Recensione american gangster regia di Ridley Scott USA 2007
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Recensione american gangster (2007)

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locandina del film AMERICAN GANGSTER

Immagine tratta dal film AMERICAN GANGSTER

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New York City, 1970

La città cambia, chiudono le botteghe, aprono i Fast Food, chiudono gli antichi negozi, aprono i centri commerciali.
Cambiano le persone, e cambia anche il modo di fare soldi illegalmente. La criminalità si aggiorna, si adegua. La mafia italiana si appresta per la prima volta a diffondere enormi quantitativi di sostanze stupefacenti su larga scala, i Padrini vorrebbero un commercio su scala nazionale, se non mondiale, vorrebbero che la loro droga venisse inalata, iniettata, fumata sulla West Coast come sulla East Coast.
E soprattutto introdurre la sostanza più potente, quella da cui, una volta che il cliente è entrato, non può più uscire, l'eroina. Venderla negli Stati Uniti è però un problema, ci sono i marsigliesi della French Connection che occupano una fetta di mercato e ci sono gli sbirri, quelli onesti e quelli corrotti, e anche loro vogliono la loro fetta, chi in un modo chi in un altro.

E' un tentativo difficile, senza precedenti, che se realizzato potrebbe fruttare milioni di dollari, e in quegli anni l'occasione si presenta su un piatto d'argento: il movimento hippie si sta sciogliendo nei paradisi lisergici e nella sugar brown scaldata sui cucchiai, la guerra in Vietnam è un disastro e i soldati iniziano a morire non solo sotto i colpi dei Vietcong ma anche di overdose e, chi può, ad arricchirsi con il commercio di oppio, coltivato e raffinato senza sosta nei campi del sud-est asiatico.
Enormi distese di papaveri bianchi che finanziano la guerra. Il presidente Nixon si dice preoccupato per il diffondersi della tossicodipendenza in quelli che in patria dovrebbero essere eroi di guerra.
E poi ci sono i neri di Harlem, la fetta più grossa della torta. Solo che adesso i neri non sono più gli schiavi dei ricchi bianchi, adesso ad Harlem comandano loro. Con una loro etica, un loro codice, pronti e agguerriti per riprendersi quello che gli è stato tolto, e dunque tremendamente arrabbiati.
Il padrino di Harlem ha governato il quartiere per cinquanta anni prendendo le decisioni con serenità e pace, la sua vita non è come quella di un gangster o di un pappone qualsiasi. Lui gestisce come un manager le sue ricchezze, "non ricco come un bianco" però, e insegna tutto al suo uomo più fidato, la sua guardia del corpo, il suo autista, la sua ombra, un uomo molto deciso: Frank Lucas.
Il metodo è quello delle famiglie mafiose: si tramanda tutto, da padre in figlio; nulla deve essere perso nel vento, non una parola sprecata, o l'impero si dissolve.

Questi sono i cattivi. E i buoni? I buoni non ci sono, perché anche i poliziotti prendono soldi, pagano le rette dei figli al college con le mazzette di soldi sporchi di sangue.
Però in tutto il marciume, ogni tanto, si distingue una perla. Eccola lì, sullo sfondo, piccolo poliziotto in camicia: detective Richie Roberts, sezione stupefacenti, il reparto più corrotto di tutti. Senza mezzi adeguati, con un collega baffuto e una vecchia macchina impossibile da identificare corre, e incastra il primo pezzo grosso: un milione di dollari in banconote non segnate.
Si fa un nome, è vero, ma in negativo. Quei soldi non segnati nessuno li avrebbe riportati, chiunque se li sarebbe intascati, magari per, chi lo sa, comprarsi una barca e andare a pescare sulle coste della Florida in pantaloncini e maglietta. E invece Richie li riporta, il suo collega lo segue e tanto basta a entrambi per finire nella lista nera dei colleghi.
Questo si, uno sporco lavoro, ma qualcuno lo deve pur fare. Altrimenti nessuno metterebbe in piedi una squadra speciale per sequestrare ingenti quantitativi di droga, e soprattutto per incastrare i pesci grossi della malavita newyorkese. Pesci grossi come Frank Lucas, il nuovo capo di Harlem, che fa fuori i suoi nemici per le strade e gestisce il narcotraffico, vola direttamente a Bangkok e riesce, con un colpo da maestro inaspettato e molto furbo, a introdurre negli Stati Uniti cento chili di eroina pura al 100%, senza intermediari, Frank Lucas lavora solo per se stesso, e domina New York, domina i criminali italiani e mette d'accordo i neri come se fossero una famiglia. E' l'uomo più potente della Grande Mela. E tutto con grande serenità.
Adesso da una parte c'è Roberts, dall'altra Lucas, e in mezzo la corruzione, sempre presente, e i metodi brutali di un poliziotto speciale, detective Trupo.

Bisogna dire che Ridley Scott ha soprattutto un talento particolare: riesce a cambiare genere con una facilità e un'adattabilità fuori dal comune per un regista, dopo la commedia sempliciotta ambientata in Provenza passa a un'epopea gangster più americana del football, e ci riesce con estrema perfezione per un film che avrebbe fatto la fortuna di Martin Scorsese. Però lo stile di Scott c'è e si vede, a partire dalla direzione degli attori: lavoro impeccabile per un cast in gran forma. Denzel Washington rimane un attore di grande livello solo se mosso da un regista che lo sappia valorizzare, Russel Crowe si conferma ancora una volta attore di talento e soprattutto dotato di grande versatilità.

Dopo averci raccontato le gesta di gangsters italiani, ebrei, irlandesi, il cinema americano (e anche italiano: il nostro "C'era una volta in America" rimane sempre uno dei migliori film sul tema) dedica spazio a un fenomeno criminale poco conosciuto da noi ma importantissimo nella storia della New York di tre decadi fa. I gangster della comunità nera di Harlem, comandati da gente come Frank Lucas, riuscirono per un periodo a scavalcare anche i potenti e pericolosissimi clan italiani, che dovettero per forza scendere a patti.

E' bello, evento sempre più raro, andare al cinema ed essere spettatori di una storia che di cinematografico ha tutto, che ci viene narrata davanti agli occhi con stile e mestiere, e che con i buonismi televisivo-modaioli non ha nulla da spartire. "American Gangster" (notare il singolare inglese della parola, perché il vero gangster di cui si parla è solo uno) è una pellicola da vedere sul grande schermo, innanzitutto perché si tratta di un film classico, sia nella messa in scena che nello svolgersi della vicenda, e anche nella sceneggiatura, scritta da Steven Zaillian, già sceneggiatore di "Schindler's List", partendo da un articolo di Mark Jacobson intitolato "The Return of Superfly".

Come già detto, Scott sa adattarsi a qualunque tipo di narrazione, e con questo suo diciannovesimo film il quasi settantenne regista di South Shields ci regala almeno un paio di sequenze memorabili, l'incontro tra il criminale Lucas e lo sbirro Roberts, tra l'uomo della legge e l'uomo che ha scavalcato la legge anche per necessità di sopravvivenza, sulle scalinate della chiesa è da ricordare, e delle inquadrature che valorizzano le bellissime e curatissime scenografie e la grandezza e spettacolarità dei personaggi. Scelte registiche pensate e ripensate, sistemate a loro volta dal montatore italiano premio Oscar più famoso di Hollywood, il siculo-americano Pietro Scalia, capace di rendere la narrazione scorrevole e appassionata e di farsi bastare una manciata di tagli per creare attesa per le scene d'azione.

Il film racchiude le interpretazioni di decine di attori e caratteristi, tra cui il redivivo Josh Brolin, che prestano il corpo a personaggi primari e secondari, voci e visi arricchiti o deturpati da anni e fatti movimentati, raccontati anche tramite una colonna sonora che può contare su brani di Lennon e McCartney, John Lee Hooker e Isaac Hayes, che molti ricorderanno anche nella parte del Duca nel film "Fuga da New York" di John Carpenter.

Una storia di due uomini che non possono e non riescono a capire il perché dell'altro, e che, come si evince dal loro faccia a faccia, hanno vissuto due vite all'opposto: uno ha vissuto nella normalità di vedere i neri uccisi dalla polizia, l'altro ha tentato di fermare quel tipo di uomini.

La storia del gangster nero americano si chiude nel 1991, quando ormai i tempi sono cambiati molto più che nel 1970, quando tutto cominciava a muoversi più veloce e nella società non c'era più posto per i cattivi con un'etica personale come Frank Lucas.

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Recensione a cura di matteoscarface - aggiornata al 09/10/2007

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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