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Dopo il flop targato 2008 "10.000 a.c.", il regista teutonico Roland Emmerich, specializzato in pellicole fanta-apocalittiche, ci propone questa volta la distruzione del pianeta, ispirandosi ad un'antica profezia Maya che collocherebbe la fine del mondo il 21 dicembre del 2012.
Tre anni separano la civiltà dal 2012. In un centro di ricerca indiano viene alla luce un'improvvisa quanto inaspettata variazione nell'emissione dei neutrini solari che sta provocando il rapido surriscaldamento della crosta terrestre. Venuto a conoscenza dei fatti, il professor Adrian Helmsley, consulente scientifico per la Casa Bianca, avverte dell'imminente pericolo il capo dello staff del presidente degli Stati Uniti. Assodato che il mondo finirà in tempi brevi, i grandi della Terra decidono di affrontare l'imminente catastrofe mettendo in cantiere evolute "Arche" con le quali garantire la sopravvivenza della specie. In parallelo, la fine del mondo ci viene raccontata attraverso gli occhi di un comunissimo quanto sfortunato scrittore di romanzi di fantascienza, Jackson Curtis, alle prese con un matrimonio andato a male e un rapporto con i suoi due figli da recuperare. Saranno gli eventi catastrofici predetti dai Maya a riunire il protagonista con la sua famiglia e più in generale a riavvicinare il genere umano con se stesso.
Di fronte a film del genere si è molto spesso severi a priori, e di certo il curriculum di Roland Emmerich non aiuta in tal senso: "Godzilla" era imbarazzante; "The Day After Tomorrow", sebbene mosso da intenti ammirevoli quali il metterci in guardia circa il nostro comportamento nei riguardi del pianeta, era quanto di più scontato si potesse immaginare; "10.000 a.c." era un pacchiano falso storico. "2012" non ha certo nulla da invidiare ai suoi predecessori: in quanto a cliché poi, non è secondo a nessuno. Ma procediamo per gradi.
Tra le cose che sicuramente rendono prevedibile questa pellicola, minandone la credibilità (nel accezione più soft del termine, visto e considerato il genere) fin dal principio, c'è la classica "famiglia allargata americana" con il solito padre poco presente, la madre iper-protettiva col suo nuovo compagno e i figli condizionati dalle circostanze familiari.Tutto sa di irrimediabilmente già visto. Senza andare molto indietro con il tempo, il confronto con lo "spielberghiano" "La guerra dei mondi" è quasi immediato e naturale.
Stesso discorso per la figura del presidente degli Stati Uniti, sempre così scontato, sempre così circondato da un'aura di buonismo connaturato, eroico e dipinto con larghe tinte di saggezza, cosa della quale, sinceramente, non se ne capisce il perché. Da notare poi come il nome, Thomas Wilson, ricordi molto il Thomas Whitmore del presidente impersonato da Bill Pullman in "Independence Day".
Cosa dire, invece, dello scienziato che lavora per la Casa Bianca? Emmerich qui si è riciclato abbastanza palesemente, riproponendo la stessa identica figura che fu di Jeff Goldblum sempre nel già citato "Independence Day". Certo, cambia il colore della pelle, ma sostanzialmente l'idea di fondo è la stessa: ci troviamo nuovamente di fronte ad una figura scientifica il cui lavoro viene preso in seria considerazione solo una volta giunti ad un punto di non ritorno. Era così in "Independence Day", lo è in "2012". A tutto questo potremmo aggiungere il difficile rapporto padre/figlio: Come il personaggio di Jeff Goldblum, anche quello di Chiwetel Ejiofor approfitta della situazione per riavvicinarsi a suo padre. Certo, nella pellicola del 1996 il rapporto era più complicato e approfondito, ma l'idea è fondamentalmente identica.
Altro punto debole sono le "gesta" dei protagonisti: francamente è obiettivamente improponibile permettere a degli esseri umani di uscire indenni da un "armageddon" come quello che il regista tedesco propone sullo schermo. Los Angeles si sbriciola letteralmente sotto i loro piedi, i grattacieli si piegano su se stessi, ma nonostante la gente muoia tutta intorno a loro e ogni cosa viene ingiottita dalla terra, questi sono sempre lì, come protetti da una qualche divinità benevola.
Certo, c'è da dire che il tutto è puramente funzionale ai fini della storia (sarebbe improponibile far morire i protagonisti a un terzo del film), ma sicuramente una gestione più realistica del racconto non avrebbe fatto storcere il naso a nessuno. Poco credibile anche la figura del macchiettistico Charlie Frost, cacciatore di verità negate il quale, da una stazione pirata situata proprio nel bel mezzo del parco di Yellowstone, mette il mondo intero al corrente dell'imminente catastrofe e del piano segreto ordito dai potenti del globo per mettersi in salvo. Perché poco credibile? Perché nessuno interviene per metterlo a tacere, nonostante il personaggio in questione operi totalmente alla luce del sole, mentre altre figure, come il direttore del Louvre, vengono freddamente eliminate al primo accenno di sospetto nei riguardi delle manovre governative; e parliamo solo di sospetti, non di una chiara e forte denuncia come quella del visionario personaggio interpretato da Woody Harrelson.
Di una cosa, però, bisogna rendere atto ad Emmerich, e cioè quella di riuscire sempre a dare allo spettatore un prodotto puramente ludico; con risultati non sempre apprezzabili, certo, ma comunque fedeli ad una linea di fare e intendere il cinema che persegue quasi fosse un dogma. Appare piuttosto palese, infatti, che i suoi prodotti non abbiano alcun tipo di pretesa contenutistica, se non "The Day After Tomorrow", se di pretesa poi si può parlare. Il regista di Stoccarda ha nella sua mente un'idea tutta improntata al sadico divertimento che prova nel portare sul grande schermo un gigantesco Luna Park in cui ogni cosa, vivente e non, viene spazzata via da una furia distruttiva che difficilmente trova eguali su altre pellicole di umana memoria.
Ecco, sotto questo profilo il film non è una delusione, perché chi si aspetta di vedere un qualcosa di apocalittico non rimarrà certo deluso: c'è proprio tutto: Los Angeles (e la California) che viene risucchiata nelle viscere ribollenti del pianeta, il parco di Yellowstone che libera tutta la sua potenza distruttiva, le Hawaii ridotte a bolle di magma, San Pietro che rotola sui fedeli riuniti in preghiera, per poi avere il culmine con Washington e la Casa Bianca travolti dalla portaerei John Fitzgerald Kennedy.
A livello visivo è dunque indiscutibile che il blockbuster di Emmerich il suo lavoro lo svolga per bene, ma è anche vero che dal punto di vista tecnico il film non introduce nulla di innovativo, e i maligni potrebbero persino obiettare che con un budget come quello messo a disposizione, lo sforzo sia stato praticamente nullo.
A livello interpretativo è ovviamente piuttosto superfluo giudicare un film di questo genere, che ha da sempre la sua forza non tanto nelle capacità attoriali dei suoi interpreti, quanto negli effetti visivi e sonori: sono loro i veri e indiscutibili protagonisti di una pellicola come questa.
Purtroppo.
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Recensione a cura di Luke07 - aggiornata al 30/11/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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