e se oggi... fosse gia' domani? regia di Kevin Billington Gran Bretagna 1973
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e se oggi... fosse gia' domani? (1973)

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locandina del film E SE OGGI... FOSSE GIA' DOMANI?

Titolo Originale: VOICES

RegiaKevin Billington

InterpretiDavid Hemmings, Gayle Hunnicutt, Lynn Farleigh, Peggy Ann Clifford, Eva Griffiths, Russell Lewis

Durata: h 1.31
NazionalitàGran Bretagna 1973
Generehorror
Al cinema nel Dicembre 1973

•  Altri film di Kevin Billington

Trama del film E se oggi... fosse gia' domani?

Robert e Claire hanno da poco perso il loro figlioletto David, annegato in un fiume. Dopo aver fatto provviste e lasciata, per via della nebbia, la macchina sul ciglio della strada, i due arrivano alla loro villa. Qui Claire inizia a convincersi di non essere sola, cosa che viene confermata quando inizia a sentire delle voci. Robert inizialmente non le crede, ma alla fine dovrà ricredersi quando anch'egli inizia a sentirle.

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Voto Visitatori:   6,83 / 10 (6 voti)6,83Grafico
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Voti e commenti su E se oggi... fosse gia' domani?, 6 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  02/01/2013 20:19:19
   5½ / 10
Il dolore per la perdita del figlio apre le porte ad uno psicodramma dove emerge la profonda crisi di coppia tra due persone divise fra l'accettazione e il rifiuto della perdita. L'incipit era sostanzialmente buono ed il finale ad effetto con annesso ribaltamento molto interessante e sorprendente, almeno con gli occhi di allora. Quello che convince meno é la rigidità della messa in scena, eccessivamente teatrale che se da una parte mette in mostra le ottime capacità recitative dei due protagonisti, dall'altra rende oltremodo pesante un soggetto che diventa noioso e ripetitivo e lasciando scorrere via con fin troppa facilità gli elementi che potevano apportare più sostanza a questo lavoro (Il rapporto madre/figlio). In defintiva più buono nelle intenzioni rispetto alla sua realizzazione.

KOMMANDOARDITI  @  13/04/2011 19:29:43
   5½ / 10
---ATTENZIONE - IL COMMENTO PUO' CONTENERE ANTICIPAZIONI---
Chi dovesse affrontare la visione di questo film, previa buona volontà, pazienza ed adeguata freschezza mentale, non potrebbe che meravigliarsi dinanzi alla mole così imponente di elementi, temi, soluzioni e colpi di scena, che rimandano a tutta una serie di opere celebri e meno celebri, a partire dai sixties sino ad arrivare ai giorni nostri. Uno stupore di brevissima durata, sia chiaro...
La storia è quella di una coppia, composta da David Hemmings e Gayle Hunnicut, che dopo la tragica perdita del proprio unico figlioletto, inghiottito dalle acque di un fiume e mai più ritrovato, decidono di andare a trascorrere un po' del loro tempo nell'intimità di una villa sperduta tra le campagne inglesi, con lo scopo principale di rinsaldare il loro rapporto, sfaldato ed indebolito dal grave lutto patito. La donna ha alle spalle un periodo nerissimo di esaurimento nervoso ed è appena stata dimessa da un istituto di cura, benchè continui a rivivere ad occhi aperti alcuni terribili momenti del suo tentato suicidio, inframmezzate da immagini inquietanti di non chiara decifrabilità. Come tradizione insegna, marito e moglie, rinchiusi in uno spazio isolato e ristretto, non potranno far altro che dare il via al rodato carosello autolesionistico fatto di ripicche, rinfacci, recriminazioni, perfide cattiverie ed asti passati cinicamente riesumati; ma in quella dimora abbandonata e polverosa i due non saranno soli e lo stato reale delle cose non tarderà a disvelarsi in tutto il suo orrore ineluttabile.
Il mondo visto con gli occhi di chi è morto e non sa di esserlo, la ribaltata percezione di quelle ignare anime trapassate che scrutano i vivi come fossero loro le paurose entità ultraterrene, l'inconsapevole aldilà che osserva il suo controcanto dall'altro lato dello specchio, quello senza riflesso: l'artifico è lo stesso di recenti successi come IL SESTO SENSO e THE OTHERS. Che dire poi dell'incidente automobilistico mortale, che apre e chiude l'ingannevole excursus spiritico dei protagonisti, il medesimo di quel piccolo e sconosciuto gioiellino del macabro anni '60, noto col titolo di CARNIVAL OF SOULS (quel CARNEVALE DI ANIME apparso non molto tempo fa sul Fuori Orario di Raitre). L'affogamento del piccolo, l'inconsolabile madre sconvolta dai deliri di rimorso, la presenza di una medium non possono che richiamare con forza il coevo e conterraneo capolavoro di Roeg A VENEZIA...UN DICEMBRE ROSSO SHOCKING; senza dimenticare la candida bambina che gioca con la palla, proveniente direttamente dal baviano OPERAZIONE PAURA, prima ancora che dal felliniano TOBY DAMMIT (terzo episodio del corale TRE PASSI NEL DELIRIO).
Volendo spingersi addirittura oltre nella pignoleria dei parallelismi, emergerebbe distintamente come l'infanticida disattenzione da amplesso coniugale "prolungato" sia stata una dinamica chiave ripresa pari pari, a quasi 40 anni di distanza, da un'opus viscerale quale l'ANTICHRIST di Von Trier o dallo snobbato e crudelissimo LES 7 JOURS DU TALION di Daniel Grou.
Nonostante la straordinaria quantità di riferimenti metatestuali, uno più affascinante dell'altro, la pellicola disattende amaramente le aspettative, intrappolata com'è nella tetra staticità british che affliggeva all'epoca anche gran parte del cinema di genere d'oltremanica.
Kevin Billington era reduce dall'assurda e sgangherata trasposizione vernesiana de IL FARO IN CAPO AL MONDO, insolito prodotto fanta-avventuroso in cui aveva già dato prova di scarsa capacità nel calibrare lucidamente le diverse componenti in gioco (e di nessun aiuto poteva risultare lo scombiccherato cast da paura, che riuniva assieme Kirk Douglas, Yul Brinner, Renato Salvatori ed un imberbe Massimo Ranieri...dico Massimo Ranieri!!!) In questa occasione, in verità assai più densa di spunti e possibilità elaborative rispetto alla precedente, il filmaker inglese rivela purtroppo solo la sfiancante propensione ad una rarefazione piatta e limacciosa.
L'atmosfera uggiosa e decadente manca di quella indispensabile funzione espressionistica, che consenta cioè di restituire visivamente il travaglio interiore e le ansie dei due personaggi centrali (il Di Venanzo de IL GRIDO avrebbe saputo ben indicare le corrette coordinate), e finisce così per gravare sugli eventi come un pesante mobile di fine Ottocento.
L'accompagnamento musicale pianistico appare blandamente decorativo ed inefficace e tende a spegnere ancor più il grigiore della mono-location, mentre l'indolenza degli sviluppi narrativi viene spezzata e rallentata ulteriormente da farraginosi flashback innestati e montati senza quella sufficente convinzione, privi per di più di palpabile potenza evocativa.
Le caratterizzazioni dei due protagonisti, sfuggenti ed ondivaghe, non scansano i classici difetti delle produzioni low-budget anni '70: Hemmings è statico, inerte, scialbamente indeciso; la Hunnicut si trascina invece, con menefreghistica casualità, tra il registro isterico, quello patetico e quello atterrito. L'azzeramento del coinvolgimento da parte dello spettatore è fin qui pressochè totale.
Senza dubbio, un valido motivo di riflessione resta il momento clou del rapporto sessuale che, in ambedue le occasioni in cui si presenta, sembra apportare quel colpo di coda decisivo per la storia, rimarcando la comunione di sensazioni e destini tra le due figure principali, entrambe compartecipi della medesima realtà. Troppo poco però per coprire il senso di irritante inutilità provocata dagli input psicanalitici e dai ridicoli agganci incestuosi inseriti alla rinfusa, tanto per rincarare la dose di pelosa morbosità vintage, irrorando l'arido languore della trama di una vana e forzata effervescenza.
In definitiva un mistery settantiano freddo, disadorno, immerso in un torpore nebbioso alquanto insopportabile, la cui colpa più imperdonabile è proprio quella di non aver saputo elaborare decentemente il mood ambiguo e la ricchezza metaforica di un argomento tanto lugubre quanto maledettamente seducente.

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3 risposte al commento
Ultima risposta 13/04/2011 20.08.58
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