Voto Visitatori: | 6,07 / 10 (182 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 4,00 / 10 | ||
C'era una volta "Non aprite quella porta", capolavoro del cinema americano indipendente degli anni '70. Allo storico horror di Tobe Hooper seguirono tre sequel (di infima lega) ed un remake (anch'esso assolutamente evitabile, ma comunque ancora guardabile a cervello spento). Non del tutto soddisfatti, i produttori hanno deciso a distanza di tre anni dalla nuova versione e a trentadue dal capostipite di realizzare un prequel. Noi, in un slancio di sincerità, riprendiamo un importantissimo passo del Vangelo di Luca (per la precisione Lc 23,34, Passione): "Padre, perdonali, perché non sanno cosa fanno".
Dato che a Hollywood sembra prevalere l'equazione: "Regista penoso, per remake (o sequel o prequel) inguardabile = successo assicurato" i produttori hanno badato bene di pescare come direttore un amabile sig. nessuno: il suo nome è Jonathan Liebesman e noi ci siamo accorti della sua presenza soltanto nei titoli di coda. Ma intanto guardiamo ai lati positivi: tra i titoli di testa spicca il nome di un certo Michael Bay... Ringraziamo quindi il Signore che ci ha evitato l'onere di dover sostenere la visione di un film diretto dal re dei blockbuster. In effetti qui il buon Michael è solo produttore.
Dando quindi un occhiata ai membri del cast troviamo: Jordana Brewster (fenomenale gnoccona mora vista in "Fast & Furious"), Taylor Handley (poliedrico biondino, prima buono buono poi cattivo cattivo, visto in episodi di telefilm come "Dawson's Creek" o "The O.C."), Matthew Bromer (chi?!) e la straordinaria Diora Baird. Ora noi non vogliamo inserire alcuna informazione riguardante l'epilogo della pellicola, ma sappiate solo questo: le vere anime pulsanti di "Non aprite quella porta: l'inizio" sono indubbiamente le procaci forme di Diora; sin da subito lo spettatore viene catturato dalle sue invitanti curve. Man mano che passano i minuti, la pellicola perde attrattiva, ma per ovvi motivi le forme della Baird ne acquistano. Si aspetta e si spera, ma purtroppo lo spettatore (che di pazienza ne ha avuta fin troppa) non vede soddisfatti i propri desideri e il corpo di Diora non ci viene mai mostrato ignudo.
Auspichiamo, se non altro, che le notizie trapelate dal Vaticano e concernenti un eventuale processo di beatificazione dei pochi "eletti" arrivati in fondo alla pellicola non siano infondate. Attendiamo fiduciosi.
Detto ciò ci sentiamo in dovere di scrivere due parole su "Non aprite quella porta: l'inizio".
Agosto 1939. In un mattatoio texano nasce in drammatiche circostanze Thomas Hewitt, noto ai più come Leatherface , bambino dalle sembianze mostruose. Esattamente trent'anni dopo, nel 1969, quel mattatoio viene chiuso e il suo padrone viene massacrato da Thomas. Contemporaneamente quattro amici (due ragazzi e due ragazze) partono per un viaggio in Texas. I due giovincelli, Eric e Dean, sono stati chiamati in Vietnam e insieme alle loro fidanzate sono alla ricerca di qualche momento di svago e di idillio. Si imbatterono, loro malgrado, nella famiglia Hewitt che, come molti di voi sapranno, è dedita al cannibalismo. La vicenda avrà funesti risvolti...
Ora, come si sarà intuito, il soggetto è tutt'altro che originale; tuttavia domandare un minimo di "serietà" non ci sembra troppo. E già, perché di horror questo film ha solo la qualità; per tutto il resto si potrebbe quasi definire come un'inutile pellicola comica. In effetti qualcuno mi spieghi come mai, all'epilogo del travaglio, le acque della povera madre di Tom stiano fumando... Insomma, escludendo il caso di Chuck Norris, tutto ciò è piuttosto insolito in un parto, o almeno così insegnano.
Ma questa "chiara" figura retorica potrebbe anche essere compresa e giustificata: forse il buon Liebesman vuole farci capire che Leatherface è stato "sputato fuori" direttamente dall'Inferno; che la sua personalità era mostruosa sin dalla nascita; quindi in un impeto di buonismo l'incauto spettatore potrebbe anche decidere di proseguire nella visione della pellicola; dopotutto sono trascorsi solo pochi istanti e stroncare una pellicola dopo appena tre minuti sarebbe indubbiamente prematuro. Aspettiamo quindi qualche altro minuto e vediamo cosa ci riserberà il fido Jonathan! Dopo una penosa storpiatura di "Apocalypse Now", neppure degna di lavori come "Scary Movie" e un'interessantissima sequenza di non-sesso (eh già: del resto o le cose si fanno male o non si fanno proprio!), si arriva al momento clou: l'arrivo dei quattro scanzonati amici nella sconfinata campagna texana (qualcuno, comunque, li metta al corrente che il Vietnam è dalla parte opposta).
Tentando di fuggire da una pericolosissima hippy armata di fucile a canne mozze, il nostro gruppo farà un incidente dai drammatici risvolti, i cui esiti saranno: una vacca texana scoppiata per aria, tre ragazzi su quattro gravemente feriti e, come se tutto ciò non bastasse, il nuovo sceriffo Hoyt che li ha presi in "affidamento". Sarebbe anche molto interessante segnalare come il vecchio sceriffo Hoyt sia stato sostituito da quello nuovo, ma, per ovvie ragioni, non lo appunteremo. Vi basti comunque sapere che la mucca (quella scoppiata per aria) è riuscita nel (non troppo arduo) intento di apparire più intellettivamente dotata del vecchio sceriffo. Tuttavia, in questa tragica successione di eventi drammatici, è comunque presente una buona nuova: Jordana Brewster (alias la mora) ha appreso (verosimilmente da Goku) la tecnica del teletrasporto, dimostrando tra l'altro un'innata padronanza della tecnica stessa: assolutamente straordinario è il fatto che la ragazza si sia ritrovata a metri sedici dall'incidente senza neppure essersi procurata una distorsione ed evitando tra l'altro di incontrare il cattivone di turno.
Chi il film non l'ha ancora visto potrebbe pensare che per inserire un cotale numero di minchiate siano state necessarie almeno due ore. E invece no! Tutto ciò che avete letto si svolge nell'arco dei primi venti minuti! Sia ben chiaro che noi non vogliamo assolutamente disincentivare la visione di "The Texas Chainsaw Massacre: the Begining"; il nostro intento è piuttosto quello di avvertire a cosa lo spettatore stia andando incontro.
Ma il fondo deve ancora essere toccato. Infatti la scena più ignobile è indubbiamente rappresentata da una risibile sequenza di montaggio alternato; qui il regista tira fuori il peggio di sé e sforna degli istanti di rara banalità, intervallando a delle "disturbanti" (?!) sequenze di "tortura", altre di drammaticità da due soldi. Francamente a Liebesman consigliamo di studiarsi qualche film di David Wark Griffith ("Giglio infranto", questo sconosciuto!) se non altro per cercare di evitare altri momenti di tale ridicolezza nell'arco della sua carriera.
Ad onor del vero, dobbiamo comunque evidenziare che dal momento in questione il film migliora, ma del resto era davvero difficile riuscire ad andare più in basso del fondo.
Nel secondo tempo, infatti, la pellicola riesce quasi ad accostarsi a tante stupidaggini viste negli ultimi anni rendendo lo spettacolo per lo meno sopportabile. La struttura, or dunque, diventa pressoché identica a quella del precedente remake e pure l'epilogo, nella sua impostazione, non è dissimile dai precedenti films. Certo chiedere qualcosa di più di un inutile slasher era assolutamente lecito, ma se il film avesse perlomeno mantenuto questo andazzo anche nel primo tempo, forse sarebbe stato (un po') meglio. Però, questa era una cosa matematicamente impossibile: il film, per come è stato concepito, altro non è che una mera operazione commerciale, uno sciocco tentativo di fare soldi giocando su un grande capolavoro del passato e l'incipit ne è la chiarissima riprova.
In tutto ciò ci sentiamo comunque in dover di citare il grandissimo Lee Ermey, uno dei più grandi caratteristi viventi e fenomenale interprete anche in sciocchezze simili. La sua sola presenza è sempre motivo di interesse in qualsiasi pellicola e in questo prequel conferma una volta di più la sua grande bravura nel ruolo di personaggi inusuali (e sadici). Un'altra piccola consolazione sono i più che validi effetti speciali: il colore del sangue è buono e qualche sequenza splatter è riuscita. Ma comunque davvero poca roba.
In chiusura lasciateci dire due parole su Leatherface. Non si ha intenzione di mettere il dito nella piaga, ma è curioso vedere come il personaggio simbolo dell'horror anni '70 sia riuscito a diventare l'ombra di sé stesso. Ormai questo terrificante (?) mostro incute meno timore di Primo Carnera: nella pellicola, Thomas Hewitt appare più che altro come un grosso bambinone mai in grado di creare terrore vero. Insomma, nulla a che vedere con la (realmente) terribile bestia ammirata nel capitolo del '74. E' invece da sottolineare che se qualche statale si fosse preso la briga di chiamare questo Morgante in Vietnam, forse, la guerra avrebbe avuto esiti diversi e noi non ci saremmo dovuti sorbire tale obbrobrio.
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Recensione a cura di Harpo - aggiornata al 07/05/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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