Una casalinga americana negli anni '50 vive con il marito in una comunità ispirata da ideali utopistici, ma finisce con lo scoprire segreti disturbanti sui suoi compagni di avventura.
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Siamo negli 50 statunitensi o forse no? Le vite di alcune famiglie trascorrono piacevolmente senza intoppi. Non ci sono discorsi su tasse, conti, affitti, mutuo, rate dell'auto. Tutto è colorato, meteo costantemente piacevole. I mariti al lavoro tutti insieme e le donne in città a sistemare casa, incontrarsi per scambiare chiacchiere bevendo cocktail freschi e dissetanti.
Ma un evento colpisce l'attenzione di una di queste donne, che piano piano attraverso momenti di rimembranza si vede in altri luoghi, circondata da persone arredi e usanze completamente diverse. Sono sogni? Sembrano reali. Col marito si interroga e nascono i primi contrasti.
Dove vivono queste persone? in che luogo e quale epoca?
Il sogno di molti uomini è avere una vita come quella di Harry: un lavoro apprezzato, una casa perfetta, una moglie bella e disponibile che lo accoglie con un drink, la cena pronta, la musica in sottofondo, tanti baci e carezze. Questa giovane coppia ha tutto per essere felice e sembra che lo sia davvero. Siamo negli anni '60 e la protagonista, la bella moglie di Hary, è Alice che incarna un vero e proprio ideale maschile. La sua vita è tutta casa, marito, lezioni di danza, cene con gli amici, chiacchere tra donne. Questo scenario era piuttosto diffuso 60 anni fa ma ora ci sembra così sbagliato, come se Alice fosse una vittime inconsapevole di tutta questa perfezione alquanto irrealistica ai nostri occhi. Ho apprezzato molto questo film, in cui la protagonista Alice/Florence Pugh e la registra (Olivia Wilde) sono entrambe davvero brave.
L'ennesima distopia sulla scelta che diventa prigione dorata. Senza voler rivelare troppo, mi chiedo con quale coraggio si possa proporre al pubblico un simile reimpasto di cose già viste mille volte, e la risposta è che questo tipo di cinema preconfezionato e già ampiamente digerito è indirizzato a un pubblico che in realtà non ha mai visto niente, tutto concentrato a riunire una brava attrice del momento e una pop star da sbavo per le ragazzine. Il moderatissimo riscontro economico testimonia solamente l'assoluta mancanza di centralità del cinema per le moderne platee. Pistolotto a parte, la Wilde sembra essere regista dalle notevolissime capacità e tutte le digressioni oniriche costruite come inquietanti coreografie alla Busby Berkeley sono veramente ben fatte, così come confezione e cura del dettaglio sono di alto livello. Purtroppo il contenuto è a dir poco derivativo, posticcio e francamente di nessun ulteriore interesse, dopo veri capolavori su temi affini che gli interessati farebbero bene a vedere e rivedere.
Se qualche annetto fa m’avessero detto che la Wilde sarebbe diventata una valida regista mi sarei messo abbastanza a ridere - considerato anche molte pellicole a cui ha partecipato da attrice - oggi devo dire con piacere che dopo una discreta ma interessante commedia di formazione come “Booksmart” realizza un’altra opera niente male.
“Don’t worry darling” inizialmente non mi stava piacendo più di tanto, per una buona prima parte di film l’ho trovato alla stregua del resto dei film antiborghesi e filofemministi col solito modus trito e ritrito di mostrare la famigliola ( o società, o vicinato, o quello che c’è, cambia poco) falsamente felice che dietro nasconde un sacco di ipocrisia e repressione.
Invece andando avanti col minutaggio cambia tutto, tra qualche bella visione surrealista stilizzata elegantemente e una serie di verità che cercano di venire nascoste coercitivamente dai personaggi responsabili, l’opera mostra molto di più, in particolare oltre la componente da thriller a sfondo fantascientifico che può ricordare varie opere tra gli anni novanta e i primi duemila, ho apprezzato molto il sottotesto alla base della trama principale.
Il personaggio di Harry Stiles, che interpreta il marito di Florence Plough parte da un presupposto di superiorità nei confronti della donna e si permette di prendere decisioni riguardanti la vita di lei senza neanche consultarla, ma ingannandola, la cosa che fa riflettere è che effettivamente il personaggio è in buona fede, colpevole assolutamente sì, semplicemente non si rende conto del suo errore, pensa di fare una cosa giusta. E tutto questo è un riflesso del pensiero del genere maschile nei confronti delle donne, un pensiero che le trova incapaci di prendere decisioni autonome, un pensiero arretrato e tradizionalista che da all’uomo il diritto per decidere per tutti i membri della famiglia, è questo il ritratto che mi ha colpito di più nel film e la Wilde è stata molto brava nel mostrarlo creandoci tutta la contestualizzazione della realtà virtuale attorno e applicandola a tutte o quasi le famiglie che compaiono su Victory.
Un po’ meno interessante il personaggio che interpreta la stessa regista che, quello si, effettivamente cade in uno stereotipo abbastanza facile della classica madre incapace di elaborare il lutto che si rifugia in una falsa realtà consolatoria.
Carino visivamente con un’estetica delicata, con un contrasto sottolineatissimo tra la colorata finzione di Victory e la buia realtà “Don’t worry darling” è un prodotto di discreta fattura che si ritaglia un posticino interessante tra i thriller fantascientifici che vogliono dire qualcosina in più.
Non conoscevo assolutamente questo film, l'ho visto per caso e mi ero già dimenticato il nome prima di commentarlo. Don't Worry Darling è un'opera perfettamente rientrante nei canoni del genere distopico e pieno di citazioni e omaggi da ricercare e apprezzare. Ricalca un tema come quello della realtà virtuale già visto ovviamente in altri film precedenti, come ad esempio la saga di Matrix o, ancora meglio, nella pellicola del 2009 dal titolo "Il mondo dei replicanti" del regista Jonathan Mostow. Eppure tale evidente copiatura pur facendo figurare questa pellicola come assolutamente non innovativa, non ha creato in me un senso di disprezzo o nel ridurla a considerare come un prodotto da seconda linea. Non sarà perfetto, ma è comunque un film coeso e interessante dove le interpreti femminili dominano la scena, guidate da una Florence Pugh che con la sua Alice si mangia lo schermo. La regista Olivia Wilde ci regala un prodotto intrigantemente patinato, ma allo stesso tempo ella ha saputo amalgamare tale piacevole facciata con una trama che ha saputo unire un'apparente commedia romantica con un genere diametralmente opposto quale appunto è il thriller addirittura dalle venature horror. Inoltre ci appare logico che, per come viene sviluppata la trama e per come ci viene descritta la maniera in cui certa società ( in questo caso quella americana degli anni '50, ma io direi non solo quella) ha spesso oppresso e tenuto sotto controllo l'universo femminile. Probabilmente in futuro lo riguarderò, perché certe cose vorrei capirle un po' meglio, rimane comunque un prodotto ben confezionato, con dei significati anche profondi.
Olivia Wilde alla sua seconda regia dimostra di avere buone doti tecniche con scrupolosa attenzione alla rappresentazione formale in un thriller dai risvolti sci-fi che pur non presentando innovazioni nel genere è abbastanza intrigante ed affascinante. "Victory" è il quartiere periferico nel bel mezzo del deserto californiano dove vivono delle coppie in una brillante cornice anni cinquanta dove tutto scorre seguendo comportamenti abituali e tutto è perfetto nei più minimi particolari. Alice la protagonista, interpretata da un'ottima Florence Pugh, inizia ad avere segni premonitori che in quel piccolo mondo utopistico c'è qualcosa che non quadra. Una sorta di rivisitazione de "La Fabbrica Delle Mogli" romanzo di Ira Levin da cui furono tratti altri due film con un finale che la Wilde riesce a rendere sorprendente ed inquietante mettendo in risalto la posizione della donna negli anni cinquanta ed il suo emanciparsi nel corso del tempo. Harry Styles e Chris Pine abbastanza sottotono meglio i comprimari, la graziosa Pugh regge da sola l'intera pellicola.
Florence Pugh la conoscevo già (Midsommar) Styles si conferma perfetto per interpretare personaggi qualunque anonimi Olivia Wilde accenna un futuro da regista interessante, ma la storia è banalotta e inflazionata
Il film è risultato comunque utile: non sapevo che il modo di dire corretto fosse 'accesso d'ira' e non eccesso.
Mi viene il dubbio che nel mondo virtuale di Victory l'occupazione super segretissima dei mariti sia giocare a tennis…
Patinato, ma intelligente. Rarefatto, ma coinvolgente. A tratti stucchevole, ma con citazioni di classe. Ottimo cast, la Pugh incanta e sostiene tutto il film. Film con molti alti e parecchi difetti, merita una visione.
Non male questo film, la trama non è originale però nel complesso non mi sono annoiato. Bravi gli attori e buona regia. Peccato perchè poteva essere un film migliore.
Olivia Wilde firma una pellicola di fantascienza "femminista" che cita altre pellicole, cioè le ricorda alquanto, e quindi non va oltre una buona confezione vuota. Si lascia vedere, ma non certo ricordare.
Metaverso della realtà alternativa, il progetto Victory è poco chiaro, misterioso, forse pericoloso. Ennesima rilettura sul tema, quest'opera prima di Olivia Wilde utilizza la fantascienza per raccontarci del maschilismo e della violenza psicologica (e fisica) degli uomini. Inevitabilmente la figura di Florence Pugh incarnerà l'eroina che affronta il sistema di potere dominante. Tema importante e quanto mai attuale, resa cinematografica scarsa. La sceneggiatura non riesce nella prima parte a costruire tensione, rimane un film piatto sul lato thrilling e che si affida qua e là a qualche espediente onirico che non va a segno. Non riesce neanche a mascherare bene la sua ambiguità, dato che puntualmente non lascia solo degli indizi ma li spiega allo spettatore (perchè non giocare sulla pazzia invece di farci vedere cosa è successo a Margaret tramite gli occhi di Alice?) Se poi un film così arriva a doverti spiegare tutto significa che le cartucce precedenti non hanno svolto il loro mestiere, e ciò risulta chiaro dall'ingessatura che il film si auto-costruisce: poco sviluppata la coppia Pine/Chan, nebuloso il progetto Victory fino a quando tutto non viene spiattellato, praticamente assente una coerente build-up di violenza.
Un tema così interessante e politicamente attuale come quello dell'egoismo maschile e della volontà femminile di mettere in discussione i rapporti di forza è depotenziato all'interno di schemi e soluzioni già viste. E infatti il film si affida al massimo ad una messa in scena curata e imbellettata ma che puzza di riempitivo rispetto ad uno sci-fi che vorrebbe puntare alto e che invece non riesce ad offrire che bei visini e bei vestitini (ah, Harry Styles non recita, fa semplicemente imbarazzo).
Oltre l'ottima fotografia per il resto mi sembra nulla di trascendentale, tra l'altro anche poco chiaro in alcuni passaggi che lasciano senza risposta alcuni punti interrogativi che tali rimarranno per tutta la durata del film
Questo film è un opera imbonitrice di alto profilo, un prodotto ben realizzato ma che non serve a niente ma che è comunque quello che vuoi vedere.
Ci sono indizi sulla fantascenza anni '50, periodo storico in cui "sembra" ambientata la storia e ai piu' recenti mondi paralleli di Matrix e The Truman show come gia' detto. E ho sicuramente citato film migliori di questo.
Sicuramente un ottimo intrattenimento che con un finale come questo (pessimo ma furbo) puo' lasciare aperto un dibattito molto lungo.
Feste, festini, qualche accenno onirico-paranoico e dialoghi stucchevoli caratterizzano quasi tutto il film, che poi culmina in un finale un po' più animato ma che, comunque, non lascia soddisfatti, mancando di cura e di precisione. Cast e regia fanno la loro parte ma è la storia in sè che non prende, non coinvolge totalmente e non intriga, mostrando inoltre poca originalità e troppa ripetitività.
Per due terzi il film e' anche buono, pur non essendo esente da difetti. L'ultimo atto pero' diventa molto confuso e raffazzonato, la regia perde di focus e la narrazione si sfilaccia. Personaggi e temi che sembravano molto importanti (come per esempio Frank e tutto il tema del "a cosa lavorano i nostri mariti") si perde nel nulla, e francamente la cosa e' spiacevole giacche' si trattava dei punti di principale interesse del film. La risoluzione della vicenda poi e' parecchio approssimativa, e in generale il ritmo del film e' molto lento - nel senso deteriore, in quanto ripetitivo - e la noia spesso fa capolino. I primi due atti sono discreti, anche se i momenti di maggior drammaticita' (il "ballo" di Jack sul palco in primis) non sono gestiti al meglio - perche' la scena in contemporanea con Alice e Bunny nella toilette e' veramente insulsa e patetica. Per una lunga fase iniziale poi, si accumulano ossessivamente canzoni anni '60 una dietro l'altra senza un vero costrutto e senza reale corrispondenza con quanto vediamo in scena, solo per ricreare forzatamente l'atmosfera di quegli anni, ma sono talmente opprimenti che piu' volte mi sono chiesto se il film fosse in realta' un musical. Peccato perche' ancora una volta l'idea di base, pur non originalissima, era interessante e si prestava a sviluppi potenzialmente rimarchevoli, se fosse finita nelle mani di una regista meno ossessionata dalla sua visione distorta del femminismo, decisamente misandrica.
Qualcuno dovrebbe spiegare a "Tredici" la differenza tra società alternativa ("Westworld" [Crichton 1973], "La fuga di Logan" [Anderson 1976], "The Village" [Shyamalan 2004], "The Circle" [Ponsoldt 2017], "Midsommar" [Aster 2019], "Vivarium" [Finnegan 2019] ,ecc.) e realtà virtuale (il Putman di "Brains in a vat" [1981]) e dunque "The red or the blue pill?" da "The Truman Show" a "Pleasantville" e "Matrix"), nonché quella tra femminismo e propaganda "woke" misandrista. Ritagliandosi l'unico ruolo di carnefice secondo lei salvabile ("È stata una mia decisione da madre, per rivivere coi miei figli"), assieme alla fida sceneggiatrice Katie Silberman firma un 3° atto ignobile. https://www.cineforum.it/voti/film/Don_t_Worry_Darling
È facile lasciarsi andare all'entusiasmo puro nonostante un finale che non dice niente, qualche artificio visivo di troppo, l'aria derivativa da Truman Show a Matrix a Far from heaven etc. che si respira. Eppure a modo suo è un film che ubriaca per il suo coraggio. Un microcosmo fasullo della bellezza più terrificante, fatta di donne/mogli svampite e maschi/mariti di rara imbecillita' umana, forse per i suoi Rimandi al Contemporaneo (il Mondo altrettanto falso che "chiude" la Vita per salvarci, come nell'era del Covid) e soprattutto per la splendida prova della Pugh, attrice superlativa, donna bellissima, sensualità e sensibilità in una stessa persona. Da immagini di repertorio dove un montaggio alla Anorofsky introduce è replica coreografie di Berkeley, guizzi visivi quasi surrealisti e Walt Disney fino a una bellezza tediosa che, ripeto, tende a ricreare quel Mondo misogino e maschilista dove le donne non hanno alcuna voce in capitolo, se non di preparare la cena ai loro odiosi Mariti. Da segnalare il Santone di turno, uno ******* yuppie che mi ha vagamente ricordato il Gig Young presentatore di una massacrante maratona di ballo in un Capolavoro di Pollack del 1971 (il film era "Non si uccidono così anche i cavalli?"). E al di là delle riserve questo è un film che Osa, anche se non sempre in maniera attecchita. Sicuramente un film inquietante sul Modello di Vita che impone la propria scelta, come già ampiamente espresso da Peter Weir
Cos'ha di nuovo "Don't Worry Darling"? Assolutamente niente; il 90% del film sono cliché appartenenti ad un certo tipo di narrativa fantascientifica a cui ormai lo spettatore e' pienamente abituato da anni. Talmente abituato che se anche ne si parlasse a chi non ha ancora visto il film, faticherei a considerarli spoiler. Anche lo sfondo e' quanto di piu' stereotipato esista: a Victory si vive il perfetto sogno americano degli anni '50, le villette in cerchio alla fine della strada, i mariti lavoratori e mogli casalinghe affaccendate, impeccabili ed obbedienti. La comunita' idilliaca dove trionfa l'armonia e la comunione d'intenti. E' la ricetta perfetta del film "gia' visto", eppure Olivia Wilde dimostra che per fare un buon film non e' strettamente necessario avere qualcosa di nuovo da dire, ma quel qualcosa saperlo dire e raccontare bene, e altrettanto bene metterlo in scena. "Don't Worry Darling" e' un film che si gode il giusto, non privo di difetti ma sicuramente coinvolgente e capace di gestire bene la tensione nel disvelamento della veritá; le performance della Pugh e di Styles sono valevoli (pur nel contesto degli attriti avuti sul set durante le riprese) e molto belle le angoscianti musiche a vocalizzi di John Powell (non mi dispiacerebbe un Oscar) Il grosso rischio che corre il film (e la Wilde con lui, anche se temo la cosa sia coscientemente ricercata da parte sua) e' di essere letto come un manifesto ideologico a supporto di una denuncia sociale, tendenza che prende piede facilmente soprattutto in America (é stato il razzismo/BLM in "Get Out" di Peele, ad esempio, ed e' il femminismo e l'emancipazione della donna qui) Io lo considero solo un buon techno-thriller, come tanti ne esistono, che riflette su temi cari al genere, come l'identita' dell'individuo ed il suo rapporto con realta', rappresentazione e finzione.
Insomma poteva essere migliore, certo che Olivia Wilde come regista ci ha messo moolto del suo. Soprassiedo sulla coppia Harry Styles e Florence Pugh, senza infamia e senza lode, certo se ci fosse stato un attore più in parte nei dialoghi.... semplicmente Styles non è UN ATTORE in Dunkirk quasi non parlava, qui fortunatamente si contiene ma certo non è che fa faville. Comunque la chimica con Florence effettivamente è ridotta al lumicino. Lei stessa riesce a mantenere una performance valida ma comincio a vedere una "stanchezza" come se non sapesse bene quale registro adoperare nell'interpretare una ragazza negli anni 50. Aggiungiamo che il resto del cast è di comprimari semplici, Chris Pine appare praticamente TRE VOLTE. Per il resto ALEGGIA sulla comunità con la sua voce. Inutile dire che Olivia Wilde ha scopiazzato tutto e niente, alla fine la storia si avvia ad un finale alla
ma il tutto ha una frettolosità che sinceramente non aiuta, dal punto di vista registico la Wilde è più che capace ma è proprio la storia con tutto il corollario
di mondi alternativi dell'inconscio, un mondo di cacca al di fuori e Florence sequestrata dal marito fallito che non vuole altro che vivere perennemente nel metaverso
tutto questo non fa reprimere qualche sbadiglio è soprattutto non ottiene altro che il film sia più che dimenticabile.
Affascinante, piacevolissimo thriller con una regia impeccabile, resa ancor più bella dai colori, costumi, scenografie dell'America Anni '50. Bravi gli interpreti. Ottimo film.
Ciao. Visto ieri sera al Giometti di Pesaro. Film molto interessante girato dalla Wilde. Ottima rappresentazione degli anni 50, bella fotografia, scenografia, storia, anche se dopo poco
L'America degli anni 50 è un'immaginario collettivo sempre evocato. Con i suoi quartieri suburbani perfetti, dalle geometrie precise, dove i ruoli di genere sono ben definiti. E' un epoca tutto sommato semplice, povera di seghe mentali rispetto al caos della vita attuale. Gli uomini vanno a lavorare ad un progetto segretissimo mentre le donne stanno a casa, chiachierano fra di loro, fanno shopping e partecipano a corsi di danza. Alice (il cui nome non è certo casaule) comincia ad intravedere le crepe di questa perfezione come il Todd Haynes di Lontano dal paradiso o i melodrammi di Sirk ed il caos prende piede all'interno di questa perfezione. La Wilde confeziona un film piuttosto ambizioso, in un'epoca mitizzata, con molti riferimenti precisi alla fantascienza anni 70 (la fabbrica delle mogli) e richiami all'attuale (è lo spoiler del film, ma in fondo abbastanza prevedibile). Mette tanta carne al fuoco la Wilde e sia pure con tutte le polemiche sulle frizioni fra lei e la Pugh sul set, il film ha un suo perchè, merito anche della Pugh che riesce a sostenerne il peso. Non un film privo di difetti, però affascinante nel suo complesso.