Voto Visitatori: | 4,96 / 10 (25 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 5,00 / 10 | ||
L'infelice traduzione italiana del film "Trust the man" in "Uomini e donne" per un momento richiama alla memoria il becero programma televisivo della De Filippi. Sebbene fortunatamente il film non riproponga gli squallidi stereotipi sentimentali dell'omonimo talk show, cui il titolo italiano rimanda; nondimeno ricalca i raffinati quadretti intimi e le pennellate d'intelligente ironia sulla coppia del grande cinema alleniano, cui chiaramente il film s'ispira.
L'argomento è lo stesso: l'incomunicabilità fra uomo e donna, tema intorno al quale in ogni campo dell'arte e della conoscenza si è predicato, irriso, almanaccato. Purtroppo sull'argomento dell'incomprensione fra i sessi l'originalità latita, perciò anche stavolta parafrasando Remarque: "niente di nuovo sul fronte occidentale", dato il banale susseguirsi di situazioni viste, ascoltate, lette migliaia di volte.
La commedia, presentata dai trailer come una fresca ventata di trovate brillanti con allusioni sessuali umoristiche, millantate da un sottotitolo italiano quanto mai inopportuno (tutti dovrebbero venire... almeno una volta), tradisce le premesse, scivolando nella solita analisi di trentenni in crisi d'identità e di quarantenni annoiati dalla quotidianità di coppia, con l'aggravante di un finale ridondante che affoga nella melassa. La storia s'immerge così profondamente nel mieloso happy end, da far pensare ad un voluto e simpatico dileggio verso certe commedie romantiche non solo hollywoodiane. Ma, riflettendo sul titolo originale, Trust the man (fidati del tuo prossimo) coerente all'intreccio del film, il dubbio presto si dilegua e diventa chiaro che il finale non vuole essere affatto ironico.
La trama è scontata: due coppie di amici, due di loro pure fratelli, affrontano i soliti problemi dovuti alla dicotomica visione della vita tra gli opposti universi, quello maschile e quello femminile. Una è una coppia di trentenni (Billy Crudup e Maggie Gyllenhaal): lui, insicuro ed eterno Peter Pan, giustifica il proprio infantilismo con la scusa che tanto "tutti dobbiamo morire". Lei, ossessionata dalla fregola di anticipare lo scadere del proprio orologio biologico, è colta da un improvviso ed improvvido raptus matrimoniale.
L'altra (David Duchovny e Julianne Moore) è una coppia di quarantenni con prole, alla quale l'unica àncora di salvezza in un rapporto logorato dal tempo pare essere un tripudio di nuove sfide sessuali da sperimentare zigzagando tra insoddisfazioni di lavoro e sensi di colpa verso i figli. Non manca, infine, la reiterata storia di tradimenti, di abbandoni e riappacificazioni funzionali al felice epilogo, dopo una sofferta presa di coscienza di ciò che più conta nella vita.
Il regista Bart Freundlich, marito di Julianne Moore, una delle due protagoniste, scimmiotta l'inimitabile Allen. L'ambientazione nella caotica New York, le cui immagini dei titoli di testa sono però qui artisticamente insulse, i dialoghi concitati tra le coppie in perenne gara per la migliore battuta, le discussioni fra amici intorno al tavolo di uno dei numerosi locali cool del Village, ci ricordano e purtroppo ci fanno rimpiangere la splendida NY di "Manhattan" e la sofisticata autoironia di Allen, che ci pare quasi profanato da questa frivola commedia socio-sentimentale a lui ispirata, dove gli elementi tragici e comici del rapporto di coppia non s'integrano per niente a causa dell'incapacità degli autori di trovare un sofisticato equilibrio tra dramma e commedia.
Detto questo, la prima parte del film scorre benino, illudendoci, di stare godendo di uno spettacolo infarcito di intelligente umorismo, riuscendo anche a farci sorridere nel momento in cui ci riconosciamo nelle nevrosi delle due coppie. Alcune situazioni sono divertenti (ad esempio l'autoerotismo di lui indotto dalla moglie improvvisatasi cronista di un video porno, le gag del gruppo dei sessodipendenti in analisi). Nel secondo tempo ci si aspetta che il regista non si accontenti di descriverci situazioni surreali e di divertirci con dialoghi scoppiettanti, ma che approfondisca l'analisi sulle incomprensioni di coppia attraverso una maggiore indagine sulle peculiarità caratteriali dei personaggi e sulle dinamiche del loro rapporto oppure che almeno mantenga un certo distaccato cinismo.
Invece no, si rimane delusi da uno sviluppo delle vicende quanto mai prevedibile, che mal si adatta a tutto il resto: I quattro protagonisti rimangono come sospesi ed il fragile equilibrio relazionale fra di loro precipita improvvisamente: ci sono rotture e separazioni, ma anche prese di coscienza fulminanti, ripensamenti e ritorni degni dei migliori romanzetti alla Liala. E tutto questo ha come cornice una New York che, secondo le intenzioni del regista, avrebbe dovuto essere l'autentica protagonista del lungometraggio, ma che appare sbiadita a causa di un' insignificante fotografia. Il rimando alle splendide immagini di "Manhattan" è fin troppo facile e nel confronto il film di Freundlich ne esce inevitabilmente male.
Le prove degli attori non brillano: David Duchovny e Julianne Moore formano una coppia poco credibile. Lui si barcamena tra il ruolo di erotomane-pornocrate e padre modello in cerca di autostima, ma la sua goffaggine e l'espressività monocorde non convince. Lei, forse perché diretta dal marito, gigioneggia in una parte che avrebbe potuto essere incisiva con una maggiore convinzione, ma che purtroppo rappresenta l'esempio della caduta di stile di una pur sempre brava attrice.
Insomma un film deludente sotto ogni aspetto, l'inizio invitante non regge il ritmo e si perde in un puerile sentimentalismo, mancano le memorabili impennate di inconfondibili commedie romantiche come "Harry ti presento Sally", ma Freundlich non possiede la divertente sottigliezza psicologica di Reiner, e la sua commedia è destinata a cadere immediatamente nell'oblio, per fortuna.
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Recensione a cura di Pasionaria - aggiornata al 20/11/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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