La passione dell'avventuriero Carlos Firmin Fitzgerald (Kinski), conosciuto con il nome di Fitzcarraldo, è la lirica. La sua idea fissa è quella di costruire un teatro d'opera a Iquitos, dove egli vive, nel cuore della foresta amazzonica. Per poter riuscire nel suo intento accetta di guidare una spedizione a bordo di un battello verso una ricchissima zona di alberi da gomma che intende sfruttare, e tenta imprese disperate di trasportare una nave al di là delle montagne.
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Ritratto viscerale della potenza incontenibile del sognatore, del "conquistatore dell'inutile". Autoritratto quasi di Herzog stesso, film che - pur non essendo il capolavoro di Herzog - è il suo più personale, perché la storia narrata rispecchia la storia della produzione. Come uno specchio riflesso dentro uno specchio, "Fitzcarraldo" rimanda a se stesso, documenta se stesso e il proprio farsi. Si fa mito mentre fonda il mito. Di un'impresa titanica, che aveva uno scopo, che è fallito, che è ugualmente un trionfo: perché l'impresa era lo scopo, perché il film racconta dello spirito più grande della vita (bigger than life). La Natura è un ostacolo alla grandezza umana, la grandezza umana la trascende o almeno può sognare di farlo. Herzog ha finito il film; l'opera risuona in Amazzonia; Kinski che è Fitzcarraldo che è Herzog (che è Marcello, che è Fellini) può esaltarsi perché ha trionfato su se stesso. Un'opera unica.