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Le vicende del film si svolgono a Pittsburgh, una città moderna dove pulsa ancora il cuore di un'America che fa sognare.
Una comune famiglia della classe media è già alzata al mattino presto, i coniugi fanno colazione con il figlio Luke (Ty Simpkins), giocano con lui, scattano foto e organizzano la giornata di lavoro.
La serata precedente i genitori di Luke l'hanno passata con amici di vecchia data, ed è stata movimentata dalla gelosia, non trattenuta, di Lara (Elisabeth Banks) per il marito John Brennan (Russel Crowe), insegnante, oggetto di attenzioni particolari da parte di una delle sue migliori amiche.
La coppia, sposata da alcuni anni, sembra soddisfatta, allegra, Lara e John sono fortemente legati l'una con l'altro, forse il loro amore è vero e la gioia che esprimono come genitori è reale, autentica, quando improvvisamente tutto sembra precipitare; suonano alla porta e, dopo che è stata aperta senza reticenze, la polizia irrompe violentemente nell'appartamento con un mandato d'arresto per omicidio a carico della donna.
Lara è incolpata di aver ucciso la sua capo ufficio, una donna con cui era spesso in lite, ma l'accusa appare subito mal sostenuta, essa sta in piedi precariamente, sulla base di alcuni indizi, ed è avvalorata unicamente dal presunto chiaro movente: l'odio che Lara aveva verso la capoufficio, esasperato da una reciproca antipatia di fondo, il più delle volte da entrambe mal controllata.
L'omicidio sarebbe avvenuto in una serata piovosa, nel parcheggio vicino agli uffici dove lavoravano le due donne, l'assassino avrebbe colpito la vittima in testa con un estintore rosso da auto, lasciato poi cadere al suolo che rotolando è finito proprio nei pressi della macchina di Lara, posteggiata di fianco a quella della capoufficio, cosa questa che la metterà maggiormente nei guai.
Quando l'ultimo appello viene respinto, Lara tenta il suicidio. In John allora, malgrado i rischi per la vita e le insicurezze materiali cui potrebbe andare incontro il figlio in caso di perdita di entrambi i genitori, matura velocemente l'idea, per certi versi assurda, di aiutare sua moglie a evadere dal carcere.
Riuscirà John nell'intento di far evadere la moglie dal carcere senza compromettere del tutto la sua vita e quella dell'intera famiglia? E qual è la verità sull'omicidio della capoufficio?
"The next three days" (I prossimi tre giorni) è senz'altro uno dei migliori thriller degli ultimi cinque anni, è l'opera più matura del sessantenne canadese Paul Haggis che ricordiamo in "Crash - Contatto fisico" (2004) e "Nella valle di Elah" (2007).
Questo film è di genere misto, si potrebbe definire un thriller-drammatico, dal meccanismo narrativo ben collaudato, poco originale ma realizzato in un modo superlativo da Haggis.
Il film è sorretto da un ottimo ritmo, da una cadenza narrativa ben realizzata, costituita da diversi fattori sempre ben amalgamati fra di loro lungo una sincronizzazione riuscita delle aperture delle varie finestre di tempo che compongono il ritmo. Come ad esempio le numerose scene di inseguimento degne del miglior cinema d'azione e le drammatizzazioni intermedie sapientemente distribuite lungo tutta la narrazione, o i chiari e improvvisi capovolgimenti di situazioni divenute troppo familiari, e i risvolti psicologici negativi del tutto inaspettati che piegano i protagonisti in un'angosciosa complessità del vivere.
Da sottolineare infine il riporto fedele della scrittura filmica sopra una linea narrativa di fondo ben tesa, indubbiamente di un certo spessore che non viene mai abbandonata, per nessun motivo, offrendo agli spettatori una comprensione del film simultanea alle scene, eccezionale, indubbiamente in virtù di un montaggio superlativo che combina le cose senza far perdere forza a ciascuno degli elementi compositivi del film.
Paul Haggis è riuscito a realizzare un racconto filmico di grande coinvolgimento, che è innanzi tutto un successo di estetica filmica, di modi riusciti della rappresentazione dei contenuti presenti nella narrazione.
Un piacere strettamente cinematografico, tipico della grande opera filmica riuscita, forse per questo anche irrazionale perché per certi aspetti il film si rivolge più all'inconscio che all'Io, e solo in seconda battuta il film vale per i suoi contenuti più razionali, sistematici, che in questo film sono indubbiamente di un certo spessore etico: come l'efficace critica al sociale e alle istituzioni americane.
Il film lascia stupiti per l'assenza di pause che invece alcuni critici ritengono eccessive e numerose, forse confondendo la pausa della azione con la pausa delle tensioni psicologiche, dimenticando che in questo film contribuisce ad una felice realizzazione anche l'espansione psicologica in crescendo che anima i personaggi, testimoniabile dai contenuti dei dialoghi, mai banali, che svelano in ogni scena, con efficacia, il movimento interiore delle pulsioni dei protagonisti.
Inoltre una certa tensione non viene mai meno anche perché l'intento del protagonista John (Russel Crowe) è di risolvere il problema di una libertà perduta, lo smarrimento di un valore assoluto, necessario per vivere, una situazione aggravata da una perdita di felicità per tutto il suo nucleo famigliare; egli cerca disperatamente una soluzione, a tutti i costi, senza rinunciare mai a al suo desiderio di famiglia, senza cedere mai a qualcosa di fondamentale che lo costituisce che rappresenterebbe in caso di resa una sconfitta del mantenimento attivo della sua etica personale di fondo.
L'intento in John di rimanere in vita liberi, perdendo anche le bellezze insite nella realizzazione del sogno americano, è il senso e la chiave del film, il filo conduttore che tiene desta l'attenzione degli spettatori anche quando le azioni rallentano.
Inoltre, la risoluzione dell'enigma del film, se non fosse stata preceduta o a volte intrecciata con un lungo gioco in perdita della psicologia dei protagonisti, sul bordo del filo della depressione, quasi a livelli clinici, lasciando gli stati d'animo in qualche modo attivi, seppur di un precariamente attivo che consentiva di giocare una partita solo a metà, non avrebbe dato al film quel sapore estetico da thriller di così rara bellezza emozionale indubbiamente di livello hard per il magnifico trasporto dei nostri sensi alle scene.
Sensi toccati, eccitati, risvegliati dalla occasione trasgressiva inconscia che le immagini propongono con il loro essere motivo di scandalo, sensi dalle corde musicali enigmatiche radicate nel rimosso dell'inconscio che nella normalità appaiono spesso assenti o assopiti, forse sacrificati alle principali norme che regolano il cosi detto vivere integrato nel sociale.
Allora quale maggior scandalo può esistere in un racconto filmico se non quello di attaccare il cuore della giustizia, la magistratura americana, il criterio etico e procedurale con cui essa giudica una madre con un bambino piccolo in una, per tradizione, felice famiglia del ceto medio americano che ha appena realizzato il sogno della propria vita?
Per tre anni, il marito John fa assiduamente visita alla consorte Lara in carcere, sicuro sia della innocenza della moglie che dell'efficacia della magistratura, che in questo caso John ritiene sia presa in un evidente processo indiziario, dominato da una logica che non può che rimanere prigioniera del ragionevole dubbio: quindi per forza di cose assolutoria per lo meno nei gradi successivi degli appelli.
Dopo il tentato suicidio della moglie Lara, John si convince sempre di più che la giustizia è anche politica, che essa è condizionata da scelte generali oscure indicanti una linea di comportamento giudiziario che prescinde a priori dalla assoluta ricerca del vero negli imputati; scelte dettate anche dagli orientamenti delle forze governative al potere che vogliono dimostrare, come nel caso di Lara, l'efficienza delle istituzioni giudiziarie e poliziesche del paese, ad esempio, attuando di fatto, processi brevi, veloci, dove l'accusa il più delle volte trionfa facendo a meno, per molti reati, di prove certe.
Probabilmente questo film, come merita, avrà un grosso successo di pubblico e critica, rimarrà nella storia del cinema e negli studiosi della settima arte come ottimo modello di insegnamento: per la regia, il montaggio e la sceneggiatura, quest'ultima davvero di grande spessore psicologico.
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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 22/04/2011 18.25.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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