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La giornata particolare è quella dell'incontro di Antonietta e Gabriele, elegia di un'amicizia breve, ma vissuta con l'intensità di un grande amore.
La giornata particolare è quel 6 maggio 1938, che vede tutta Roma in festa per un altro incontro, quello tra due dittatori, Hitler e Mussolini. Nel momento di pieno consenso ad un regime che di lì a poco avrebbe portato il Paese alla catastrofe, i caseggiati di Roma si svuotano come formicai per l'adunata; tutti rispondono entusiasti alla chiamata e corrono ai Fori imperiali per la grande parata in onore di Hitler.
Anche il condominio della periferia romana dove vivono Antonietta e Gabriele si svuota, ma loro due, per ragioni diverse, restano a casa, lontano dai clamori festanti. La fortuita fuga del merlo di Antonietta la spinge ad uscire dal sicuro rifugio domestico per avventurarsi in uno spazio sconosciuto: dovrà bussare alla porta del suo dirimpettaio, per recuperare il volatile. Così avviene l'incontro con il riservato Gabriele, così ha inizio una giornata particolare per entrambi, fatta di timide confidenze e di rivelazioni di sogni mai espressi.
Antonietta (Loren) è la classica moglie "fascista", serva di un marito gretto e ignorante e dei sei figli pedissequamente indottrinati nelle loro divise di regime. Il marito, camicia nera, impiegato al Ministero dell'Africa Orientale, è uomo prepotente e fedifrago, un cafone incapace anche di un solo gesto di tenerezza nei confronti della compagna. Obbediente ai dettami della virilità ardita e alla misoginia fascista, che considerava la donna solo come fattrice di prole e domestica dell'uomo, obbligando la moglie a sfornargli figli, di cui poi vantarsi con orgoglio.
La immaginiamo, Antonietta, rapportarsi fin da piccola con l'arroganza "maschia" di un padre autoritario, prima ancora di quella del marito. Cresce dunque convinta che "il genio sia solo uomo" e confiderà a Gabriele: "Pure io mi sento considerata meno di zero... mio marito con me non parla, ordina, di giorno e di notte". Questa era l'ipocrisia del matrimonio fascista, incoraggiato in ogni modo per raggiungere gli obiettivi della campagna demografica annunciata già nel 1927 ("Tutti gli organi del partito funzionano. Devono perciò funzionare anche quelli genitali" diceva il gerarca Achille Starace). Antonietta per sua fortuna è "madre prolifica", perfetta nel ruolo di moglie ubbidiente e mamma premurosa, ma la malinconia nel suo sguardo e il tono dimesso dei gesti denunciano una sofferenza interiore e una antica rassegnazione: il sacrificio lontano di sogni infranti, di desideri irrealizzati, di speranze disattese.
Questa donna, sciatta casalinga depressa, in un giorno di "libertà dalla famiglia", conosce Gabriele (Mastroianni).
Lui è omosessuale, licenziato dall'EIAR, dove lavora come annunciatore, perché affetto dal "vizio abominevole"e per questo condannato al confino in un remoto angolo della Sardegna.
Fra i due, dopo un primo momento di reciproca diffidenza, nasce un affetto spontaneo e inconsueto, capace di colmare le loro differenti solitudini anche solo per un giorno.
Antonietta e Gabriele condividono la stessa oppressione, figlia della "virilità fascista" che da un lato disprezza, anzi nega l'omosessualità, dall'altro severamente la punisce; così come determina il destino delle mogli-madri, sottomesse all'uomo macho, consenzienti che i mariti sfoghino la loro maschia gioventù nei bordelli, piuttosto di essere abbandonate per un'amante fissa.
Gabriele è disperato e l'arrivo di Antonietta lo salva dal proposito di suicidio. Antonietta rimane affascinata da quest'uomo garbato e gentile, persino bizzarro. All'inizio paiono incompatibili, intellettuale e critico lui, ignorante e ingenua lei. Dopo un primo approccio Gabriele si autoinvita per un caffè, Antonietta contenta (ritorna a curare il proprio aspetto con vezzo tipicamente femminile) accetta: gli parla della famiglia, gli mostra orgogliosa l'album in cui raccoglie le foto e gli articoli sul duce, fiera di essere fascista. Non comprende subito lo scetticismo di Gabriele, certe sue battute. "Siete scapolo? Allora pagate la tassa sul celibato" "Eh già: come se la solitudine fosse una ricchezza...". Poi, dopo l'avvertimento della portiera maldicente, scopre che Gabriele è considerato dal Partito un disfattista e un sovversivo: "Io non credo che l'inquilino del terzo piano sia antifascista, semmai il fascismo è anti-inquilino del terzo piano" confessa con amarezza Gabriele.
Il ghiaccio ormai è rotto e i due iniziano un gioco di confidenze e confessioni che li porterà ad un confronto tanto intenso, quanto drammatico, ma soprattutto a rispecchiarsi vicendevolmente nell'altrui infelice emarginazione. Il comune disincanto, la reciproca accettazione priva di falsi pregiudizi, li unisce in un momento d'amore autentico.
A sera Antonietta torna ad essere la perfetta casalinga fascista, ma ormai consapevole del suo destino, riesce a trovare il coraggio di rifiutare pacatamente le avance del marito, interessato solo a ingravidarla del settimo figlio per ottenere l'assegno premio del regime. Intanto Gabriele è prelevato dalla polizia per essere condotto al confino.
I due incontri, quello intimo tra i protagonisti e quello storico tra i due dittatori procedono paralleli per l'intero film: il sottofondo sonoro alla vicenda personale è infatti l'autentica radiocronaca della visita di Hitler, commentata dalla popolare voce del fascismo Guido Notari, riconoscibile nel timbro monotono e retorico. La cronaca radiofonica dell'evento, colonna sonora della giornata particolare dei due reietti, non fa altro che intensificare il loro smarrimento, l'estraneità ad un sistema che li rifiuta e nel contempo cerca di assorbirli.
Considerato da molti critici il miglior film di Ettore Scola, sceneggiato insieme a Maurizio Costanzo e a Ruggero Maccari, "Una giornata particolare" non contempla i toni cinici e sarcastici propri di altri lungometraggi del regista ("Il commissario Pepe", "C'eravamo tanto amati"), eppure non disdegna una lieve ironia, pur conservando una struttura narrativa delicata e sommessa. Ettore Scola ha qui abbandonato i toni della commedia all'italiana, di cui fu abile maestro, per un neorealismo crepuscolare, sublime nella suggestiva fotografia dai colori sbiaditi e nella ricostruzione d'interno di un anonimo quartiere popolare.
Fu candidato all'Oscar, ma non vinse. Ebbe, però, altri meritati riconoscimenti, grazie anche alla sensibile interpretazione dei due attori. La Loren, pur incarnando il ruolo di popolana già altre volte espresso, qui accetta d'imbruttirsi, di mostrarsi in ciabatte e senza trucco, in una prova drammatica che le valse il David di Donatello. Pure Mastroianni abbandona il classico ruolo di latin lover e per la prima volta impersona un omosessuale con la spontaneità interpretativa che gli è propria, attribuendo al suo ruolo un'intensità emotiva indimenticabile. Entrambi, perfettamente a proprio agio, danno vita a questa storia d'amore apparentemente impossibile, fragile e poetica, purtroppo rassegnata.
Il film critica duramente il fascismo, analizzandone gli aspetti più grotteschi, denunciandone la politica d'emarginazione, condizione tipica dei sistemi autoritari, ed ha soprattutto il pregio di far riflettere su temi sempre attuali. La pervasività del modello di virilità fascista, che impone un ruolo subalterno alla donna e incita la condanna del pederasta è purtroppo ancora attuale nei rigurgiti di una mentalità maschilista, misogina e omofoba presente proprio nelle società più evolute e democratiche. Rigurgiti di un'intolleranza da respingere con forza, perché come afferma tristemente Gabriele:
"Finisce sempre che ci adeguiamo alla mentalità degli altri, anche quando è sbagliata".
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Recensione a cura di Pasionaria - aggiornata al 10/02/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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