Approfittando delle provocazioni già seminate su questo blog in merito ai cinepanettoni/specchio riflesso della società, la sottoscritta rilancia proponendo una riflessione sullo stato di salute della fiction nostrana. Ovviamente, inutile dirlo, si tratta di uno stato terminale da encefalogramma piatto. E’ anche vero però, che il disprezzo per i prodotti televisivi italiani (impennatosi dopo il successo di Boris) impedisce talvolta alla critica di scorgere distintamente all’interno del quadro clinico, di pari passo con un atteggiamento ghettizzatorio e radical chic che stacca la spina anche ai rari impulsi elettrici lampeggianti.
Ricordiamo, la controtendenza è figlia legittima degli spiriti curiosi e polemici, e ciò può bastare a raddrizzare i numerosi nasi che si storceranno e ad assolvermi presso la pubblica piazza da quanto sto per affermare, ovvero che L'onore e il rispetto è in assoluto la migliore serie del millennio. Perché volutamente estasi del kitch, melodrammone debitore dei fotoromanzi, citazionismo barocco, spettacolare, come l’avrebbe concepito Tarantino se avesse voluto omaggiare Il Padrino (qui ripreso fin dalle musiche e dalla scansione delle stagioni in parte seconda e terza). Un trash onesto e scanzonato, che non si nasconde dietro il velo appannato della fotografia smarmellata e del finto buonismo dell’analisi sociale, in devozione alle strizzatine d’occhio ecclesiastiche e ai crocifissi appesi, ma si pone per ciò che è, puro intrattenimento pecoreccio. Sesso e violenza sono gli insoliti protagonisti di una sceneggiatura che, a differenza delle tante geograficamente collocate da Napoli in giù (ma scritte, è bene sottolinearlo, da Roma in su), non ha la pretesa di farsi portavoce di alcun diritto, di fornire spiegazioni incomprensibili agli stessi che il territorio lo abitano, raccontando sconfitte che non esistono, secondo la contrapposizione schematica buoni Vs cattivi (anche perché, di Montalbano ce n’è uno solo). La vendetta logora tutti a Sirenuse, nessun escluso, mostrando paradossalmente a suon di stupri, sparatorie e carneficine surreali l’intricata collusione locale con più credibilità dei contesti “normali” precorsi dalla soap Agrodolce, dove sfuggire allo stereotipo della peggiore specie, al macchiettismo più fastidioso e insopportabile (quello calato nella quotidianità) è un’impresa impossibile.
Ne L’onore e il rispetto invece, il velo nero, la lupara, un “minghia” o un “bottana” diventano simboli spirituali e canti liberatori di una concezione teatrale della tematica trattata, che grazie ai toni estremi ed effettistici finisce per essere esorcizzata. E poi, chiuso il dibattito (all’epoca sacrosanto) su Il corpo delle donne nella tv berlusconiana, finalmente anche le casalinghe/i in calore possono sostituirsi a Lino Banfi dinnanzi al buco della serratura, e spiare l’involucro oggetto Dario Oliviero in arte Gabriel Garko. Ai suoi addominali scolpiti e ai glutei marmorei il merito (oltre che estetico) di avere lanciato un genere inedito: la tragicommedia erotica femminista. Ma se per la rivalutazione della doccia della Fenech abbiamo dovuto attendere trent’anni, possiamo stare certi che per la vasca di Tonio Fortebracci non andrà diversamente.
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