Recensione the woman in the fifth regia di Paweł Pawlikowski Polonia, Francia, Gran Bretagna 2011
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Recensione the woman in the fifth (2011)

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locandina del film THE WOMAN IN THE FIFTH

Immagine tratta dal film THE WOMAN IN THE FIFTH

Immagine tratta dal film THE WOMAN IN THE FIFTH

Immagine tratta dal film THE WOMAN IN THE FIFTH

Immagine tratta dal film THE WOMAN IN THE FIFTH

Immagine tratta dal film THE WOMAN IN THE FIFTH
 

Sembra un film di Polanski girato alla maniera di Kieslowski. Ma cominciamo dalla trama.
Tom Ricks, interpretato da Etan Hawke in una prova molto convincente, è uno scrittore americano, un uomo dall'apparenza innocua, che si trova a Parigi (come fosse sulla luna) con lo scopo di vedere la figlioletta. L'ex moglie glielo impedisce, un'ordinanza del tribunale gli vieta anche solo di avvicinarsi, e lui riesce a scappare un attimo prima dell'arrivo della polizia.
Addormentatosi su un autobus, viene derubato di soldi e documenti. Tom preferisce nascondersi alle autorità in un albergo losco e fatiscente, piuttosto che denunciare il furto, pur di restare a Parigi per trovare il modo di rivedere la figlia. Trova un'occupazione come guardiano notturno per conto di una gang poco raccomandabile legata al gestore dell'albergo. Viene riconosciuto da un libraio come lo scrittore apprezzato che è, e accoglie il suo invito a una serata letteraria.
Nel frattempo, continua a scrivere alla figlia una lettera troppo lunga per una bambina piccola. La cameriera polacca dell'albergo si invaghisce del suo fascino mansueto e misterioso e Tom inizia a frequentare una donna di classe (Kristin Scott Thomas), affascinante e più misteriosa di lui - la donna del titolo - conosciuta alla serata letteraria.

E' un film, "La femme du cinquième" (tratto da un romanzo di Douglas Kennedy, "Margit"), in cui la lettura dell'intreccio è particolarmente inutile allo scopo di sapere cosa ha in serbo per noi la pellicola proiettata sullo schermo. Il film è girato da Pawel Pawlikowski con una padronanza davvero notevole del mezzo cinematografico. E' un film ipnotico, un film che riesce a far abbandonare allo spettatore la pretesa di un plot da svelare, e a farsi seguire nella malìa generata da suoni ed immagini. Le immagini di "La femme du cinquième" infatti rapiscono lo sguardo, trascinando lentamente come in un gorgo.

Può darsi che non tutti siano disposti a lasciarsi ipnotizzare con facilità: in tal caso la pellicola apparirà sconclusionata, irrisolta, irritante.

Non conosciamo il romanzo da cui è tratto, ma siamo sicuri che il valore dell'opera stia tutto in come il regista ce la racconta. Ad alcuni potrà aver ricordato Lynch per le atmosfere oniriche e la scarsa comprensibilità di un intreccio in cui proliferano vicoli ciechi e false piste. Pur con queste somiglianze di superficie, non ci sembra tuttavia veramente Lynch l'autore cui il regista polacco Pawlikowski andrebbe accostato. Le ascendenze autoriali ci sono, e sono palesi, ma sono altre: e tutte polacche. "La femme du cinquième" sembra un film scritto da Polanski (quello de "L'inquilino del terzo piano") girato alla maniera di Kieslowski (a quest'ultimo rimandano la ricerca cromatica e il ricorso all'uso di dettagli ricercati con funzione di contrappunto - con un gusto particolare per gli insetti).

Ricorda Polanski, in particolare, il fatto che il protagonista del film, così come lo sguardo di Pawlikowski, attraversi la città di Parigi con occhio e sentimenti di straniero. Lo spunto di partenza ha vaghe analogie con l'americano disperso a Parigi di "Frantic": tuttavia questo di Pawlokowski non è un thriller di stampo hitchcockiano, bensì un giallo dell'anima, in cui ci pare di ravvisare anche un'ascendenza letteraria di Simenon.

Tom è un individuo solitario, che desidera nascondersi al mondo, in cui si fa strada una crisi identitaria con spiccate connotazioni paranoidi. E' anche un uomo sensibile (sensorialmente sensibile, recettivo come uno scrittore dev'essere), disposto a farsi catturare dalla realtà e a rischiare - come infatti succede - di essere rapito, e di perdersi a se stesso.

Egli si trova - sin dall'inizio - in una sorta di limbo interiore, in una condizione predisposta a prendere nuove strade, strade devianti.
Il suo smarrimento è quasi intenzionale. Il personaggio trasmette la forte sensazione di non riconoscersi più nel suo passato: è un uomo in fuga da se stesso. Ciò che la pellicola aggiunge a questo stereotipo è il modo in cui viene suggerito al personaggio di riprendere i fili della vita. Il film è un viaggio di espiazione di una colpa ignota. Il finale lascia intravedere uno sbocco, sghembo e non convenzionale, in una dimensione inconoscibile.

Tom viene risucchiato dalla sua femme in una dimensione aliena, solo suggerita dalla pellicola che resta protesa sul vuoto, senza svelare una chiara luce in fondo al tunnel, fitto di mistero, in cui si è addentrata.

Il film può apparire incompiuto, irrisolto, esteticamente pretenzioso quanto si vuole, nel creare un'atmosfera cui non è in grado poi di fornire un evidente sfogo di senso in termini razionali. In merito a questo "esercizio d'autore" è tuttavia prudente evitare facili giudizi, perché "La femme du cinquième" sembra proprio uno di quei film che maggiormente si prestano a esser sottovalutati e restare incompresi. La "colpa" del suo autore potrebbe essere unicamente di aver preteso dallo spettatore una ricettività particolare, senza essersi guadagnato prima la stima necessaria. Non è facile infatti cogliere l'universo di senso che s'intuisce molto personalizzato, che si cela sotto la patina ipnotica di "La femme du cinquième", privi come siamo dell'ausilio di quegli strumenti che abbiamo a disposizione, ad esempio, quando si tratta di comprendere e valutare il nuovo film di un autore che gode già di ampia fama e considerazione. L'autorevolezza di cui gode Pawlikowski non è (oggi) quella di un maestro, e il suo film di conseguenza rischia di restare sospeso nel limbo delle pellicole potenzialmente di culto, ma prive della promozione e della "fortuna" (critica, se non commerciale) che permetta di farle conoscere e apprezzare diffusamente.

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Recensione a cura di Stefano Santoli - aggiornata al 04/09/2012 15.17.00

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