fratellanza - brotherhood regia di Nicolo Donato Danimarca 2009
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fratellanza - brotherhood (2009)

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locandina del film FRATELLANZA - BROTHERHOOD

Titolo Originale: BRODERSKAB

RegiaNicolo Donato

InterpretiThure Lindhardt, David Dencik, Nicolas Bro, Morten Holst, Claus Flygare

Durata: h 1.30
NazionalitàDanimarca 2009
Generedrammatico
Al cinema nel Luglio 2010

•  Altri film di Nicolo Donato

Trama del film Fratellanza - brotherhood

Lars lascia l'esercito ed entra a far parte di un gruppo neonazi, che organizza raid punitivi contro arabi e omosessuali. L'apprendistato alla 'fratellanza' è duro e Lars viene affiancato dal mentore Jimmy incaricato di testarne l'affidabilità e la preparazione sui testi fondamentali stile Mein Kampf. Imprevedibilmente, tra i due scoppia la passione. Un'amore vissuto in segreto, finchè alla fine le regole razziste e violente del gruppo metteranno gli amanti di fronte all'inevitabile contraddizione: tradire i 'fratelli' di ideologia o tradire l'altro e i propri sentimenti. Qualunque sia la scelta, porterà dritti alla violenza, fisica o mentale.

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Voto Visitatori:   6,58 / 10 (13 voti)6,58Grafico
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Voti e commenti su Fratellanza - brotherhood, 13 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI SENIOR jack_torrence  @  06/07/2010 18:55:12
   6 / 10
Anche a proposito di questo film mi viene da citare Jonathan Littell, come ho fatto per l'incipit della recensione di "Furyo" di Oshima pubblicata su questo sito.

ComeScrive Jonathan Littell che il fascista “si è costruito un Io esteriorizzato che si presenta come una corazza. Tale armatura trattiene nell’interiorità le funzioni desideranti. Ma questo Io-corazza non è mai perfettamente ermetico, anzi è fragile; nei momenti di crisi si frantuma, e il fascista rischia di essere travolto dalle sue stesse produzioni desideranti incontrollabili”. E’ questa la tensione esistenziale, prima ancora che ideologica, da cui trae linfa la vicenda narrata nel film “Brotherhood” dell’esordiente danese Nicolo Donato, vincitore del Festival di Roma 2009.
Il film racconta una passione omosessuale che sboccia all’interno di una cellula di naziskin danesi. Girato con nervosa camera a mano da un regista che esce dalla scuola di Von Trier dei cui canoni estetici si sente l’influenza, il film si nutre del contrasto tra i due mondi che fa cortocircuitare, nell’antitesi tra momenti di estrema violenza e altri di acceso erotismo (reso con mirabile equilibrio tra pudore e intensità: così come intensa e allo stesso tempo timida, pudica quasi, è la passione descritta).
Il protagonista Lars (davvero bravo Thure Lindhardt: ma ottimi appaiono tutti gli interpreti), è un ex sergente che, scottato da una mancata promozione, abbandona la carriera e viene accolto da un gruppo neonazi nei confronti del quale provava un’iniziale avversione. Ne diverrà proselito, blandito nella sua frustrazione dal capo Michael, il quale intravede nel suo sdegno una superiore brillantezza intellettuale di cui il gruppo si gioverebbe. Sono dinamiche, ben descritte nel film, cui Hannah Arendt ha dedicato pagine importanti del suo “La banalità del male”.
Tra Lars e Patrick (Morten Holst) nasce un rapporto in cui Patrick assiste letteralmente senza parole all’emersione della sua interiorità nascosta. Lars rimane più lucido, in un’autonomia di giudizio non scalfita dalle logiche del gruppo, tanto ottuse quanto frutto di profonda immaturità (rivelatore a riguardo il giudizio con cui i neonazi vengono liquidati dalla madre di Lars, della quale per il resto si intuisce un atteggiamento protettivo incentrato sulla carriera, e non ricettivo dell’identità del figlio).
Lars è irriverente, e ragiona abbastanza da attrarsi più spesso le antipatie dei membri omologati del gruppo nazista, i cui comportamenti sono descritti attraverso stereotipi che non si fatica a ritenere purtroppo verosimili. La pellicola avrebbe tratto spessore da un loro più preciso approfondimento, e da un’esposizione meno schematica delle dinamiche interne di potere.
Ma al regista e sceneggiatore interessano soprattutto i risvolti interiori, e li rivestono di adeguate tinte melodrammatiche. Donato ha affermato, riduttivo, che l’ambientazione neonazista fosse un espediente “per dimostrare che l'amore non si può controllare: volevo inserirlo in un contesto in cui non è accettato ma in cui nasce lo stesso”.
I momenti più belli del film sono in effetti quelli in cui i rumori sfumano, e la musica apre un varco a scene di lirismo ricercato, quasi a indicare una (man mano più difficile) via di fuga.
Quello che il film però manca è di sviscerare le contraddizioni dell’animo di Lars, andando al cuore delle loro conseguenze. Come rimane un’esposizione esteriore quella dei cerimoniali nazisti, così la pellicola ci offre un bagaglio di suggestioni e argomenti ben composti fra loro, ma il finale aperto lascia la sensazione di aver assistito alla superficie di un conflitto, di una frattura che è lontana dal risolversi: sia tra i diversi individui coinvolti, sia, soprattutto, nel profondo degli animi.

6 risposte al commento
Ultima risposta 13/07/2010 09.27.36
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