teza regia di Hailè Gerima Etiopia, Germania, Francia 2008
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teza (2008)

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locandina del film TEZA

Titolo Originale: TEZA

RegiaHailè Gerima

InterpretiAron Arefe, Abiye Tedla, Takelech Beyene, Teje Tesfahun, Nebiyu Baye

Durata: h 2.20
NazionalitàEtiopia, Germania, Francia 2008
Generedrammatico
Al cinema nel Marzo 2009

•  Altri film di Hailè Gerima

Trama del film Teza

Etiopia, 1990. Anberber è tornato al suo villaggio senza una gamba e con la testa affollata dai fantasmi. Lasciata l'Etiopia imperiale di Haile Selassie e rientrato in quella socialista di Haile Mariam Menghistu, Anberber ha studiato medicina nella Germania degli anni Settanta, interessata da una massiccia immigrazione africana e percorsa da tensioni e discriminazioni razziali. Il suo sogno più grande è quello di ritrovare l'abbraccio materno e di prendersi cura del suo popolo, afflitto dalle carestie e vessato da secoli di regimi dispotici. Rimpatriato e presa coscienza del disordine politico e sociale in cui versa il suo paese, scampa a un linciaggio e cerca conforto nel villaggio natio. Dentro il capanno e davanti al fuoco scoprirà la propria impotenza di fronte alla dissoluzione dei valori umani. Nel focolare domestico brucerà il suo passato e divamperà il desiderio di costruire il presente.

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Voto Visitatori:   8,05 / 10 (11 voti)8,05Grafico
Voto Recensore:   8,50 / 10  8,50
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Voti e commenti su Teza, 11 opinioni inserite

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forzalube  @  17/04/2009 18:04:50
   8 / 10
Dopo gli ottimi commenti di Crimson e Strange River direi che c'è ben poco da aggiungere se non una pecca che a me è parsa evidente e di cui finora nessuno ha parlato: eccetto Anberber e qualche altro personaggio principale il doppiaggio italiano fa pena!
Nello spoiler si pone una domanda a cui spero qualcuno risponda.

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1 risposta al commento
Ultima risposta 18/04/2009 19.48.21
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR strange_river  @  31/03/2009 21:13:24
   8 / 10
Riassumere in poche righe un film come Teza è per me scommessa ardua, in quanto si tratta di un'opera composita e affatto lineare.
Strutturato su diversi piani temporali e spaziali, compreso quello del sogno, il film abbraccia una tale vastità di tematiche che ridurle ad un pur complesso affresco storico/politico dell’Etiopia risulterebbe penalizzante per l’ambizione che ha di raccontare anche delle lacerazioni interiori e del bisogno di memoria che invece, a mio parere, è il vero cuore di questo film.
La memoria è affidata ai ricordi di Anberber, diventato medico in Germania, rientrato nel suo paese dopo la caduta del Negus e ritornato infine dopo molti anni al suo villaggio natio, che assiste al rapido e violento dissolvimento di tutte le speranze di libertà affidate al cambiamento politico, ben presto tramutato in nuovo regime; ma è affidata anche ai ricordi dell’infanzia perduta e delle tradizioni antiche che si scontrano con le più occidentali filosofie positiviste e materialiste di cui anche egli è portatore; così come nei ricordi della sua vita in Germania si capisce della nostalgia e dei dissidi, interiori e non, dovuti alla propria provenienza.
Sono ricordi che per tutta la durata del film annichiliscono Anberber nel ruolo di spettatore di un presente ancora violento e lo incatenano ad una condizione di passività catatonica, scossa solo dagli incubi notturni che lo tormentano, fino a che un sogno finalmente salvifico gli rivela le possibilità di rinascita che comunque ci sono, nonostante le sconfitte e i dolori che ha attraversato, una rinascita come sempre affidata ai più giovani.
Attorno ad Anberber, i più contrastanti personaggi, da sua madre e gli altri abitanti del suo villaggio, ai suoi compagni in Germania, all’amico con cui condividerà parte del suo cammino, in una rappresentazione corale e difforme che contribuisce a dare un carattere quasi epico alla narrazione.
Gerima deve averci messo molto cuore e molto amore in questo film, e se a tratti la narrazione è lenta e la sua necessità di spiegare ogni passaggio può risultare macchinosa, va dato atto del suo coraggio, anche artistico, di portare alla comprensione di chiunque la condizione e la storia di un popolo qui identificato nel suo protagonista.
In quanto alla eccessiva lunghezza della pellicola, può esserci utile ad imparare ad abbandonarci al tempo senza tempo dei vasti paesaggi africani, in cui si sa ancora aspettare seduti il sorgere del sole .

2 risposte al commento
Ultima risposta 04/04/2009 14.31.54
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Crimson  @  29/03/2009 16:42:07
   8½ / 10
Il titolo ("rugiada") racchiude il senso del film: l'inconsistenza della conoscenza difronte a quella macchina chiamata Violenza, che vince su tutto, e che delinea un futuro totalmente vuoto, come se questa parola non avesse significato. E che sconvolge il passato a tal punto da rimuoverlo dalla memoria. La guerra lascia l'uomo solo con il suo presente fatto di speranze indecifrabili e di una consapevolezza inutile: quella di avere le potenzialità, in quanto singolo, di voler costruire, ma di confrontarsi quotidianamente col disfacimento della propria forza.
Teza non è uno di quei film in cui c'è spazio per supposizioni o interpretazioni: tutto è perfettamente chiaro, crudo. Perfino quegli squarci onirici ricorrenti, inseriti magistralmente in un quadro frammentario che si ricompone e che fornisce costantemente l'idea della ripetitività del suo tema cardine, ossia lo sgretolamento dell'individuo dinanzi alla lacerazione della società, di quel tentativo di modulazione che dovrebbe essere il prerequisito per vivere, ma vivere è impossibile, per quanto questo film in realtà paradossalmente esprima una grandissima voglia di vivere, anche se ciò include una battaglia contro dei mulini a vento imponenti e insormontabili. E' quella stessa voglia di vivere che sebbene incomprensibile emerge in tutta la sua purezza nell'immagine finale: i bambini, come la sola speranza, il solo coro capace di intonare quel "urrà per Karamazov" che sembra spuntare con lo stesso, medesimo effetto.
Quel giorno in Germania Cassandra (nome non casuale) aveva profetizzato un futuro inconcepibile per chi si pone dei progetti, per chi non si è ancora imbattuto nell'evanescenza del proprio impegno e dei propri ideali. Avrebbe capito solo molto tempo dopo, Amberber, dopo aver rivisto il suo "nipote" Tedros, vittima di una violenza che è comune denominatore di quella Germania e della sua Etiopia. E ancora inconsapevole che quella stessa violenza si cela dappertutto con nomi diversi, dietro una guerra o dietro l'intolleranza e la discriminazione razziale. Germania e Etiopia, con vissuti completamente differenti, nascondono una spaccatura storica che ha dei punti in comune, sotto quest'ottica, agghiaccianti.
La narrazione per frammenti esaspera il senso di dispersione che il film evoca.
Geniali, a tal proposito, le sovrapposizioni di Amberber bambino con quelle dei bambini uccisi per rifiutarsi di essere reclutati. Il dramma che rivive attraverso la coscienza comune dunque, uno dei richiami più intensi del vivere la sofferenza, e forse un punto di partenza, se tutti avessero la stessa forza, la stessa univocità di intenti. Quel che al contrario emerge in tutta la sua realtà imbarazzante dopo la caduta del regime è uno scenario dominato dal caos in cui c'è chi trova motivo di scontro sulla base di quale tipo di socialismo applicare.
E' per tutto questo che ho trovato eccellente l'artificio del montaggio, perchè evoca un quadro che si ricompone ma che a seconda di quale momento storico sia vissuto da Amberber, mostra il protagonista costantemente impotente difronte ad una situazione che indipendentemente dallo spazio, dal tempo e dagli interpreti, appare soffocante e inoppugnabile: come quel rubinetto che sgocciola continuamente, e che non si può stringere (un'immagine geniale che si ripresenta puntualmente come una pugnalata).
Quel che si forma, al contrario, è la presa di coscienza del protagonista, alter-ego del regista: come nel suo incubo scopre che i buchi da tappare sono infinitamente più grandi dei propri sforzi di cui la conoscenza è il significante più 'alto' in termini di intenti, ma nel concreto la risorsa umana che risulta maggiormente sminuita, seppur la sola àncora che possa configurare un futuro, in quanto seme da impiantare nelle nuove generazioni.
Per me avrebbe meritato il riconoscimento più importante nell'ultima, fiacca rassegna di Venezia. Ma il dato di fatto ancor più beffardo e imbarazzante è che questo film in Italia sia distribuito in BEN 21 sale. Complimenti.

3 risposte al commento
Ultima risposta 13/05/2009 21.42.03
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