lo sguardo di ulisse regia di Theo Angelopoulos Francia, Grecia, Jugoslavia 1995
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lo sguardo di ulisse (1995)

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locandina del film LO SGUARDO DI ULISSE

Titolo Originale: TO VLEMMA TOU ULISSE

RegiaTheo Angelopoulos

InterpretiHarvey Keitel, Maia Morgenstern, Erland Josephson

Durata: h 02:00
NazionalitàFrancia, Grecia, Jugoslavia 1995
Generedrammatico
Al cinema nel Luglio 1995

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Trama del film Lo sguardo di ulisse

A., un cineasta greco esiliato negli Stati Uniti, torna finalmente in patria. Il ritorno coincide con un viaggio a ritroso nel tempo, nei meandri della memoria, e un'esplorazione meravigliata di un'attualità che sembra quasi irreale. Il novello Odisseo costeggia le insidie di un mondo che non riconosce, da Costanza a Bucarest: un pellegrinaggio sofferto attraverso le ambiguità e i conflitti dei Balcani.

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Voto Visitatori:   7,70 / 10 (5 voti)7,70Grafico
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Voti e commenti su Lo sguardo di ulisse, 5 opinioni inserite

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Filman  @  23/02/2023 11:11:25
   8 / 10
TO VLEMMA TOU ULISSE (Lo Sguardo di Ulisse) è solo un tassello di un'opera più grande e completa, composta sostanzialmente da tutta la filmografia di Theo Angelopoulos, un'opera enorme ma difficile da scindere in elementi separati essendo ogni film una manipolata storia autobiografica sul viaggio, sulla memoria, sulla politica e sulla Grecia. Le peculiarità di questo film sono un più tormentato e opprimente senso di modernità e il tema della guerra, connettore tra due momenti e quindi spartitraffico del tempo. Per il resto la pellicola galleggia in quella nube grigio-celeste di ricordi e sensazioni a cui l'autore ci ha abituato fin dai suoi primissimi film.

StIwY  @  15/02/2015 12:32:53
   5 / 10
Questo film o si ama o si odia.

Io l'ho trovato uno dei più stucchevoli e prolissi mai visti. Keitel, per quanto bravo sia (uno dei miei attori preferiti tra l'altro), non convince affatto in questo ruolo. Tutto sommato però, stravaccati in poltrona, vuoi per il contesto, le immagini e gli scorci cittadini e naturali, riesce comunque a rilassare. Lo paragonerei ad una tazza di camomilla senza zucchero, imbevibile al palato ma tranquillante.

Posetitelmuzeya  @  14/10/2010 11:19:27
   8 / 10
A mio avviso, questo è il miglior film del secondo Angelopoulos (cioè della fase post-La recita), quello in cui i difetti principali del suo cinema sono meno avvertibili, vale a dire un certo autocompiacimento stilistico, un certo "annacquamento" poetico e la tendenza al manierismo; tutti elementi presenti a mio avviso, ma compensati da una sincerità d'ispirazione che rende questo film uno dei suoi più struggenti, emozionanti e sinceri, probabilmente anche a causa della componente autobiografica più accentuata che altrove.
Lo stile di Angelopoulos è caratterizzato dalla concretizzazione in immagini di emozioni pure, ogni sua immagine è una trasfigurazione lirica ed epica della realtà, del paesaggio in spirito, e questo è forse il motivo che rende i suoi film, e Lo sguardo di Ulisse in particolare, delle esperienze visive ed emotive innanzitutto, e dunque poco inclini ad essere oggetto di analisi contenutistiche se non al prezzo di tradire in parte la forza dell'esperienza emotiva costituita dalla loro visione.
Come ha dichiarato il regista stesso, rispondendo a chi gli chiedeva come mai un film incentrato sullo sguardo fosse praticamente privo di primi piani, per rappresentare l'anima non è necessario riprendere lo sguardo dei personaggi, bensì i loro movimenti, per questo Lo sguardo di Ulisse è un film fatto solo di personaggi che si muovono ripresi in campi lunghi e lunghissimi (per questo motivo forse la strana inespressività di Keitel, che sembra un po' a disagio nella parte, è voluta dal regista), e di piani-sequenza lenti e avvolgenti che nel seguire i loro movimenti, il loro girovagare, il loro avvicinarsi e respingersi, avviluppano lo spettatore immergendolo in una sorta di liquido amniotico, riuscendo a portarlo dentro il mondo rappresentato, in un continuum spazio-temporale in cui si fondono realtà e memoria, passato e presente, luoghi reali e trasfigurazioni.

La tematica è più o meno la stessa che il regista continua a trattare ormai da decenni, vale a dire quella dell'erranza e dell'esilio come essenza della condizione umana, e ovviamente anche come riferimento alla propria situazione di esiliato politico.
In un mondo desolato ormai prossimo alla fine come quello della penisola balcanica, devastato dalla guerra, dal caos e dalla disgregazione in seguito al crollo del comunismo, si aggira questo moderno Odisseo, la cui ricerca non può che essere finalizzata al ritrovamento dell'origine, di una purezza e innocenza smarrite. Ma il viaggio ovviamente non ha un fine vero e proprio, esso non è altro che il prodotto di una tensione erotica perpetua, il tentativo apparente di raggiungere un'immagine che ovviamente risiede dentro l'Uomo e non fuori; ma questa immagine non è altro che un simulacro che si ritrae nel momento in cui sembra di essere sul punto di raggiungerlo, o meglio, è l'uomo stesso che una volta raggiuntolo si tira indietro, perché arrivare a possederlo significherebbe porre fine al viaggio, cioè alla vita. La vita è fatta di "cerchi", come dice il personaggio di Erland Josephson, cerchi destinati però a non essere chiusi così come a non avere inizio, un continuo movimento a spirale che riporta ogni volta al punto di partenza, ma che si è costretti ad abbandonare per riprendere il viaggio subito dopo e tornare alla perpetua erranza senza meta.
All'inizio del film, appena approdato nella sua città natale, il protagonista vede una donna che dice di ricordare "da sempre" ma di cui non ci viene rivelata l'identità, la segue come attratto da una misteriosa forza, si promette di parlarle ma non lo farà, la lascerà allontanarsi disperdendosi tra la folla, finendo per scomparire in mezzo a una carica degli integralisti religiosi contro la polizia, come sommersa dal richiudersi dei flutti, mentre la sua voce fuori campo ci fa capire che prima o poi la reincontrerà; e infatti la incontrerà più volte lungo le varie tappe del suo cammino, ma ogni volta sarà costretto a lasciarla per proseguire il viaggio ("piango perché non posso amarti").
Quando alla fine la meta sembra essere raggiunta, e il regista riuscirà finalmente a mettere le mani sui fantomatici tre rulli dei fratelli Manakias, il responsabile della cineteca, "custode di sguardi smarriti", verrà ucciso insieme alla sua famiglia in una delle scene più toccanti del film, e insieme alla donna, a quel fantasma che il regista ha inseguito per tutto il viaggio, proprio poche ore prima che i rulli vengano sviluppati. Nell'ultima inquadratura vediamo il protagonista intento a visionare finalmente la pellicola, quell'origine, quel "primo sguardo" tanto agognato, ma di fronte a sé ha soltanto uno schermo vuoto, mentre la voce off recita il passo dell'Odissea in cui Ulisse annuncia alla moglie il suo ritorno a casa: ritorno a casa che deve avvenire, ma con l'amara consapevolezza che la ricerca non ha portato a nessun esito, forse perché il viaggio di per sé non ha una meta, forse perché l'origine e la purezza non esistono, ("è il primo film, il primo sguardo...ma è proprio vero?") in quanto probabilmente il venire al mondo (e qui il "primo sguardo" di cui il protagonista va alla ricerca è assimilato proprio al venire al mondo) è già un perdere la purezza, contiene già in sè il germe del vagabondaggio perpetuo, un essere destinati alla morte. Tutto il film è fatto di movimenti di macchina semicircolari che avvolgono i personaggi ma non totalmente, quasi a suggerire, per l'appunto, l'impossibilità di chiudere il cerchio.
Fra le scene più emozionanti e commoventi a mio avviso, quella della statua di Lenin smembrata, simbolo della fine di un'epoca e del crollo irrimediabile dei grandi ideali, col protagonista che salpa sulla nave lasciando a terra la donna amata, e quella straziante dell'uccisione finale del custode e della sua famiglia.

E' stato rimproverato al film di essere irrisolto e di girare un po' a vuoto, di lasciare non sviluppati i passaggi narrativi, e soprattutto di cedere eccessivamente ad un autocompiacimento intellettualistico e poetico; l'ultima critica la ritengo abbastanza fondata (e in parte attribuibile come al solito a Tonino Guerra), la lentezza dei piani-sequenza sembra essere a volte un po' fine a sé stessa e in generale tutto il film sembra appesantito da un autorialismo piuttosto evidente. Non concordo sul primo punto invece, visto che non si tratta di un film che vuole narrare, ma che vuole descrivere un viaggio dell'anima, cosa che a mio avviso riesce a fare, rendendo pienamente partecipe lo spettatore del viaggio del protagonista, immergendolo in un universo di immagini spesso di intensità vibrante, che sono la concretizzazione di emozioni pure.


ds1hm  @  31/01/2007 14:58:32
   7½ / 10
è un film che non si sviluppa, che resta quasi vittima del suo stesso potenziale.
seppur non condividendo la scelta del cast (Keitel non riesco ad accettarlo in un contesto del genere, lo trovo e lo sento distante dalla narrazione), il progetto di mescolare memorie individuali con influenze storiche e belliche era stupendo e sarebbe ancora affascinante da affrontare. purtroppo resta quel senso di delusione di un film spento, senza vigore, appiattito dal troppo autocompiacimento artistico, colto ma privo della capacità di presa sulla mente di chi osserva.
in ogni caso da vedere.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento Giordano Biagio  @  22/08/2006 22:52:20
   10 / 10
Un vero capolavoro. Un viaggio tra gli orrori della guerra nei balcani alla ricerca di uno sguardo innocente che rischia di andare perduto.
Piani sequenza lunghissimi anche di un minuto. Capolavoro della cinepresa che ruota a cerchiointorno ai personaggi tutti bravissimi.
Un film che ha vinto vergognosamente poco. Meritava tutto perché è un film sul film, un film per l'arte del film al di là di ogni volgare botteghino.
Unico.

5 risposte al commento
Ultima risposta 15/02/2015 12.37.08
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