Voto Visitatori: | 2,45 / 10 (92 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 1,00 / 10 | ||
Nel 1975 usciva nelle sale "Amici miei", diretto da Mario Monicelli dopo la scomparsa di Pietro Germi, che ne aveva ideato il soggetto. Il film narrava le bravate (cosiddette "zingarate") di un gruppo di amici di mezza età, che prendevano la vita con leggerezza anche per esorcizzare le proprie disillusioni: il conte Mascetti (Ugo Tognazzi) è un nobile decaduto e dimesso, che vive in uno scantinato con una moglie ed una figlia con cui non ha alcun rapporto; il Perozzi (Philippe Noiret, doppiato da Renzo Montagnani) è un giornalista disprezzato da una moglie e da un figlio privi di senso dell'ironia; il Melandri (Gastone Moschin) è un architetto dall'animo romantico, perennemente in cerca di una donna da idealizzare; il Necchi (Duilio Del Prete, sostituito nel secondo e nel terzo episodio da Renzo Montagnani) gestisce un bar che funge da ritrovo per gli amici. A loro si aggiungerà in un secondo momento il Sassaroli (Adolfo Celi), medico primario vittima della noia. Il film ebbe un successo imprevisto ed imprevedibile, consegnando "Amici miei" alla storia del cinema e le sue gag più famose all'immortalità: la "supercazzola" del Mascetti (ovvero un discorso nonsense volto a confondere l'interlocutore); gli schiaffi alle persone affacciate ai finestrini dei treni in partenza (già "omaggiata" da Neri Parenti nel suo "Fantozzi alla riscossa" e dai Vanzina in "A spasso nel tempo"); il funerale finale, con l'ultima beffa ai danni del povero Bernard Blier, vittima abituale delle zingarate dei cinque amici.
Il successo del film portò a due seguiti aventi la stessa struttura del primo film: "Amici miei atto II", diretto ancora da Monicelli e di discreto valore (indimenticabile la gag del Coro dei Cinque Madrigalisti Moderni) ed il mediocre "Amici miei atto III", diretto da Nanni Loy.
A pochi mesi dalla scomparsa di Mario Monicelli ha quindi visto la luce un nuovo capitolo della saga di "Amici miei", fortemente voluto dal regista toscano Neri Parenti e dal suo mecenate Aurelio De Laurentiis. Il roboante titolo è "Amici miei – Come tutto ebbe inizio", ed è – senza mezzi termini – un film di cui vergognarsi.
Profondamente.
La storia è ambientata nella Firenze del '400. Alla corte di Lorenzo il Magnifico, cinque amici passano le loro giornate organizzando burle a tutto spiano. Il gruppo è composto dal potente Duccio (Michele Placido), il nobile Filippo (Christian De Sica), l'oste Cecco (Giorgio Panariello), il cerusico Jacopo (Paolo Hendel) ed il nobile decaduto Manfredo (Massimo Ghini). Tra uno scherzo e l'altro, si tira avanti senza che nulla importi.
D'ora in avanti, la presente recensione potrebbe contenere spoiler. Qualora voleste a tutti i costi andare al cinema ingrassando De Laurentiis con i vostri otto euro, vi consigliamo di interrompere la lettura. Qualora invece preferiste impiegare il vostro tempo in modo più costruttivo (va bene qualunque altra cosa, foss'anche un torneo di scopone scientifico organizzato dal circolo anziani dietro casa), proseguite pure nella lettura.
Nel recensire "Amici miei – Come tutto ebbe inizio", non si sa paradossalmente da dove cominciare. Procederemo quindi programmaticamente, elencando il principale pregio del film: il grande ed evidente dispiego di capitali.
Le scenografie sono infatti imponenti e credibili, i costumi molto curati, il trucco delicato ma incisivo (i capelli di De Sica per la prima volta negli ultimi dieci anni non sembrano tinti; Alessandro Benvenuti è irriconoscibile nel suo ruolo di Lorenzo il Magnifico; le donne, anche le più belle, non hanno le ascelle depilate, come era ovvio per l'epoca). Anche la fotografia, annoso cruccio del nostro cinema contemporaneo, non è televisiva ma propriamente cinematografica. Sotto questo profilo, è evidente che De Laurentiis abbia fatto il possibile per garantire a Neri Parenti, cui tanto deve in termini di incassi natalizi, un giocattolino tecnicamente di prima scelta.
"Fin qui tutto bene, fin qui tutto bene", si ripete ossessivamente per farsi coraggio un uomo che precipita da un palazzo, come ci ricorda Steve McQueen ne "I magnifici sette". Ma il problema non è la caduta, è l'atterraggio, chiosa Mathieu Kassovitz ne "L'odio". E l'atterraggio arriva in fretta, in "Amici miei – Come tutto ebbe inizio". Sì perché in realtà le tanto decantate scenografie sono totalmente ininfluenti rispetto alla sostanza della pellicola, che non sarebbe cambiata di una virgola indipendentemente se fosse stata ambientata nel '500, nel '700, ai giorni nostri o nell'età della pietra.
Non si comprende quindi la scelta di ambientare il film alla corte dei Medici. Mereghetti, interrogandosi sulla medesima questione, ha ipotizzato una celata intenzione di Neri Parenti e del fidato co-sceneggiatore Fausto Brizzi di mostrare come l'amore per le burle sia connaturato ai toscani. Altra ipotesi circolata è che Parenti abbia voluto omaggiare le commedie boccaccesche in costume anni '70/'80 (quali ad esempio "Il prode Anselmo e il suo scudiero" di Corbucci o "Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno" ed "I picari"di Monicelli), ma "Amici miei – Come tutto ebbe inizio" è totalmente privo di qualsiasi elemento caratterizzante il periodo storico di riferimento; non basta far sfoggio di mirabili costumi per catturare lo spirito di un'epoca.
Noi riteniamo che queste ipotesi siano eccessivamente indulgenti circa le capacità di Parenti o Brizzi di elaborare messaggi o sottintesi, sia pur banali, e propendiamo per un'altra ipotesi. Il titolo originario sarebbe dovuto essere infatti "Amici miei 400", con annesso simpaticissimo giochino di parole tra il secolo di Lorenzo il Magnifico ed il numero 4, ad indicare il quarto capitolo della saga. Evidentemente si è poi virato verso un titolo che prendesse maggiormente le distanze dalla saga originaria, viste le reazioni infuriate dei fan.
Nonostante Neri Parenti replichi fedelmente la struttura del primo "Amici miei" (inizio volto a presentare i personaggi con zingarate introduttive, lunga parte centrale in cui il gruppo elabora un'articolata beffa ai danni di un ingenuotto – Bernard Blier nel film di Monicelli, Massimo Ceccherini in quello di Parenti –, morte di un membro del gruppo – a quella di Noiret nel primo film della serie fa da contraltare il coccolone finale di Panariello – e funerale conclusivo con l'ultima zingarata ai danni del solito ingenuotto), questa riedizione in salsa quattrocentesca si limita ad una sequela di gag pecorecce e volgari, senza nemmeno l'ombra di quella malinconia soffusa che, pur rimanendo sottotraccia, pervadeva e rendeva unico il capolavoro di Monicelli: la tristezza negli occhi del Mascetti e del Perozzi, che solo gli amici e le zingarate riuscivano a lavare via, erano componenti essenziali della riuscita del film, che nella migliore tradizione delle commedie all'italiana strappava sì sorrisi, ma sorrisi amari.
Emblema della distanza tra i due film è la scena finale. Nel primo "Amici miei", la morte del Perozzi rappresenta il catalizzatore che porta i rimanenti quattro amici a confrontarsi con la disfatta delle loro esistenze. La frase "ma poi, è proprio obbligatorio essere qualcuno?" pronunciato dal Mascetti dinanzi all'affermazione sprezzante della moglie del Perozzi, secondo cui si piange quando muore qualcuno – mentre suo marito non era nessuno –, è indice del terrore malinconico e disilluso di cui era in balia il gruppo di amici. Ed il seguente funerale, con l'ultima beffa ai danni del povero Blier, rappresentava non solo il saluto finale ad un amico "scomparso prima di essersi divertito abbastanza", come avrebbero detto i Monty Python, ma più in generale l'amaro epitaffio della commedia all'italiana, un genere in cui le lacrime si mescolavano alle risate, così da non riuscire a distinguere le une dalle altre, esattamente come accade con i volti dei quattro amici superstiti.
In "Amici miei – Come tutto ebbe inizio", invece, la morte di Cecco arriva all'improvviso, e viene liquidata con una scrollata di spalle. Al funerale, i volti dei quattro amici superstiti sono totalmente indifferenti, assorti in tutt'altri pensieri. Quando poi ricompare Ceccherini, la beffa finale si traduce in una riedizione della supercazzola recitata da tutti e quattro i protagonisti, a turno, e conclusa con la parola più ricorrente in tutto il film: "poppe". Originale. Alvaro Vitali lo faceva più o meno trent'anni fa nei film di Pierino, con tempi comici migliori. Per non parlare poi della voce off conclusiva, che ci informa con spregio del ridicolo che "così nacque la prima supercazzola".
Ma anche assumendo che questo "Amici miei – Come tutto ebbe inizio" non avesse alcuna velleità autoriale ma intendesse solo rappresentare gli aspetti puramente comici delle vicende del gruppo di amici, il film avrebbe fallito comunque miseramente.
Le gag con cui i cinque guasconi ci deliziano per un'interminabile oretta e mezza, infatti, sono le solite, trite e ritrite stupidaggini da cinepanettone, con De Sica che fa il piacione, Ghini incerto sul proprio ruolo di erede di Massimo Boldi (cosa piuttosto frustrante, se si considera che Ghini rimane un buon attore), Placido che fa una sontuosa marchetta come in "2061 – Un anno eccezionale", Panariello che replica per l'ennesima volta il suo parco di mossette, lo spaesato Hendel che rispolvera le smorfie di Carcarlo Pravettoni ed un paio di bellone (tra cui la starlette Ainett Stephens) che fanno intravedere le tette. Solo che le stesse gag nei tanto vituperati cinepanettoni fanno parte della cornice che ci si aspetta da un film simile, mentre stridono terribilmente in quello che si pretenderebbe essere un omaggio ad un capolavoro del cinema italiano.
Assistiamo così a scenette in cui il momento comico dovrebbe essere rappresentato da De Sica che si beve una tazza di urina o si prende un bastone nel sedere, da Hendel che viene preso a pomodori in faccia perché "buho" (leggasi "omosessuale"), da un cavallo che monta una cavalla in calore o da Ceccherini che fa la figura del tontolone come in un film a caso di Pieraccioni. Praticamente ci manca solo che da un momento all'altro spunti fuori Er Cipolla urlando "mamma mia comme sto!!!", con De Sica pronto a commentare "ma che è 'sta cafonata!".
L'uscita di quest'ultima produzione targata De Laurentiis (che peccato dover svilire così il marchio reso celebre dal grande Dino, il nostro più grande produttore cinematografico) ha provocato una durissima sommossa sul web. In particolare, oltre 50.000 utenti di Facebook hanno chiesto a gran voce dalle pagine del gruppo "Giù le mani da Amici miei: fermiamo De Sica e il suo annunciato prequel" di boicottare il progetto nelle sale. "I soliti radical chic prevenuti, che criticano per partito preso", hanno replicato indignati De Laurentiis, Parenti e De Sica a chi riportava loro tale pioggia di critiche. Quello che questi signori non hanno compreso è che tali critiche (che oggi possono dirsi più che fondate) non erano prevenute, ma basate sul passato cinematografico di Parenti & Co.: un'accozzaglia di filmacci in ciclostile, in cui la risata viene cercata con slapstick di serie B, tette, culi, scuregge, rutti, volgarità ed amenità assortite, solleticando la voglia del popolo di ridere senza sforzi, facendo leva sulla comicità insita nella parolaccia o nella situazione scatologica in sé. Un po' come quando alle elementari un bambino dice "cacca" e tutti gli altri bambini scoppiano a ridere, e quindi il bimbo si sente incoraggiato e la ripete all'infinito accompagnandola ad altre parole tabù che richiamano parti o funzioni corporee, "cacca, culo, pisello, cacca, culo, pisello", aumentando l'ilarità acritica generale della platea infantile. Ecco, i fan del capolavoro di Monicelli temevano – a ragione – che accadesse proprio questo, che una pietra miliare come "Amici miei" potesse essere stuprata da gente che non ha la minima competenza non solo comica, ma cinematografica in genere. Questo Parenti non capiva, nonostante si professi egli stesso un grande fan del film di Monicelli.
Neri Parenti ha dichiarato di aver covato per anni questo progetto, proprio per omaggiare l'originale "Amici miei". Viene allora da dubitare non solo della competenza registica di Neri Parenti, che con questo filmaccio perde ogni alibi residuo, ma anche della sua capacità di analisi. Perché delle due l'una: o non ha mai compreso la reale portata di "Amici miei", o l'ha fatto e ritiene sul serio che "Amici miei – Come tutto ebbe inizio" ne sia un fedele omaggio.
In entrambi i casi, non ne esce particolarmente bene.
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Recensione a cura di Jellybelly - aggiornata al 23/03/2011 11.29.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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