Marc Augé in un suo celebre saggio ha introdotto il termine magico del "non luogo" ovvero uno spazio privo di un'identità, una storia e delle relazioni.
Non luogo è l'aeroporto, non luogo è l'albergo e ambedue sono stati spesso protagonisti di pellicole cinematografiche di alterno successo. L'aeroporto ha avuto il suo momento di gloria con il film di
Steven Spielberg interpretato da
Tom Hanks, "
The Terminal", un vero trionfo della non appartenenza visto che il protagonista del film era costretto a permanere all'interno dell'aeroporto di New York a causa di un cavillo burocratico.
"
Ferrohotel", docufilm uscito nel 2011 e ben piazzato in vari filmfest sparsi per l'Italia e oltre confine, celebra ancor più definitivamente l'importanza del luogo che non c'è: il
Ferrhotel del titolo è un ex albergo per ferrovieri che nel 2010 è stato autonomamente occupato da un nutrito gruppo di profughi somali.
Come in un albergo "normale" ma all'insegna della precarietà più cogente gli occupanti si organizzano, fanno amicizia, vivono, passano.
Intuizione felice o coincidenza per i due registi -autori del documentario (Angela Barbanente e Sergio Gravili) o moda?
Interrogati preferirono soffermarsi sulla cinematografia d'impegno e impegno fu, vero e confermato.
Ma resta evidente quella celebrazione di un luogo che manca, occupato da persone che "non sono" essendo profughi in cerca. E tutto torna alle origini.