Voto Visitatori: | 8,06 / 10 (596 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 9,00 / 10 | ||
Se si volesse cercare un'immagine che sintetizzi l'idea di fondo di "The Departed" questa starebbe di certo in un mazzo di carte francesi: le due facce specchianti di un fante di quadri, ognuna con la sua spada in mano.
Questa pellicola si rifà direttamente a "Infernal Affairs", un solidissimo film asiatico di appena un paio di anni fa, con una regia dinamica fatta di raffinate accelerazioni improvvise e luce glaciale, ma soprattutto con un intreccio granitico. Martin Scorsese ne prende la trama e la trasporta di peso nella dimensione da incubo del sogno americano.
Colin Sullivan (Matt Damon) e Billy Costigan (Leonardo DiCaprio), ignoti l'uno all'altro, sono entrambi reclute dell'Accademia di Polizia dello Stato del Massachussets.
Per Billy ciò rappresenta una fuga dal proprio ambiente d'origine, i suoi zii, i suoi cugini: criminali di South Boston, furfanti, piccoli imbroglioni che trafficano droga e prepotenza. Malgrado le capacità e gli sforzi di Billy, l'odore dei bassifondi non si lava via facilmente e gli viene sbattuto in faccia che non vestirà mai una divisa.
Per Colin, invece è una copertura per servire Frank Costello (Jack Nicholson), un potente malavitoso irlandese che lo ha addestrato fin dall'infanzia; lui ossequioso e brillante si farà strada in fretta e verrà assegnato all'unità speciale di investigazione che si occupa proprio dei traffici illeciti del suo "padrone".
Ma se i loro sguardi all'accademia di polizia non si incrociano mai, i loro destini si intrecceranno quando Billy sarà chiamato a divenire un infiltrato nella gang di Costello; la sua identità sarà nota solo ai suoi diretti superiori: il Capitano Queenan (Martin Sheen) ed il sergente Dignam (Mark Whalberg).
Da questo momento si delinea il conflitto: una talpa nella polizia, un infiltrato nella malavita, chi scopre per primo l'altro vince: un rincorrersi fra gatto e topo, o forse sarebbe meglio dire fra topo e ratto.
L'ambientazione del film non è di certo casuale: Boston qualche tempo fa. Una città elegante, dalla patina raffinata e dai forti contrasti sociologici. Con uno stilo d'acciaio Scorsese scava nel suo cuore depravato, nel terreno corrotto dei quartieri della periferia sud, in mano alla mafia irlandese che picchia nei pub e agli italiani che taglieggiano i drugstore, per poi riaccomodarsi sui propri divani ancora foderati di plastica.
La città stessa è un emblema di dualismo, nonché uno scenario perfetto per questa trama fittissima che nel progredire stringe vieppiù nei suoi magli. La psicologia dei personaggi si dipana di pari passo. Billy e Colin sono entrambi costretti a identità antitetiche alla propria natura, da qui nasce non solo un gioco al rimpiattino, ma una fortissima ambiguità dei ruoli, ad uno scontro fra antagonisti di rara potenza.
Entrambi sono divorati dalla propria doppia vita: Billy sempre sull'orlo di un baratro, dai nervi tesi e affioranti, costretto ad assistere a crimini che deplora, a menar le mani, ricacciato fra i delinquentelli che ha sempre disprezzato; Colin dal sorriso facile, affascinato dal potere e dai suoi riflessi dorati, freddo e compassato, il re dei bugiardi che riesce a gestire lo stress in pubblico per esserne sopraffatto fra le mura della camera da letto.
La trama non differisce che in pochissimi tratti rispetto all'originale di Honk Kong, oltre al finale, il cambiamento più evidente è l'aggiunta di una rivalità romantica: i due uomini si innamorano di Madolyn (Vera Farmiga), una giovane psichiatra anche lei smarritasi nel cercare di non complicarsi la vita. Tale modifica, oltre ad avere il vantaggio di legittimare le sottotrame romantiche che nella versione asiatica nulla aggiungono allo spessore della vicenda, contribuisce ad arricchire il ritratto psicologico, a creare tensione e permette di giustificare fino all'ultimo colpo di scena.
Ma ciò che rende davvero "The Departed" una storia a se è forse un altro piccolissimo dettaglio. "Infernal Affairs" si apre e si chiude, infatti, con una citazione della cosmogonia buddista sul peggiore degli otto inferni, ossia quello della sofferenza perenne in cui la longevità è una condanna e proprio la filosofia asiatica ci potrebbe fornire un'interessante chiave di lettura del divario che separa le pellicole.
Gli omologhi asiatici dei due protagonisti (interpretati dagli eccezionali Tony Leung e Andy Lau) sono due figure perfettamente bilanciate, rispondenti quasi ad un'ottica taoista dell'animo umano. L'infiltrato nella triade mostra il proprio conflitto, il crescente distacco verso un corpo di polizia da cui si sente "abbandonato" da ormai nove anni, è un uomo che accetta di sporcarsi le mani.
Dal canto proprio, la talpa all'interno della squadra investigativa prova empatia nei confronti del rivale, con cui condivide il destino di finzione, in un certo senso sa che questi è la sua controparte complementare. Essi rispettano, insieme, l'equilibrio degli aspetti duplici del tutto.
I personaggi hanno in comune il medesimo senso di nobiltà, onore, fedeltà... solo il caso li ha posti in ruoli antitetici, e ad entrambi è riservata comunque una possibilità di scelta.
Nel remake americano, invece, non si è di fronte al dualismo dell'animo umano, ma ad una vera e propria dicotomia, arrivando ad una scissione fra il bene e il male pressoché totale. Le due linee rimangono distinte, sebbene il confine sia labile, come ci dice all'inizio Costello «Poliziotti o criminali, quando hai davanti una pistola carica qual è la differenza?». Billy e Colin malgrado i panni che indossano nulla possono contro l'ineluttabilità del fato, non vi è nessuna possibilità di arbitrio, nessuno spiraglio per cambiare il proprio destino, nessun riscatto.
In particolare la differenza maggiore si avverte con il personaggio interpretato da Matt Damon: Colin non pone mai in dubbio la propria appartenenza, la sua fedeltà a Costello non verrà meno per ragioni morali, ma per semplice tornaconto personale. Ad ogni modo l'equilibrio fra i due è rotto, i nostri fanti ora si fronteggiano quasi come le due metà del Visconte Medardo di Terralba.
I temi della caduta, del peccato, della redenzione immorale, identità e fedeltà hanno sempre avuto una forte eco nei film di Scorsese, anche nei più atipici come "L'età dell'innocenza" o "The Aviator". Ma spesso nei film del passato i microcosmi descritti venivano osservati dall'interno, dall'ottica dei personaggi, con "The Departed" invece si rinuncia alla visione individualistica, alla voce narrante, alla visuale filtrata dall'occhio del protagonista in favore dell'intreccio, dell'azione, del coinvolgimento spettacolare.
La pellicola di Scorsese non fa che raccontarci una storia, non vuole darci insegnamenti morali, non vuole infonderci alcuna speranza sulla possibilità di prendere in mano la propria vita e decidere di stare dalla parte del bene. Il dramma si intensifica, dal livore rabbioso si passa alla sofferenza interiore fino ad arrivare ad un disagio intensissimo.
La regia coglie tutto questo con una freddissima e al tempo stesso partecipata efficienza, evitando inutili fioriture o di stilizzare troppo la violenza. La brutalità è repentina e improvvisa, una serpe fulminea, nulla interviene a mitigarla o a renderla glamour.
Una trama già complessa e ben strutturata assume così un'intensità insperata, descritta in maniera coerente, non lasciandoci prendere mai fiato con un montaggio rapido e asciutto, che polverizza le sequenze per tramutarle il un'azione da togliere il fiato, assolutamente da premio oscar. Con "The Departed" Martin Scorsese abbandona il cinema patinato e torna a tenere al guinzaglio una bestia dai muscoli guizzanti e il fiato pesante.
Pur nei suoi 150 minuti di durata, il film ha ritmi serratissimi, cadenzati da una colonna sonora perfetta che sostiene l'azione e la enfatizza.
Le musiche originali composte da Howard Shore (che aveva già firmato "After Hours" e "The Aviator") sono arricchite da una selezione di brani musicali di indubbio gusto che spazia dagli Stones d'annata di "Let It Loose" a "Confortably Numb" cantata da Roger Waters con Van Morrison & The Band, attraversa in una carrellata trent'anni e più di pop-rock americano (Beach Boys, Allman Brothers, Roy Buchanan, Badfinger), concedendosi anche un tuffo nelle periferie di South Boston sulle note dei nuovi selvaggi alfieri dell'Irish-Punk, i Dropkick Murphys.
Va detto che entrambi i protagonisti danno vita a performance esplosive, dalla complessa dinamica emozionale. Fra i due si distingue nettamente un DiCaprio davvero sorprendente nella sua crescita da idolo per teenager ad attore di prima grandezza.
La fragilità di DiCaprio, il suo aspetto da fanciullo, che tanto lo ha penalizzato nei lavori precedenti, è il suo punto di forza in questo film: incarna perfettamente la confusione di un ragazzo senza punti di riferimento, senza nessuno di cui potersi fidare, irrimediabilmente disperso, sempre sul punto di scoppiare per lasciarsi andare alla propria furia autodistruttiva.
Jack Nicholson poi domina la scena con la sua insania barocca. Il suo Frank Costello è selvaggio, folle e sfrenato, in qualunque occasione: con in pugno una pistola o un dildo, mentre compra la vita di Colin per una spesa dal droghiere, nel far fioccare cocaina come farina 00, per il suo filosofeggiare di periferia, nell'immergersi nella violenza per ritrovarsene imbrattato fino ai gomiti... sempre con un sorriso sornione sulle labbra. Un'interpretazione che non mancherà di elettrizzare i suoi fan, disgustando i detrattori.
Eccellenti sono anche i comprimari da Martin Sheen, Alec Baldwin a uno scoppiettante e sboccato Mark Whalberg che dà una nuova dimensione ad un ruolo di supporto. Tutti loro a dispetto della limitata presenza in scena si imprimono in maniera indelebile nella mente dello spettatore.
"The Departed" diviene un thriller con un'anima, il regista sembra porsi nell'ottica di Hitchcock nel caricare ogni singola situazione di tensione, spingendola fino al limite e lasciandola nell'aria ancora un attimo. Ed è proprio dai tempi di Sir Alfred che un telefono non dispensava tanta suspence, sebbene ora si tratti di un cellulare che vibra, con l'istinto di un segugio che annusa, portandosi sempre più vicino a Billy.
Scorsese non indaga la corruzione che va dal covo di vipere di Costello fino alla cupola dorata della State House di Boston, ce lo lascia intravedere dalla finestra di un elegante appartamento di Beacon Hill, tutto ciò che vuole è tenere incollati i nostri occhi allo schermo, attanagliandoci le viscere.
Ma sotto questa superficie apparentemente votata all'azione rimane una caratterizzazione psicologica intensissima. Pur nell'adrenalinico pulsare, la mano di Scorsese non trema. Mai.
In definitiva il debito di "The Departed" nei confronti di "Infernal Affairs" è pesantissimo, ma la prospettiva personale e l'eccellenza sotto il profilo di regia, montaggio, fotografia, ambientazione e recitazione magari non lo rende superiore all'originale, ma quantomeno non ce lo fa rimpiangere.
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Recensione a cura di Laura Ciranna - aggiornata al 30/10/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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