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Signore e signori... Miike Takashi.
Uno dei più geniali e prolifici autori del cinema contemporaneo, un fuoriclasse della narrazione per immagini, torna sugli schermi con un progetto ad alto budget: "I 13 assassini" (remake dell'omonimo film di Eiichi Kudo del 1963), ed il risultato... lascia l'amaro in bocca.
La storia è presto detta: Naritsugo, il fratello dello Shogun, è un sadico bastardo che ammazza la noia torturando e brutalizzando i contadini dei suoi feudi. Shinzaemon Shimada, uno dei più temuti samurai del suo tempo, viene assoldato dal nobile Doi per fermare la follia di Naritsugo. Con l'aiuto di 12 assassini scelti, Shinzaemon dovrà sconfiggere l'esercito del Signore della guerra, peraltro capitanato dall'acerrimo nemico Hanbei.
Voi penserete: se queste sono le premesse il risultato non potrà certo tradursi in un capolavoro di originalità... Vero. Ma, detto che sarebbe lecito aspettarsi sempre "qualcosa in più" dal brillante regista nipponico, va sottolineato che in questo specifico film, tolti i tecnicismi di fotografia e montaggio e qualche rarissimo lampo di genialità registica, resta attaccato davvero poco.
Nella prima parte sono i banalissimi dialoghi e la filosofia posticcia a farla da padrone mentre in tutta la seconda parte... boom, swish, badabum, ahhhhh, ri-boom (dissolvenza sul nero).
Sul doppiaggio non vale neanche la pena soffermarsi: purtroppo le case di distribuzione italiane mettono spesso in mano a "cagne maledette" (cit.) opere di discreto valore allo scopo di subire un doppiaggio in grado di demolire ogni lampo di poesia... "Cagna anche in foto!"
Ma la mano del Sig. Takashi c'è, e in un momento specifico dell'opera par quasi di poterla sentire rassicurante sulla spalla (i più preparati potranno malignare su cosa accadrà l'attimo successivo, ma questo è tutto un altro genere di film). Per convincere Shinzaemon, il buon Doi organizza un incontro con un contadino che per colpa di Naritsugo ha perso ogni cosa. L'uomo decide di non limitarsi all'uso del linguaggio parlato e mostra a Shinzaemon gli effetti della crudeltà del fratello dello Shogun sul corpo di una donna che ha osato opporgli resistenza. Il risultato? Al di là delle più rosee aspettative (sarebbe davvero stupido provare a descrivere quel momento, ma abbiate la decenza di ricordarvi di chi scrive mentre verrete violentati dalle immagini).
Dal punto di vista tecnico, come si diceva, il film è impeccabile: la divisione narrativa in due momenti ("il reclutamento degli assassini" vs. "la battaglia") è maestosamente sottolineata da stili di regia, montaggio e soprattutto fotografia a dir poco antitetici (meravigliosi i tagli di luce tremolante sui volti dei samurai in tutta la prima parte della pellicola). Anche le riprese con camera a mano, sdoganate dai film di guerra di stampo occidentale, funzionano per benino seppur trasposte nel medioevo giapponese (!).
"Ma quindi?" (diranno i benpensanti) "perché non riesci ad apprezzare un film di chiaro intento rievocativo che non ha né la pretesa di scioccare né tantomeno quella di innovare?"
Perché il filmetto in questione ha la sfiga di reclamare la paternità di un genio, e confrontato al reale potenziale di chi ne ha diretto lo svolgimento... Bhe...
Che lo si consideri un mago del trash o un autore sofisticato, il regista in questione ha sempre saputo sorprendere lo spettatore con storie spiazzanti e immagini difficili da descrivere. Qui lo troviamo alle prese con un oggetto ignoto, fuori dal suo campo d'azione e per questo straniante.
Occasione sprecata? Solo per i due mesi che verranno (vale a dire fino al prossimo film).
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Recensione a cura di Aenima - aggiornata al 30/06/2011 10.55.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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