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Chi meglio di Joaquin Phoenix poteva impersonare "Beau", il protagonista dell'ultimo lavoro dell'osannato Ari Aster, dopo le due perle horror "Hereditary" e "Midsommar". Un'odissea nella mente distorta dell'uomo che nel viaggio per andare al funerale della madre morta, attraversa le sue paure, la sua ipocondria ed i suoi incubi adolescenziali ed esistenziali che è una vera e propria discesa agli inferi per il mite e paranoico "Beau". Un film sicuramente non per tutti, eccessivamente lungo, surreale e grottesco. Phoenix regge da solo tutto l'ambaradan raffigurando in maniera eccellente la situazione psico fisica in cui si trova il protagonista, oppresso dalla figura della madre, interpretata da Patti LuPone, ricca e famosa imprenditrice con cui ha un rapporto difficile fin dall'adolescenza. Dopo le due suddette pellicole di genere, Aster dirige un film di difficile classificazione che spiazza lo spettatore alla fine della visione, perdendosi lungo lo svolgimento per la durata eccessiva per un prodotto del genere e finendo inevitabilmente a dividere la critica ed il pubblico.
Riesce a far trasparire bene il forte disagio psichico del protagonista, ma allo stesso tempo, nonostante il viaggio in varie parti, risulta piuttosto statico e non riesce a dire niente di vario nelle 3 paure. Più o meno tutto quello che succede non ha molta importanza, abbiamo capito che Beau ha dei problemi... e quindi rimane poi anche fine a se stesso e non giustifica 3 ore di visione. Ho apprezzato molto la parte teatrale e cartonesca, veramente ben fatta.
Ari Aster sta migliorando con il tempo e realizza un altro film inquietante, un viaggio di 3 ore all'interno della mente umana.
Cosa c'è dentro la testa di un ipocondriaco, agorafobico con il complesso di Edipo? Ci viene mostrato chiaramente con sequenze pazzesche girate con una conturbante bravura registica. La macchina da presa collegata direttamente al cervello del protagonista ci mostra delle visioni? forse? boh, che importanza ha.
Il nesso di tutto lo scopriamo dopo poco, è il rapporto con la madre, il vero Vaillant del film praticamente. Se il figlio è lo specchio dei genitori in questo caso è la versione castrata da una Madre ultra opprensiva e con un odio verso il genera maschile.
Il viaggio che il protagonista fa in "teatro" porta proprio al racconto della sua vita.
Un film bellissimo, difficile capire tutti i punti certo, ma davvero sono tre ore ben spese.
Dopo i successi delle pellicole precedenti Ari Aster ottiene carta bianca e mette in scena un viaggio psicanalitico nella mente umana, tra realtà e sogno. Ci sono tante cose che sono riuscite, la prima parte tra distopia e grottesco, il rapporto velatamente malato tra la madre e Beau, la performance di Phoenix, poi il film prende una piega un po' fuori fase anche in una narrazione tutt'altro che ordinaria. Aster straborda forse troppo, il fatto che sia molto eccessivo e dolente non è nemmeno il suo problema, ma lo è in una maniera non sempre riuscita a mio parere. Ho dei problemi con la parte centrale che poteva essere diversa, forse le parti flashback e altri momenti dovevano prendere il posto di alcune situazioni, tipo la critica alla società americana azzeccata solo in parte e un po' fuori contesto. Per fortuna l'ultima parte riprende quota con l'entrata in scena della madre di Beau. Comunque "Beau ha paura" è coraggioso di questi tempi, non completamente riuscito e non per tutti.
Fondamentalmente è "Eternal Sunshine of The Spotless Mind" rifatto da Wes Anderson con una sceneggiatura di Franz Kafka. O forse Terry Gilliam che dirige "Eraserhead". O David Lynch a capo di "The Truman Show". O forse i fratelli Coen che adattano Il libro di Giobbe per il grande schermo. In pratica Aster mette a segno un colpo non indifferente, ma nel riportare il messaggio si perde nel protrarsi del protrarsi della propria idea, tre ore non sono per tutti in un film non per tutti come questo. Un occhio e pensiero va al pubblico e non al proprio compiacimento personale artistico. Comunque primo atto e confronto con la madre sono una bellezza. Cast ottimo: Phoenix, Nathan Lane e la sempreverde Posey parlano da soli.
Kafka, Lynch o Kaufman permettendo, sarebbe potuto essere un "After Hours" 2.0, il film di Scorsese dell'85 in cui il protagonista, programmatore di computer, subisce per contrappasso un'odissea nell'allucinante caotica anomia dell'esistenza fin'a diventare "L'urlo" di Munch tridimensionale (https://www.bestmovie.it/news/una-delle-voci-piu-straordinarie-del-cinema-mondiale-martin-scorsese-tesse-le-lodi-di-beau-ha-paura-di-ari-aster/843455/). L'incipit del parto e l'epilogo dell'annegamento, sorta di ritorno al liquido amniotico, potevano apparire com'un approfondimento di quel grido secondo le linee guida di Cioran: "La caduta nel tempo" ('64). Ma Arister non ha sufficienti competenze per distinguere la Geworfenheit d'Heidegger, il "regressus ad uterum" di Ferenczi, "Il trauma della nascita" di Rank, l'Edipo di Sofocle e Freud, la figura materna castrante e la paranoia (fondata se si pensa a un horror politico). Oltretutto il capolavoro con Griffin Dunne dura la metà. Tonfo al box office e flop per l'A24 con la sua politica autoriale dell'"elevated horror". https://www.cineforum.it/voti/film/Beau_ha_paura
Se lo dividiamo in quattro parti nella quarta Ari Aster perde il controllo visivo ma non psicanalitico della sua opera. IN UTERO. Nasce e per circolarità torna all'acqua, alla madre, alla caverna del suo utero, spaventato dall'idea di esserlo e di esserlo comunque, ma Aster livella tutti, chi, non ha paura? Gli occhi di Phoenix catartici, sono bastonati dagli avvenimenti tanto quelli dello spettatore. E alla fine arriviamo sfiniti, in uno spettacolo dove i tifosi tornano a casa, che gli sia piaciuto o no il risultato. In mezzo abbiamo l'epoca dei tiktoker, dei ricatti accessori, del più grande ricatto emotivo quello della madre. Eppure Beau non molla, sbagliando circumnaviga l'inconscio, lo rende ferita, vetro, orgasmo mortis, punizione, catatonia, vera tragedia, insistita, reiterata da Aster senza pietà per nessuno di noi. Il film è un'eiaculazione di Lynch, che a una certa perde di controllo ma che torna dove doveva tornare, e noi, fuochi fatui inermi e sfiniti, non possiamo prendere atto e non possiamo più ignorare Ari Aster nel panorama del cinema che è cinema e non artefatto verbale.
Può sembrare un luogo comune, ma questo "Beau ha paura" non è decisamente un film per tutti. Parliamo di cinema artistico, un dramma surrealista lungo ben 3 ore e totalmente incentrato sul perenne stato d'ansietà e le profonde insicurezze di cui è vittima Beau nonchè il suo rapporto con la narcisistica madre, vera radice dei suoi traumi.
Personalmente l'ho amato e gli assegno un voto piuttosto alto non solo perché è realizzato molto bene ma anche perché mi sono rispecchiato totalmente nel protagonista e la sua lotta interiore. La gran parte delle scene mi hanno portato a riflessioni serie ed interne, anche quelle all'apparenza più stupide e ridicole di tutto il film
Mi riferisco ovviamente della scena dell'attico col mostro a forma di pene. Quel mostro credo si tratti di una manifestazione del padre di Beau nella mente dell'uomo. Poiché Beau non sa nulla di lui, il genitore è stato semplicemente ridotto a un pene che la madre ha usato per fare un figlio. Non dimentichiamo che lei è estremamente narcisistica, non vuole rischiare che Beau si affezioni a qualcun altro, nemmeno a un ricordo. L'unica certezza che il protagonista ha è che suo padre è "entrato" nella madre di Beau per procrearlo...
Voto alto dunque ma, detto ciò, comprendo i voti negativi dato che io stesso ad esempio ho aspettato l'uscita del DVD perché penso che ormai nel 2023 essere costretti a stare seduti su una poltrona per 3 ore di fila per questo tipo di cinema sia sostanzialmente sequestro di persona e tortura. Non sono stupito sia stato un grosso flop al botteghino ed è probabile che ora A24 dopo aver accontentato e prodotto questo progetto sentito e fortemente voluto da Aster gli chieda di tornare al cinema horror, genere che tanto ha dato a lui e alla casa di produzione grazie ai primi due lungometraggi.
I commenti entusiasti dei cinefili "impegnati" ti danno come al solito una sola garanzia; i film in cui loro vanno in visibilio sono accuratamente da evitare. E questo non fa eccezione. In un interminabile e stressante polpettone di tre ore ininterrotte di allucinazioni loro ci vedono giochi di riflessi, scatole cinesi, Omero, Kafka, Freud, Cohen, Fellini e chi più ne ha più ne metta. Roba che il protagonista con i suoi miraggi gli spiccia casa. Il tutto in realtà si condensa in deliri snervanti che portano al solito rapporto malato tra madre e figlio. E sai che novità!
Penso che un'ora e mezza in meno avrebbe giovato al film e, soprattutto, a me che mi sono sorbito questa irrefrenabile discesa all'inferno di un uomo paranoico, psicologicamente castrato dalla figura della madre. Mi sento di premiare esclusivamente la bravura del cast, Phoenix soprattutto, e l'aspetto visivo della storia poichè, in termini di sensazioni e coinvolgimento, non mi ha lasciarto un beneamato piffero.
Capolavoro assolutamente imperdibile per le prime due ore poi qualcosa comincia a vacillare, non è chiaro se sia la mente del protagonista ma sembra un trip di LSD che continua a salire in un delirio sempre più discostato dalla realtà, credo che per apprezzarne veramente il contenuto siano obbligatorie almeno un paio di visioni, di certo non in film per tutti ma che sicuramente lascia il segno. Attori eccellenti, regia magistrale. Da vedere almeno una volta per la sua originalità e ricercatezza, per gli appassionati di cinema d'autore una gioia ogni tanto ci vuole...
Il viaggio dentro la mente di un uomo ipocondriaco, prigioniero di paranoie e paure. Il suo sguardo è distorto e la sua realtà, che diventa anche la nostra, è una rappresentazione estremizzata. Il viaggio per il commiato alla madre morta è un viaggio verso le origini di queste paure, cioè una madre castrante che non ha mai reciso il cordone ombelicale nei confronti di suo figlio, ma lo strangola tenendolo stretto al suo mortale abbraccio. Instilla paura verso gli altri, verso le donne, verso il sesso. Phoenix interpreta un personaggio che non conosce catarsi, ne rimane costantemente prigioniero. Anche in Joker, dove è presente un rapporto problematico con la madre, ci troviamo di fronte ad un personaggio simile, ma Joker riusciva ad esternare quella violenza che in Beau rimane sempre all'interno di se stesso. Beau ha paura è uno di quei film che ad una prima visione ti lascia la sensazione di non aver compreso in fondo quello che si è appena visto. Ma il viaggio è affascinante e senza dubbio Aster cerca di variare il suo cinema.
È la prima pellicola che ho visto del regista e dopo aver letto così tante recensioni positive mi aspettavo quasi un capolavoro. Un film che stuzzica i primi 10 minuti per il modo nuovo e surreale di raccontare la visione del mondo del nostro "eroe, peccato che la sorpresa diventi col passare dei minuti stucchevole, ripetitiva e ridondante sfociando in una noia mortale il tutto condito da scene forzatamene sopra le righe e grottesche.Mezzo voto in più perché l'ho visto in lingua originale ed oggettivamente gli interpreti sono bravi ma il film è davvero da bocciare, non sono neanche riuscito a finirlo.
Raramente avere idea di cosa si andrà a vedere, può essere molto utile. Approcciarsi al nuovo di Ari Aster senza una "base", però, può essere respingente. Diversamente, con un po' di consapevolezza, pazienza e disponibilità, può essere una gran bella esperienza. Ma partiamo da una premessa che mi sembra doverosa. Dopo un film "sorprendente", alla seconda opera, gli Autori, se solidi, si confermano. La prova del "9" è quindi la terza. Dove quasi tutti tendono, anche grazie al budget, a spingersi oltre, ad esagerare, a compiacersi. Così anche Ari Aster, pur non abbandonando le sue storie su comunità chiuse/sette (anche qui ci sono circoli ristretti di persone), genera un'opera che è una seduta di psicanalisi, dove qualcuno ci vede l'arte di Fellini, altri di Bunuel, qualcuno di Lynch o Polanski e a seguire una serie di altri importanti e "particolari" Autori. Con questa premessa e consapevole dell'essenziale sceneggiatura attorno alla quale si sviluppano 3 ore di film, mi aspettavo qualcosa di non comprensibile alla "INLDAN EMPIRE"; e invece? invece, la visione non mi è risultata ne fastidiosa, ne respingente, ne irritante; paradossalmente nemmeno così lunga. Ari Aster è eccellente nella messa in scena, il comparto tecnico è notevole, a volte autocitazionista (come con la ripresa capovolta, qui impreziosita da un gioco di riflessi, che poi riprenderà in più occasioni), capace di adattarsi alla narrazione, cambiando costantemente fotografia/colori/filtri, stile e montaggio. Vi sono delle sequenze (soprattutto nel primo atto), capaci di mettere addosso vera ansia, altre imbarazzo, ma mai ho provato disturbo, mi sfuggono le reazioni raccontate sui social. Nel centro, il solito prezioso J.Phoenix, a suo agio in questi ruoli di disagiato, complessato e vittima (già sviluppati ampiamente nella sua lunga filmografia) E il film? ecco ... "qualcuno si è fatto un film"? sarà stato Aster stesso o più probabilmente BEAU il protagonista: un inadeguato, spaventato, probabilmente affetto da Asperger, figlio di "castrante" mamma, o... ,forse il film l'ha fatto la MAMMA? uscito dalla sala (eravamo in 7) mi ronzava un pensiero e cercando di ricomporre quanto avevo visto, ho avuto una suggestione. Di seguito la "mia" spiegazione al film, da leggere solo se lo avete già visto
Beau ha paura, ha davvero paura, un po' come il Bob di "Tutte le manie di Bob" ha una forma di autismo che gli impedisce di vivere con naturalezza quanto accade attorno a lui, pertanto siamo tutti portati a credere che quello che vede è solo nella sua mente. Il primo Atto (il più riuscito) è eccellente in tal senso e riusciamo ad accettare tutte le follie, perchè siamo nella testa di Beau. Ci siamo fin dalla sua nascita, prologo che al cinema al buio e con il giusto sonoro, non può che esserci rimasto dentro. Dal secondo atto in avanti (la famiglia troppo accogliente), ci spostiamo ma la sensazione è che Beau non sia così folle, anzi ci rendiamo conto che lui ha solo paura, si sente semplicemente inadeguato, incapace. Non c'è follia nella sua testa, anzi i suoi pensieri, i suoi ragionamenti sono di persona lucida, ossequiosa, mite. Così, si insinua in me l'ipotesi che quello che di folle accade, forse, forse.... accade veramente. Così arriviamo alla scena "madre", dove Beau finalmente arriva a casa della defunta mamma e si perde nel leggere attestati, riconoscimenti, titoli conquistati da quella mamma così totalizzante. Ci sono delle foto, tante foto che compongono il volto di lei. Sono i suoi dipendenti? mi sembra di riconoscere qualche volto incontrato in uno dei precedenti Atti. Ecco, per dare risposta alla mia "suggestione" dovrei rivedere con un fermo immagine queste foto. In questa sequenza ci sono tutte le possibili risposte, ma poi la conferma è ancora in altro episodio. Ad un certo punto ricompare un personaggio dato per morto (tra l'altro attore appena visto in As Bestas, attore che se non avessi visto quel film, mai avrei focalizzato); com'è possibile che sia ancora vivo? Poi il gran finale, che ci svela un vita spiata da telecamere. Riprese già "spoilerate" da una delle "attrici" (la mamma della copia troppo accogliente) di qualche atto prima. La mia suggestione trova compimento. Lo psicologo è attore, la fidanzatina dell'adolescenza è attrice, anche la mamma inscena un ruolo. Siamo dentro un SET, siamo dentro un BEAU Show, novello Truman. Ogni atto si svolge in set circoscritti. Come è possibile? La mamma è ricchissima e pare avere il controllo su tutto (anche sulla sua morte inscenata). E' lei burattinaia di suo figlio (usato anche con testimonial per qualche cura). Lei gelosa delle attenzioni di lui, non disposta ad accettare di condividerlo con nessuno, al punto di chiuderlo in una virtuale prigione. Lontano da affetti altri, impossibilitato a proprie iniziative, Beau non può emanciparsi. Qual è il miglior controllo che si può avere sulle persone (ma anche sulle masse)? La PAURA. "Devi prendere la pillola, ma attenzione sempre con dell'acqua" cos'è se il più forte dei condizionamenti?
Può sembrare folle, ma rileggendo il film intero come un "Truman show" tutto torna
Stante l'utente sottostante che mi ha preceduto, decido di imbrigliare un po' il voto. La verità è che "Beau ha paura" è il vero concetto non solo di autorialità, ma proprio di arte: nessun compromesso né volontà di compiacere lo spettatore, vittima che subisce e registra passivamente quanto mostra lo schermo. Ari Aster orchestra una vera e propria discesa negli inferi; una traversata che non ha i crismi della redenzione, quanto i tratti di un'espiazione grottesca e allucinata. Pur con una netta suddivisione in 4 atti, il film sterza e deraglia senza soluzione di continuità; si concede finanche un gioco a scatole cinesi che corrompe la prospettiva in soggettiva, sino a contaminare di incertezze il teatro di battaglia: quanto le responsabilità dei genitori ricadono sui figli, e fino a che punto il figlio cuce, su misura delle proprie paura, lo spauracchio del proprio creatore?
L'esperienza - al netto di un approccio ermetico e la durata di gargantuesca misura - resta un unicum nel mio personale bagaglio cinematografico.
Ari Aster, Hereditary e il meraviglioso Midsommar, si conferma una delle voci autoriali più interessanti del nostro panorama moderno (lo pareggiano Garland, Peele ed Eggers).
Ho l'ingrato compito di aprire le danze su "Beau ha paura", già sicuro che i commenti saranno polarizzatissimi sui due estremi, perché il film di Aster è oggettivamente divisivo come pochi. Visto ieri al cinema e, a caldo, mi verrebbe anche da dargli un 10 pieno, perché qua si viaggia su livelli altissimi. La visione più o meno casuale di Midsommar mi aveva sinceramente impressionato; non ho perso tempo e guardando Hereditary ho capito che quello per Aster era amore e che il suo è un talento purissimo. Ma con Beau ha paura siamo decisamente oltre, un territorio per me ancora inesplorato. Sinceramente non so se siamo di fronte ad una nuova stagione del cinema d'autore americano, ma dopo i lavori di Eggers, dei Daniels e di Aster, ma la sensazione un po' c'è e l'A24 questa cosa l'ha ben capita. Permettetemi un triplo carpiato: questo film ha tantissimo in comune con Everything Everywhere all at once, non fosse altro che entrambi hanno dentro tutto, ma proprio tutto, anche se ovviamente parliamo di prodotti diversissimi tra di loro. Da Omero a Kafka, da Freud ai Cohen, passando perfino per Roman Polanski (qualcuno mi dica se i riferimenti che vedo a Chinatown sono solo nella mia testa), Todd Philips e ovviamente la New Hollywood, io sono uscito dalla sala letteralmente ubriaco, smarrito ed esaltato al tempo stesso. Aster ti butta nel frullatore e perlappunto vieni fuori spappolato, poi sta a te scegliere se come cosa ti piaccia o meno. Io l'ho adorata, ma non è per tutti.