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Dopo aver guardato con occhio spietato alle miserie dell'Italia degli anni Cinquanta e al mondo dei travet ("Il ferroviere" ne è un bellissimo esempio), Pietro Germi, attore ma soprattutto regista a 360°, sceglie di dedicarsi alla commedia all'inizio degli anni Sessanta. Decide quindi di rimanere al di là della macchina da presa e di scendere al Sud ed in particolare in Sicilia, terra ancora retriva e poco propensa a vivere in pieno le meraviglie del "miracolo economico" che attraversava la penisola.
Il primo prodotto di questa "calata" meridionale è "Divorzio all'italiana", anno di uscita 1963; il tema affrontato è quello dell'onore e dell'adulterio; indispensabile da parte maschile, da lavare col sangue se la fedifraga è la consorte. Protagonista maschile è in grande Marcello Mastroianni, che riesce abilmente a togliersi il cliché da seduttore latino che lo contradistingueva per diventare un laido barone di provincia; protagonista femminile è invece una giovanissima Stefania Sandrelli.
La Sandrelli ritorna come protagonista nel secondo capitolo del Germi siculo, "Sedotta e abbandonata", uscito sugli schermi nel 1964. Anche in questa pellicola il tema è quello usato ed abusato dell'onore e della rispettabilità: una adolescente silenziosa e sottomessa subisce un abuso sessuale da parte del fidanzato della sorella ed immediatamente in famiglia l'obiettivo principale diventa quello di evitare lo scandalo e le chiacchiere e di ricorrere a una giusta riparazione.
Germi enfatizza i toni della storia a metà tra satira sociale e tragedia greca e gioca molto oltre che sull'ottima recitazione di tutti i protagonisti anche sull'ambientazione e sull'aspetto fisico di ogni personaggio.
La Sicilia, come recitano i cliché dell'epoca, è una terra dominata dalla calura e dal sole, con strade desolate e polverose, anticipazione di quei western all'italiana che spopoleranno di lì a poco; i personaggi sono caricaturali, i loro difetti fisici accentuati allo spasimo: florilegio di pance prominenti, dentature imperfette, strabismo non propriamente di Venere, pettinature improbabili.
I personaggi sono esagerati nelle loro esternazioni, nelle movenze quasi coreografiche, nella recitazione enfatica, nel dolore femmnile ripreso dalle antiche prefiche.
Memorabile il protagonista maschile l'attore siciliano Saro Urzì, nel ruolo del padre colpito nell'onore: personaggio tragicomico ai limiti del farsesco, capace di far ridere del suo dolore persino sul letto di morte.
Tra i vari interpreti spiritati usciti direttamente da un quadro di Goya spiccano anche due ottimi caratteristi: il giovane Lando Buzzanca e Leopoldo Trieste, già al servizio di Fellini nel decennio precedente. Quest'ultimo rende con grande dignità il suo ruolo di nobile decaduto e aspirante fidanzato della primogenita per fame più che per amore.
La Sandrelli, adolescente imbronciata scura come l'abito che è costretta ad indossare, è l'unica a non avere difetti fisici o comportamentali pur essendo paradossalmente l'alienata della storia. Nel corso della narrazione la protagonista pronuncia poche parole da brava siciliana sottomessa ma il suo dissidio interiore si esprime negli sguardi, nelle fughe, nell'intensità espressiva.
Forse il limite di questo film sta nei toni troppo accesi che contribuiscono a togliere verosimiglianza alla vicenda ma proprio per questo la denuncia di Germi colpisce maggiormente il segno: l'onore a tutti i costi, la rispettabilità sono sì tragedie, ma di uomini ridicoli.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 08/06/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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