l'ultimo dei mohicani regia di Michael Mann USA 1992
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l'ultimo dei mohicani (1992)

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locandina del film L'ULTIMO DEI MOHICANI

Titolo Originale: THE LAST OF THE MOHICANS

RegiaMichael Mann

InterpretiDaniel Day-Lewis, Madeleine Stowe, Russell Means, Eric Schweig, Jodhi May, Steven Waddington, Wes Studi, Maurice Roeves, Patrice Chereau, Edward Blatchford

Durata: h 2,02
NazionalitàUSA 1992
Generedrammatico
Tratto dal libro "L'ultimo dei Mohicani" di James Fenimore Cooper
Al cinema nel Novembre 1992

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Trama del film L'ultimo dei mohicani

La storia del mohicano Chingachgook che durante una guerra tra mohicani e coloni americani e tra francesi e alleati uroni, rimane coinvolto in rivalità personali tra le varie fazioni, fino al tragico epilogo.

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Voto Visitatori:   8,05 / 10 (151 voti)8,05Grafico
Miglior sonoro
VINCITORE DI 1 PREMIO OSCAR:
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Voti e commenti su L'ultimo dei mohicani, 151 opinioni inserite

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Dom Cobb  @  26/12/2021 02:12:26
   6 / 10
Ambientato nell'America di metà XVIII secolo, nel mezzo della guerra tra Francia e Inghilterra, il film narra la vicenda di Hawkeye, figlio adottivo di guerrieri Mohicani, e del suo amore per Cora, la figlia di un comandante britannico che si ritrova a scortare dal padre insieme alla di lei sorella e a uno spocchioso ufficiale britannico...
Michael Mann è un regista strano: dopo aver iniziato la sua carriera a un'età insolitamente avanzata si è imposto non solo per l'accuratezza tecnica delle sue produzioni, ma anche per (a mio parere) una certa fastidiosa freddezza di fondo, un distacco emotivo dalle vicende narrate su schermo che al giorno d'oggi si ritrova per lo più in cineasti a cui Mann ha fatto da modello, su tutti un certo Christopher Nolan.
Ma è anche un certo tipo di distacco tipico di molti registi dell'età d'oro di Hollywood, nomi come William Wyler, George Cukor o Victor Fleming per i quali la storia narrata veniva al primo posto, prima ancora dell'impostazione di uno stile particolare, caratteristica che li ha resi tutti estremamente versatili. Un distacco simile, ma non identico.
Non si tratta di un collegamento casuale, visto che con "L'ultimo dei Mohicani" Mann, abbandonando gli ambienti urbani e i sottoboschi criminali che di solito predilige, si getta in un contesto storico ben preciso e fa di tutto per catturare un tipo di cinema caratteristico dei vari nomi sopracitati. Il suo è un tentativo di ricreare una pellicola dall'approccio e sapore tipicamente vecchia scuola e il risultato è una pellicola che, se realizzata negli anni '30 o '50, sarebbe identica a com'è ora. Nel bene, ma soprattutto nel male.
Dal punto di vista tecnico il film si difende benissimo, tra scenografie realistiche e spartane e costumi ben realizzati, sui quali però troneggia la lussuosa fotografia del grande Dante Spinotti, magnifica e dai colori sgargianti; dal lato narrativo invece il film mostra di aver ereditato una certa ingenuità e forzata semplicità che nella Golden Age del cinema americano poteva essere un difetto quanto un pregio.
Tralasciando un confronto diretto col romanzo di Cooper, che non ho letto, il punto è che Mann spinge il pedale sull'aspetto romantico, nel pieno rispetto del cinema d'altri tempi che lo ispira; ma questo è un problema per due motivi. Il primo è che l'ambientazione del film, poco esplorata sulla celluloide, offre vari spunti per affascinanti tematiche e riflessioni sociali di cui purtroppo non si fa parola oppure si glissa con estrema superficialità;


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il secondo motivo è che, semplicemente, la storia d'amore non decolla mai. Ci sta solo perché lo richiede il genere di film e non si ha mai la sensazione che il legame fra il belloccio di turno (un Daniel Day-Lewis sempre convincente) e la bella (Madeleine Stowe, una delle attrici famose più anonime di sempre, che recita bene ma senza davvero lasciare una traccia) sia genuino; lo si percepisce sempre come un costrutto di sceneggiatura, pieno zeppo dei soliti cliché e di giuramenti e dichiarazioni esagerati e sopra le righe.


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Di conseguenza, tutto ciò che non ha a che fare strettamente con questa storia d'amore viene messo discretamente in disparte e la vicenda si sviluppa a un ritmo indemoniato che lascia ben poco spazio a inezie come una delineazione dei personaggi che non vada oltre la macchietta o lo stereotipo, se va bene. Nessuna delle figure sullo schermo emerge come un individuo dalla personalità completa, sono tutti stereotipi e maschere superficiali, il che diventa un problema quando per la maggior parte del tempo si scappa, si corre o ci si ritrova in situazioni in cui si dovrebbe temere per la loro incolumità. E nei pochi momenti di calma ci si limita a mandare avanti la trama o ad elargire ulteriori cliché amorosi, rendendoli paradossalmente di una noia mortale.
A fare maggiormente le spese del ritmo altalenante sono i personaggi secondari, tutti virtualmente invisibili e incolori, visto il modo in cui nessuna delle loro parole o azioni vengono sottolineate o enfatizzate dalla distaccata regia di Mann o da una sceneggiatura avara di situazioni capaci di porre l'accento sulle loro caratteristiche salienti.


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A contornare il tutto abbiamo una colonna sonora che ha fatto epoca, una colonna sonora magnifica... almeno per i primi cinque minuti, finché non ti rendi conto che ci si limita a ripetere a ciclo continuo la stessa identica melodia con qualche lieve variazione, con un effetto alle lunghe stancante. L'utilizzo della musica in sé è un altro elemento che diventa presto negativo, soprattutto nel climax, in cui essa se ne sbatte allegramente di sottolineare i momenti più drammatici e accompagna le scene con lo stesso ritmo, la stessa cadenza, lo stesso giro di note senza cambiarne neanche una;


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l'effetto è quello di un climax dal ritmo troppo sostenuto, che arriva e se ne va senza enfasi o sussulti, quasi tirato via nella sua fretta di arrivare al non così gran finale, pieno di riprese che danno l'impressione che Mann fosse più interessato a catturare lo stupendo paesaggio piuttosto che a narrare la sua storia. In effetti, come dargli torto? I paesaggi sono davvero stupendi...
Quindi, in definitiva, "L'ultimo dei Mohicani" è più un curioso sguardo nel passato che un film pienamente riuscito; intrattiene a sufficienza, complice anche la breve durata sotto le due ore, ma già molto prima della fine si ha la sensazione di una grande occasione mancata. Forse perché, nonostante quel distacco formale, i maestri dell'età d'oro avevano una passione intrinseca per la loro storia che, bene o male, traspariva nel prodotto finito. Non dubito che anche Mann fosse appassionato a questo progetto, ma il suo è un distacco diverso, più estremo, e l'amore e la passione che ha riversato nella pellicola non emergono mai, rendendo il prodotto finale nient'altro che un compito a casa. E' il suo marchio di fabbrica, che purtroppo mi impedisce di guardare a lui come a uno dei grandi (il suo Heat, oltre alla lunghezza spropositata e un ritmo sfilacciato, aveva lo stesso problema di fondo), e questo film per me rappresenta un'altra prova di ciò che funziona nel suo stile, ma soprattutto di ciò che non funziona.

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