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"Luci della città", una delle più note opere di Charlie Chaplin, viene proiettato per la prima volta nel 1931, quando il cinema "sonoro" ha ormai sostituito il "muto".
Molti artisti che sfruttavano alla perfezione quel cinema fatto solo di immagini iniziano un rapido declino, non riuscendo a replicare il successo guadagnato durante l'epoca del muto (per tutti valga l'esempio di Buster Keaton); Chaplin invece, malgrado il fratello Sydney avesse provato a dissuaderlo, era deciso a continuare a girare film muti, credendo che il sonoro avesse vita breve. Egli peraltro non vedeva nel "vagabondo" delle possibilità "vocali": per far notare il suo disagio sociale e per far sorridere il pubblico non riteneva necessario il parlato: la matrice dalla quale era nato era muta come gli stracci che portava.
Furono diversi i problemi da affrontare per portare avanti questa coraggiosa scelta.
Dall'esplosione del sonoro, arrivata gia da tre anni, gli attori avevano quasi del tutto abbandonato le tecniche recitative per pantomime; oltretutto, Chaplin dovette affronatre anche la difficoltà di trovare un'attrice adatta ad interpretare il ruolo della protagonista, una ragazza che doveva essere bella e risultare allo stesso tempo credibile come cieca. Fu quasi per caso che Chaplin conobbe Virginia Cherrill; la scelse subito malgrado questa non avesse nessun tipo di esperienza. A tale proposito, Chaplin ebbe a dichiarare: "E' esattamente ciò che voglio, se sapessi recitare dovresti dimenticarti tutto quello che hai imparato. Io lavoro a modo mio, ed è diverso da tutti gli altri".
Il rapporto tra i due fu però assai burrascoso, tanto che nel bel mezzo del film la Cherrill venne licenziata per essere arrivata in ritardo alle prove.
Per sostituirla, Chaplin arruolò quindi Georgia Hale, già protagonista de "La febbre dell'oro", e con lei girò la famosa scena finale (quella che secondo il regista era la peggior scena girata dalla Cherrill); si rese ben presto conto però del tempo che avrebbe perso a rigirare tutte le scene già definite e soprattutto dei metri di pellicola che aveva gia utilizzato, e fu pertanto costretto a richiamare la Cherrill.
L'ostacolo più grande Chaplin lo trovò però nel girare la scena dell'incontro tra i due protagonisti: come far passare un semplice vagabondo senza soldi per un riccone che non accetta il resto da una fioraia cieca? Passarono mesi prima che si arrivasse alla soluzione; mesi in cui la scena venne ripetuta fino alla nausea, prima che al regista venisse un'idea efficace.
Fu un periodo difficile per tutto il cast, costretto a girare e ri-girare quella sequenza, fino a quando Chaplin non ebbe l'idea giusta: la portiera di un'auto sbatte vicino al luogo dell'incontro, la ragazza cieca cerca di dare il resto ma sentendo la macchina allontanarsi capisce che il suo cliente è un benestante che gli ha fatto un regalo.
Guardando questa sequenza, che dura in effetti solo 70 secondi, non si può non pensare a tutto il tempo passato dal regista per trovare la soluzione; tempo in cui avrà avuto modo di rivalutare il "sonoro", che gli avrebbe dato facilmente la possibilità di risolvere questa incombenza. Ma alla fine a vincere saranno la sua testardaggine e il suo genio.
E' poi formidabile come Chaplin trasformi una scena cosi drammatica e commovente in una fragorosa risata dovuta ad una secchiata d'acqua in pieno volto: in pochi secondi stravolge i sentimenti dello spettatore come pochi al mondo riescono a fare.
Ci vollero tre anni di lavoro e più di 100.000 metri di pellicola prima di poter portare a termine questo lavoro e la coraggiosa scelta di fare, ancora una volta, un film muto.
Il film sarebbe dovuto cominciare con una sequenza di sette minuti, che però il regista decise di eliminare dal montaggio finale. Nella suddetta sequenza assistiamo al vagabondo che si ferma di fronte ad una vetrina di un negozio di abiti femminili, quando la sua attenzione cade su un pezzetto di legno incastrato nel tombino del marciapiede. Per quanto il vagabondo si accanisca contro il legnetto, questo continua a ruotare su se stesso senza mai cadere all'interno del tombino. Il curioso spettacolo attira un gruppetto di passanti incuriositi, tra cui un fattorino che mangiando un'arancia butta i semi in faccia al protagonista. Quindi, dall'altra parte della vetrina, il proprietario del negozio cerca di dare consigli sul come sbarazzarsi di quel legnetto, ma il vagabondo non riesce a sentirlo a causa del vetro; il negoziante si distrae e conficca un cartellino con il prezzo sul fondoschiena di una commessa invece che sul manichino. Dopo qualche tempo arriva un poliziotto e Charlot, preso dal panico, riesce finalmente a disfarsi del legnetto.
Una sequenza molto divertente in cui Chaplin dimostra come il vagabondo, più di chiunque altro, sappia come trasformare il più piccolo oggetto, l'attrezzo di scena meno promettente, in qualcosa di irresistibilmente comico.
La prima scena (nella versione definitiva) ci porta all'inaugurazione di un monumento al centro di una piazza gremita di gente, e subito Chaplin decide di prendersi gioco del sonoro: la voce che esce dalla bocca dei "presentatori" è simile a un cinguettio, volto a provocare le risate dello spettatore.
In tutto il film, poi, i pochi elementi sonori non fanno altro che creare confusione, come quando il vagabondo ingoia un fischietto durante una festa ed è costretto ad uscire di casa, oppure durante l'incontro di boxe, quando con il gong legato al collo ne combina di tutti i colori.
Nel pieno stile del regista, in "Luci della città" troviamo una critica al consumismo sfrenato che perversa in America; ne è chiaro esempio l'eccentrico milionario che, pur benestante, è spesso vittima di depressione e fugge continuamente dalla realtà rifugiandosi nell'alcool, e che solo da ubriaco riesce ad essere vicino al mondo dei disadattati. Ma più in generale, il regista Inglese sin dall'inizio della pellicola muove una forte critica contro ogni tipo di autorità, che assiste in modo quasi indifferente agli eventi del protagonista.
Emblematico in tal senso lo splendido finale: la triste realtà che finalmente viene alla luce agli occhi della fioraia, che si aspettava un benefattore di ben altro genere. Come dimenticare quei lunghi sguardi che i due si scambiano sull'uscio del negozio? Quei pochi ma toccanti attimi che ci fanno sentire piccoli rispetto ai miracoli della vita. Una sequenza tra le migliori e più intense che il cinema ricordi, che sarebbe stata letteralmente distrutta dal "sonoro".
Il film venne proiettato per il pubblico la prima volta in un teatro di New York, il George M. Cohan, per una capienza di 1150 posti a sedere; Chaplin assistette alla prima seduto accanto al suo caro amico Albert Einstein; proprio durante la scena finale, Chaplin voltandosi vide il grande scienziato che si asciugava gli occhi.
Nei giorni successivi si crearono code chilometriche davanti al teatro, e "Luci della città" divenne, fino a quel momento, il film di maggior successo di Charlie Chaplin.
Nel 1989, in occasione del centenario della nascita di Chaplin, venne organizzata una proiezione del film nello stesso teatro in cui debuttò nel 1931. Fu un successo clamoroso. Gli organizzatori ricevettero questo messaggio:
"Sono un assistente sociale e mi occupo di persone affette da turbe psichiche. Purtroppo mio figlio ha sofferto di un grave esaurimento nervoso. Da allora questa è stata le prima volta in cui ha riso. E' successo durante la scena dell'incontro di pugilato di questo film meraviglioso. Per me è stato un sollievo tale che ho dovuto uscire di corsa dalla stanza perchè non vedesse le mie lacrime di gioia".
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Recensione a cura di emans - aggiornata al 23/07/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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