Voto Visitatori: | 6,74 / 10 (48 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 7,50 / 10 | ||
La formula narrativa del "sedotta e abbandonata" ha da sempre interessato il Cinema e, alla lontana, le letterature di ogni epoca; ha poi da sempre affascinato noi, un pubblico avido di sapere come potrebbe o sarebbe potuto andare finire ciò che ognuno di noi nel secretum della nostra cameretta, saturi di una vita noiosa e insoddisfacente, abbiamo lacrimando sognato: mollare tutto e cambiare vita.
Spesso l'input a una tale drastica decisione ci è offerto da giovanotti (ebbene sì, a covare questo instabile bovarismo sono soprattutto le signorine) misteriosi e seducenti, unanimemente più anziani, che vantano il fascino della Porche (o della Bristol, se vogliamo inanzitutto ricondurci al film). Già il tenero Ciclope teocriteo, al fine di portarsi in caverna la dolce Galatea, vanta nella sua raffinatissima apologia il possesso di cuccioli d'orso, di formaggi e di latte sempre a disposizione; al di là dell'anacronismo dell'esempio, rimane nudo e crudo un concetto: la protezione.
Da che mondo è mondo, le donne e soprattutto le ragazzine hanno solcato gli oceani e disobbedito ai loro ben più saggi genitori per un miraggio, un desiderio che, a osservare le loro storie, si autonega. Cosa spinga infatti una giovane e brillante ragazzina della Londra anni '60 a cercare sicurezze in un ometto che passa le sue giornate a rubare oggetti di valore e a frodare vecchie vittoriane signore dal pregiudizio facile, non ci è dato saperlo. Possiamo però capirla, e divertirci e sognare con lei, e ridere e piangere per quella che è una curiosa e irriverente storia inglese di terrorismo adolescenziale.
La bella e ribelle Jenny fa parte infatti di quelle persone che per saggezza e intelligenza, ma pure per opportunismo, hanno conservato un bel rapporto coi loro esigenti genitori i quali occupano quasi al 90% la loro foruncolosa e gracile vita di studenti: ottimi voti a scuola, hobby e passioni controllate, non troppo interessate agli uomini (spettacolare la figura del ragazzino, di lei spasimante), in grado di stemperare con l'ironia l'assordante monotonia delle loro giornate. Va da sé che l'incontrare un uomo affascinante, scanzonato, misterioso, ricco e soprattutto interessato al contorto universo femminile di una sciocca, ma in fiore liceale porta la suddetta alla follia d'amore e al, fin dall'inizio proclamato, disastroso finale. Il mito dell'uomo maturo, forte, impetuoso e travolgente, che ha frequentato "l'università della vita", colpisce le donne del nostro cinema, come aveva colpito la Natascia di Tolstoj che, più in guerra che in pace con se stessa, rinuncia a ciò che è sicuro e consolidato nella sua vita (il fidanzamento col principe Bolkonski) e vola tra le braccia dell'irresistibile e bellissimo principe Kuraghin, mascalzone di prim'ordine. Ma (Dio ci preservi da grotteschi paragoni con il più grande romanzo da uomo scritto) se in Tolstoj la tradizione formula del "sedotta e abbandonata" ha dato luogo a un personaggio che osserva evoluzioni letterarie che toccano vertici di himalayano splendore, in Scherfig ci limiteremo a prendere atto della cosa e a rincuorarci di un più che necessario happy ending.
Beninteso non si tratta di una critica, ma di un cosciente ridimensionamento di un film che alla bellezza della confezione nasconde una sostanziale povertà di contenuti.
Essa d'altronde è solo una commedia, leggera, spumeggiante, come ce ne sono milioni, perché accanirsi? C'è chi ha tacciato questo cioccolatino cinematografico di essere diseducativo e frettoloso: mai niente di più falso fu detto da recensore. Diseducativo in Arte è un concetto che non esiste, anche Antigone lo è dal momento che insegna a disobbedire alle leggi. Frettoloso neanche, dal momento che il film è piuttosto lungo e ben pasteggiato, tuttavia è ovvio che se ci aspettava un'introspezione psicologica le speranze sono state totalmente deluse, comunque penso si debba dare il giusto peso a una commedia che non presenta nulla di nuovo, ma lo presenta con un pacco regalo davvero, davvero entusiasmante.
Come non lasciarsi coinvolgere dal sorrisetto ironico della venticinquenne e splendida attrice britannica Carey Mulligan (nomination all'oscar 2010) e dalle continue frecciate sardoniche che rivolge ai due imbalsamati, ma adorabili genitori (Molina al vertice del suo travolgente talento), ma soprattutto dalla finezza e dalla serenità con cui si accosta a un tema che di divertente ha poco e niente? Il terrorismo di una ragazzina e di tante come lei ha ispirato tanta arte forse perché di questo ottocentesco bovarismo si soffre da molto più tempo e la preoccupazione di intere dinastie paterne è sfociato in esempi di elevato cinema e letteratura; d'altronde è la stessa sapienza biblica del Siracide che ricorda, a monito eterno, come una figlia sia sempre motivo di preoccupazione per un padre. E "An Education" è un film che riprende esattamente la stessa icastica, verissima verità, e il come lo fa è una gioia per gli occhi. Rimaniamo letteralmente incantati dalle atmosfere (perfettamente ricostruite) dell'helldorado parigino con sequenze meravigliose di vestiti, trucchi, musiche, luoghi che non possono non inebriare lo spettatore che vive nello squallore della bassa padana. Tutto profuma di vita vera a Parigi, e la domanda che ci facciamo tutti e che spinge l'homo errans a solcare le vie del pianeta, è: "mi devo annoiare per tutta la vita? Sto costruendo la mia noiosa infelicità?". Schopenauer direbbe che è inevitabile, Leopardi pure, Nietzsche direbbe di alzarsi e spaccare tutto, ma la sostanza del discorso è che questa cosa continua a disturbarci e spesso ci porta a compiere scelte di leggendaria stupidità. Non è solo un problema di Jenny, è un problema di tutti: "per tutta la vita ho avuto paura", dice il padre in una scena di memorabile dolcezza, "e non volevo ne avessi tu". Lo studio, la cultura rendono liberi... Forse no.
E "An Education" è questo: un bel film, curato, allegro, ma anche molto amaro. Prevedibile perché la storia la sappiamo già, ma già dai gradevoli titoli di testa ci affezioniamo, senza calcare troppo con la critica neanche sui disastrosi quarantenni della Londra anni '60 e sugli ingenui genitori di Jenny. I primi forse retaggio del nichilismo totalizzante di un paese e di una generazione che sta faticosamente dimenticando l'orrore della guerra, e ai secondi cediamo la voce di Francesco Guccini:
"Sentirai che tuo padre ti è uguale, lo vedrai un po' folle, un po' saggio
nello spendere sempre ugualmente paura e coraggio,
la paura e il coraggio di vivere come un peso che ognuno ha portato,
la paura e il coraggio di dire: "io ho sempre tentato,
io ho sempre tentato..."
("E Un Giorno")
Studiare, imparare ci libera dalle paure. Può darsi che in fondo la morale sia questa. Non è granché, ma ringraziamo Hornby, Scherfig e i bravissimi attori per averla resa così bene. Che poi è il bello del Cinema.
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Recensione a cura di Terry Malloy - aggiornata al 06/04/2010
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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