Una suora del XVII secolo in Italia soffre di inquietanti visioni religiose ed erotiche. È assistita da una compagna e la relazione tra le due donne si trasforma in una romantica storia d'amore.
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Un film mediocre, che gioca molto sull'impatto visivo nella relazione omosessuale tra le protagoniste. La storia è molto romanzata, e il taglio quasi caricaturale-grottesco dei personaggi non aiuta.
Sesso, denaro e potere lì dove s'accede previo triplice voto di castità, povertà e obbedienza. Il film ricorda com'all'epoca la scelta religiosa o consacrata fosse compiuta di rado per vocazione e molto più spesso per necessità, inoltre la storia della vita monastica, claustral'e sacerdotale è stracolma di vicend'erotiche d'ogni "gender". Ma Verhoeven è interessato a questo? Se è "allergico a qualsiasi forma di manicheismo, [posizionandosi] nelle zone d'ombra del desiderio e della fede" (Marzia Gandolfi), avrebbe fatto meglio a selezionare un racconto diverso da quello di Benedetta Carlini, che non è giunto a noi con documenti che avvalorino i suoi dubbi (esiste del manicheismo pure nello scetticismo a oltranza), dalla veracità vocazionale alle stimmate, dai miracoli alle visioni (distantissime dalla visionarietà di Ken Russell): è lui come regista e non i resoconti a noi pervenuti sulla suora a insinuare menzogne, manipolazioni, ambiguità, inganni, truffe, collassando mistica e mistificazione con inserti presi a casaccio da Giovanna d'Arco. "Scritto con David Birke, dopo che l'abituale Gerard Soeteman ha mollato per divergenze creative" (Federico Pontiggia). Da ateo materialista ad ateo materialista: il fondamentalismo fa schifo in qualsiasi caso.