna pubblicitaria, e che appaiono sullo schermo in due piccoli ruoli come persone che lavorano per il regime.
Alfredo Castro, attore feticcio del regista cileno (sue sono le interpretazioni come protagonista di Post mortem e Tony Manero) è lo straordinario interprete di Lucho Guzman, il capo di René.
Pablo Larrain era poco più di un bambino al tempo in cui il Cile disse no a Pinochet. Figlio di due esponenti politici di spicco dell'UDI (partito conservatore di destra fedelissimo di Pinochet fino alla fine), attivi nel campo avverso, Larrain ha vissuto in modo ovattato la prima adolescenza, ignaro della tragedia che stava vivendo il Cile, fino agli anni della scuola di cinema, quando ha maturato la consapevolezza di ciò che era successo nel suo paese.
Tutta la sua filmografia è dunque la rappresentazione della storia che non ha vissuto, e questo, forse, ha contribuito a far si che il film lasciasse un po' di amaro in bocca in patria, specie in quella parte del cartello del No che vinse il referendum, in quanto lascia fuori una parte della verità che invece avrebbe dovuto essere presente. Inoltre, si sostiene, si dà troppo rilievo al contributo della pubblicità nella sconfitta di Pinochet, come se il popolo cileno fosse stato indotto a votare contro il dittatore solo perché sedotto dall'allegria esposta in quei 15 minuti di pubblicità giornaliera.
Questa tesi, affermano, ignora la lotta di tutti quelli che hanno resistito alla dittatura da distinte trincee e sottovaluta la coscienza civile e l'intelligenza del cileno medio.
Il gruppo del No ha articolato bene il sentimento di milioni di cileni, ma fu creato in base a questo sentimento e non alla rovescia, come si sostiene nel film.
Probabilmente la verità sta nel mezzo: la dittatura venne sconfitta perché la battaglia, finalmente, è stata ad armi pari.
La libertà ha aperto gli occhi e il paese ha riscritto il suo futuro.
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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 15/05/2013 16.33.00
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