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Parlare di "Apocalypse now" è cercare di analizzare un'opera fondamentale del cinema mondiale e del cinema americano in particolare.
Difficile cominciare un qualsiasi discorso scindendo il film dal suo autore, Francis Fors Coppola, senza tenere conto del lungo e travagliato processo di avvicinamento che ha portato alla realizzazione di un'opera così notevole e che, piaccia o meno, riveste tutt'ora un'importanza primaria nella storia del cinema.
Il successo di "Easy rider" di Dennis Hopper fu il risultato di un grande fermento che stava scuotendo dall'interno il cinema americano. Questo movimento vedeva affacciarsi nuovi autori dalla provenienza eterogenea (dalla Factory di Roger Corman, dalla televisione, dall'università del cinema) e proponeva nuove idee e nuovi modi espressivi di fare cinema. Era la nascita della cosidetta New Hollywood, linfa che arrivava a proposito per rinvigorire l'establishment degli studios ormai in crisi profonda di uomini ed idee.
Francis Ford Coppola, oltre ad essere una di queste nuove leve, al pari degli Scorsese, De Palma, Friedkin, Bogdanovich, Lucas, Spielberg, rappresentò probabilmente la punta di diamante di questo movimento, colui che forse più di ogni altro rischiò maggiormente di persona nel porsi come valida alternativa agli studios hollywoodiani, fondando l' American Zoetrope, che diventerà polo di aggregazione di molti giovani cineasti americani e cantiere per diversi progetti di giovani autori.
Se esiste un aggettivo per definire il rapporto di Coppola con gli studios hollywoodiani, 'controverso' è il termine più adatto. Il regista si rende perfettamente conto che per soddisfare le sue sfrenate ambizioni deve acquisire un certo status all'interno stesso del sistema: le ambizioni vengono nutrite oltre che dalla capacità dell'autore (o presunto tale) anche e soprattutto dalla possibilità di avere più mezzi economici e finanziari possibili.
Proprio per questo una delle caratteristiche di Coppola, dai primi anni della sua carriera fino ad "Apocalypse now", è questa alternanza di film di genere più commerciabili ("Terrore alla tredicesima ora", "Sulle ali dell'arcobaleno") con progetti molto più personali ("Buttati Bernardo", "Non torno a casa stasera"). Questa alternanza serve a Coppola da una parte a soddisfare le esigenze degli studios con film che seguano le direttive per un facile successo di cassetta, dall'altra a permettersi la costruzione di uno status personale di autore.
Oltre alla sua attività di filmaker bisogna anche rilevare il successo che ha avuto un suo soggetto che sarà la base per uno dei film premiati con l'Oscar nel 1970, "Patton", che frutterà all'ex-laureato alla scuola di cinema della UCLA, oltre la statuetta, una rapida scalata dentro l'establishment degli studios.
Studios, e la Warner in particolare, che non vedono di buon occhio i giovani ambiziosi della Zoetrope: il fiasco commerciale di "THX 1138" di George Lucas (rivalutato però qualche anno più tardi) darà il pretesto alla casa per rompere tutti i contratti che avevano stipulato con Coppola. Un colpo durissimo (denominato dallo stesso regista il 'Black thursday') che di fatto affosserà la Zoetrope, ma darà l'occasione al regista per accettare la proposta della Paramount per girare "Il Padrino".
Il successo straordinario di questa pellicola spalancherà a Coppola tutte le opportunità possibili ma sempre in nome di quella 'alternanza', alla quale si faceva riferimento sopra, il regista girerà "La conversazione" (Palma d'oro a Cannes) e poi "Il Padrino parte II", confermando così il successo del predecessore.
Giunto a questo punto, Coppola è considerato il miglior regista sulla piazza a soli trentacinque anni: può fare quello che vuole grazie al successo, alla fama e ai soldi che ha ottenuto per se stesso e soprattutto per gli studios. In questa fase decisiva sarà concepito quello che considera l'incontro fra il modus operandi del cinema americano (il genere, la grande produzione) con l'autorialità europea che ha sempre ammirato nella 'Nouvelle Vague' dei Godard e nel cinema di Bernardo Bertolucci e Michelangelo Antonioni, da lui sempre ammirati fin dai tempi dell'università. Coppola vuole porsi come punto di incontro di queste due mentalità apparentemente poco conciliabili.
Nasce così il progetto di "Apocalypse now".
La genesi di "Apocalypse now"
Viene rispolverato dal cassetto un vecchio soggetto di John Milius dal titolo "Apocalypse now", lontanamente ispirato da "Cuore di tenebra" di Conrad, che nelle intenzioni iniziali doveva essere diretto da George Lucas. Il progetto fu accantonato perché il Vietnam era un argomento quasi tabù da trattare a livello cinematografico. Oltretutto, con la guerra ancora in atto, diventava commercialmente molto rischioso. Si aggiunga che le ferite lasciate dal pesante insuccesso di "THX 1138" erano ancora aperte per American Zoetrope e quindi fu deciso momentaneamente di accantonarlo. Non doveva essere comunque un film dai costi eccessivi: troupe ridotta all'essenziale ed era previsto di utilizzare, come location, lo stesso Vietnam (altro rischio non indifferente).
Coppola, dopo l'ennesimo successo de "Il Padrino parte II", a questo punto decide di rimettere mano al 'soggetto Apocalypse'. Sente che è giunto il momento di fare quel salto definitivo di qualità, cioè di portare a compimento la sua personale ambizione di rifondare l'intero cinema americano, di modificare profondamente i meccanismi produttivi dove al centro sta l'autore/regista e dove le regole del singolo genere cinematografico devono sottostare alle esigenze del regista, non il contrario.
Una sfida che, se vinta, potrà collocare qualitativamente e culturalmente il cinema americano alla pari con quello europeo. Non ci sarà più nessun complesso di inferiorità verso autori come Fellini, Bergman, Kurosawa, Godard; la potenza della macchina produttiva americana potrà colmare tali lacune e "Apocalypse now" sarà il sigillo che sancirà questa nuova evoluzione.
20 marzo 1976: in uno specchio d'acqua a quattro chilometri dalla capitale filippina, Manila, viene dato il primo ciak di "Apocalypse now".
Le Filippine vengono scelte da Coppola per due motivi principali: il primo per le ovvie similitudini geografiche ed ambientali con la giungla vietnamita e secondo l'esercito filippino ha in dotazione elicotteri identici all'esercito americano, visto che quest'ultimo ha rifiutato al regista qualsiasi tipo di collaborazione.
21 maggio 1977: fine delle riprese del film.
Durante questo lasso di tempo si consuma una delle più grandi odissee produttive della storia del cinema, capace di costituire un vero proprio film nel film, come puntualmente è avvenuto nel bellissimo documentario di George Hickenlooper e Fax Bar "Hearts of Darkness: A Filmmaker's Apocalypse" (in italiano "Viaggio all'inferno") con la moglie di Coppola, Eleonor, a farci da guida verso i meandri di una produzione travagliatissima.
Vengono interpellate diverse star dell'epoca per il ruolo di Willard (Nicholson, Redford, Pacino, McQueen), ma dover stare diciassette settimane nella giungla filippina non invoglia alcuno ad intraprendere una simile avventura.
Harvey Keitel scritturato per il ruolo viene licenziato dopo una settimana perchè ritenuto poco adatto per la parte di Willard e sostituito da Martin Sheen, incontrato casualmente da Coppola all'aeroporto di Los Angeles.
Ma è solo l'inizio: un tifone violentissimo si abbatte sui set del film distruggendone buona parte con le annesse attrezzature, i ritmi di produzione sono molto lenti a causa anche della particolare complessità delle riprese e dalle condizioni climatiche estreme. Martin Sheen viene colto da infarto e riprenderà un mese dopo rallentando, non certo per colpa propria, ulteriormente le riprese.
Anche Marlon Brando ci mette del suo, arrivando nelle Filippine impreparato sul ruolo, dato che non aveva letto come promesso "Cuore di tenebra" di Conrad, e intanto i costi stanno lievitando in maniera sensibile dai 24 milioni di dollari previsti dal budget fino ai 30 milioni finali, la cui differenza la garantisce direttamente Coppola ipotecando i suoi beni personali.
Oltre a questa serie di problemi organizzativi e ambientali, Coppola doveva affrontare forse il problema maggiore di una vera empasse creativa che gli impediva di elaborare un finale all'altezza di quello che voleva essere il suo film più ambizioso. Un nodo che si ripropose in parte irrisolto anche nella fase di montaggio (anche questa lunghissima), protrattasi per quasi due anni. Un montaggio di un film con una mole di materiale enorme, frutto di ben 238 giorni pieni di riprese.
"Apocalypse now" è un film travagliatissimo in tutti i sensi e questo ha contribuito - a suo vantaggio bisogna dire - alla costruzione di quell'alone di mito già molto prima di uscire nelle sale.
L'attesa spasmodica creatasi per quest'opera di Coppola culminerà alla presentazione di Cannes dove partecipa nel concorso ufficiale con un montaggio non definitivo e con due finali differenti (di cui solo uno, ovviamente, presentato alla proiezione del concorso e l'altro fatto circolare in maniera ufficiosa). E' troppo importante per il regista vincere a Cannes, uno dei festival più importanti, se non il più importante d'Europa; malgrado abbia già vinto la Palma d'oro con "La conversazione", "Apocalypse now" rappresenta una scommessa più rischiosa, lontanissima dal minimalismo di quel film, per tutta quella serie di motivi citati sopra.
La scommessa viene vinta e ad "Apocalypse now" viene assegnata la Palma d'oro alla pari con "Il tamburo di latta" di Volker Schlondorff.
L'inizio del viaggio
"Apocalypse now" è il lungo cammino verso un incubo sullo sfondo della guerra del Vietnam, attraverso la metafora di un viaggio iniziatico del suo protagonista Willard, testimone del disfacimento di una nazione che per la prima nella sua storia sta vedendo lo spettro della propria sconfitta militare ed un viaggio all'interno dell'anima di un uomo a cui dovrà porre fine al suo comando: il colonnello dei marines Walter B. Kurtz.
Sul film di Coppola si può dire tutto e il contrario di tutto ma una cosa la si può affermare senza temere di essere smentiti, ovvero ciò che "Apocalypse now" non è: un film di guerra convenzionale, con protagonisti-eroi dai saldi principi e con un'etica morale ben definita, che combattono un nemico disumano da distruggere e da eliminare.
Willard, interpretato egregiamente da Martin Sheen, fin dall'inizio si evidenzia come un personaggio atipico rispetto ad altri, dalle caratteristiche più consolidate. Militare e uomo dei servizi segreti utilizzato in missioni speciali (a volte dai propositi discutibili), che convive con i propri demoni interiori in maniera problematica (tutta la sequenza iniziale della stanza d'albergo con il sottofondo di "The End " dei Doors). Una parte oscura a cui dovrà fare ricorso nella sequenza dell'uccisione di Kurtz nel finale, con una perfetta simmetria tra l'inizio e la fine,sottolineata sempre dal medesimo brano dei Doors.
Ha un atteggiamento freddo e distaccato nei confronti dei suoi compagni di viaggio, da lui considerati né più né meno che povera carne da macello per il nemico e proprio per questo, interiormente, l'unico sentimento che prova verso di loro è una sorta di compassione, per dei ragazzi troppo immaturi per uno scenario simile. Curiosamente si salverà solo Lance, l'unico tra questi che riuscirà, grazie all'LSD, ad estraniarsi completamente dalla realtà, ad andare oltre, modificando sensibilmente la sua capacità di percezione sensoriale e costruirsi quasi un universo alternativo in cui trovare rifugio.
Le riflessioni personali di Willard sono evidenziate costantemente dalla voce-off in cui riverbera i suoi pensieri mai esplicitati nei confronti degli altri membri dell'equipaggio, rendendosi perfettamente conto della assurdità della sua missione ("accusare in vietnam un uomo di omicidio è come fare una multa per eccesso di velocità alla 500 miglia di Indianapolis"),ma al tempo stesso aderisce da mero esecutore della volontà dei propri superiori, non manifestando apertamente le sue personali perplessità verso quell'ipocrisia nemmeno tanto velata di uomini che accusano di metodi insani Kurtz nel condurre una guerra, quando loro stessi ordinano bombardamenti dove possono morire decine o centanaia di innocenti.
Willard nel corso del suo viaggio avrà la risposta a questi quesiti: ad ogni tappa di questo viaggio dantesco verso il regno di Kurtz l'apparente linearità e ordine del comando di Natrang si polverizzeranno ai suoi occhi in realtà grottesche (Kilgore e le Playmate) e allucinate (il ponte di Do-Lang), evidenziando lo scollamento della struttura di un esercito ormai in balia di se stesso e dove gli ordini di questi superiori hanno perso completamente di significato: più avanza verso Kurtz più astratti diventano i vertici dell'esercito.
Kilgore e le conigliette di Playboy
Dopo aver cominciato a svelare l'ipocrisia dei vertici militari di Natrang, Coppola ci mostra la costante e progressiva perdita di ogni razionalità umana in questo avvicinamento al regno di Kurtz. Per poter risalire il fiume Nung in barca devono essere scortati da una squadriglia di elicotteri comandata dal colonello Kilgore, intepretato da Robert Duvall. Il libero accesso deve essere ottenuto tramite la distruzione di un avamposto vietnamita in un villaggio posto alla sua foce.
Questo battaglione di elicotteri è una rivisitazione moderna di tutti i 'settimo cavalleggeri' caro ai western classici della vecchia Hollywood, quelli per intenderci che arrivavano sempre nel finale del film a sbrogliare le situazioni più disperate decretando la vittoria degli eroi sui cattivi di turno (quasi sempre gli indiani).
Ciò a cui assistiamo però è una rappresentazione dell'assurdo che potrebbe essere definita etica del massacro, condotta sulle note della "Cavalcata delle Valchirie" di Wagner. Un massacro che il colonnello Kilgore ha perfettamente codificato nei suoi rituali da rispettare: la trombetta dell'avvio all'operazione, le note della Cavalcata sparate a tutto volume, tonnellate di napalm sul nemico.
Tutto perfettamente riuscito, tutto perfettamente coreografato come se fosse scritto su una sceneggiatura cinematografica, ma qui Coppola ne rovescia completamente i clichè: non ci sono buoni e cattivi, non ci sono indiani delle praterie d'America, c'è invece la spettacolarizzazione di un massacro che ha lo scopo principale non nello scortare degli uomini verso una missione (secondario per Kilgore), ma farsi qualche bella onda su una tavola da surf, uno dei simboli principali dell'American way of life, di cui Kilgore ne è un convinto sostenitore.
L'assurdo, lo scopo secondario ha la meglio sulla direttiva principale. L'eccesso (il napalm) e le singole necessità totalmente fuori contesto (il surf) prevalgono sul razionale, in una delle sequenze più spettacolari del film, ma senza eroismi da celebrare.
Coppola opera una scelta metodologica differente rispetto ad un altro kolossal come "Il Padrino", girato in maniera più classica e con la macchina da presa invisibile, senza tecnicismi da esibire.
"Apocalypse now" è un film dell'eccesso, qui la macchina da presa è esibita, scoperta: gli sguardi dei protagonisti guardano dentro la macchina ed il regista stesso ne certifica di persona, sulla scena, questa visione impersonando un filmaker di guerra, ordinando a Willard e i suoi compagni di avanzare come se la battaglia fosse ancora in corso, aggiungendo un falso pathos per coloro che usufruiranno di queste immagini.
Il Vietnam è stata per l'America una guerra vissuta molto da vicino dal suo popolo: le grande distanza tra le due nazioni veniva ad annullarsi grazie al mezzo televisivo, con i suoi continui reportage dal fronte che proiettavano lo spettatore seduto in poltrona, nell'inferno della guerra.
Al tempo stesso però, se l'America è così lontana per i soldati impegnati sul fronte, l'America si prende carico di farli sentire a casa, seppure per pochi fugaci momenti: la stazione di rifornimento di Hauphat è un altro di quei campionari dell'assurdo che Coppola ci pone di fronte. Una cattedrale del kitsch in mezzo alla giungla vietnamita in cui viene smerciato di tutto, dalla benzina per i rifornimenti fino ad arrivare alla droga, venduta sottobanco, e persino moto da cross delle più svariate marche. L'American way of life deve essere sempre presente, persino nei posti più inimmaginabili, dove a corollario di tutto ecco uno dei suoi simboli più forti, le conigliette di Playboy, venute per sollazzare le truppe in mezzo al fronte.
Una gigantesca baracca circense, una Disneyland del grottesco in mezzo alla giungla dove vengono sfogate pulsioni sessuali represse in cui lo scopo della guerra perde ogni senso.
"Per Charlie, la sua idea di divertimento, è riso freddo e un po' di carne di topo. Ha solo due strade per tornare a casa: morte o vittoria."
Il disincanto di Willard è lo specchio di una sconfitta annunciata che si avvicina sempre di più: la repentina fuga delle conigliette dall'assalto dei soldati è il chiaro sintomo di una situazione che sta andando ormai fuori controllo, perchè in fondo i soldati americani sognano di avere una 'passera' al loro fianco, non di combattere la resistenza vietnamita.
Una ulteriore conferma si avrà nel successivo massacro dei contadini del Sampai, scriteriato quanto inutile; l'equipaggio della barca, dapprima spensierato nell'ascoltare musica rock e fare sci d'acqua sul fiume, è adesso teso come una corda di violino. E' sufficiente un movimento brusco o un gesto mal interpretato per far scattare il grilletto: l'ingenua baldanza dell'inizio del viaggio lascia il posto all'istinto di sopravvivenza.
Zona di confine: il ponte di Do-Lang
Distrutto ogni notte e ricostruito di giorno dalle truppe americane. E' il luogo dove avviene il cortocircuito di ogni razionalità, un universo caotico popolato di fantasmi a caccia di un nemico invisibile e di cui si sente solo la voce. La catena di comando è spezzata senza rimedio, gli ordini delle autorità di Natrang sono ormai diventati astratti come il nemico vietnamita e i soldati si aggrappano a quell'ultimo baluardo costituito dal ponte, ricostruito meccanicamente ogni giorno come dei robot in una catena di montaggio. Lo sguardo di Lance è il nostro sguardo, in pieno trip allucinatorio da LSD che ci fa spaziare in un panorama funereo dove si possono vedere già i riflessi di quello che c'è oltre il ponte.
Il soldato che uccide con un razzo il soldato vienamita che lancia insulti verso le truppe americane, ha in sé quello che in "Full Metal Jacket " di Kubrick veniva definito come colui che proviene dalla prima linea del fronte con 'lo sguardo che viene dall'aldilà': le sue stesse collane di ossa che ornano il suo collo possiedono quelle caratteristiche di regressione allo stato selvaggio.
Oltre il ponte c'è la Cambogia, oltre 'esiste solo Kurtz', la presenza che ha sempre aleggiato per tutta la durata del viaggio, con i dossier minuziosamente studiati da Willard che ripercorrono la sua carriera militare, ma che nulla dicono del perché (sempre secondo il comando militare di Natrang) sia impazzito.
Superato il ponte di Do-Lang, ultima vestigia di quella che può essere definita la civiltà occidentale, la natura e gli uomini si presentano sempre più selvaggi e ostili. L'Africa coloniale di Conrad e la giungla cambogiana di Coppola sembra quasi che si tocchino, annulando le differenze spaziali e temporali. In questo contesto l'immaturità adolescenziale di Clean e l'ignavia tipica dei militari di Chief hanno la peggio e uno dopo l'altro vengono uccisi in delle imboscate.
Prima di Do-Lang il fiume era un percorso relativamente sicuro, era sufficiente non deviare mai dalla strada tracciata per evitare cattivi incontri (la tigre). Ora non ci sono più certezze, il viaggio verso il lato oscuro dell'animo umano si avvia alla conclusione, al cospetto di Kurtz.
Porre fine al suo comando
'La fine del viaggio', il ritorno dell'uomo alla primordialità dell'istinto animale.
Il villaggio di Kurtz è composto da vestigia di civiltà ormai scomparse, dei pallidi simulacri che la giungla seminasconde tra le sue spire. Cadaveri impiccati in putrefazione, teste mozzate, teschi descrivono più di tante parole il panorama di morte che circonda il colonnello impazzito.
Prima dell'incontro con l'ufficiale, il personaggio di Dennis Hopper, un fotoreporter americano completamente schizzato, riveste una funzione di preparazione al faccia a faccia tra Kurtz e Willard rivelando, sia pur parzialmente, l'essenza di Kurtz: "Il colonnello è lucido, è la sua anima che è persa".
La sua è anche una funzione di tramite tra i due: grazie anche al suo contributo, gradualmente Willard acquisirà la consapevolezza di cosa voglia veramente Kurtz da lui.
L'incontro tra Kurtz e Willard è uno dei momenti culminati dell'intera pellicola: per la fotografia perfetta di Storaro che fa emergere il volto di Marlon Brando dalla penombra, per l'enorme intensità emotiva che il grande attore americano, grazie al suo immenso carisma, riesce a trasmettere nello spettatore (e non penalizzato dal doppiaggio italiano dell'ottimo Sergio Fantoni) e dalla bravura di Coppola per essere riuscito, come già detto, a far sentire la 'presenza' di Kurtz per tutto il film, caricando l'attesa della sua apparizione a livelli esponenziali.
La capacità di Coppola, inoltre, è nel riuscire a gestire in maniera perfetta Marlon Brando: oltre ad essere arrivato nelle Filippine impreparato sul ruolo, dato che non aveva letto "Cuore di tenebra", l'attore era in precarie condizioni fisiche per il ruolo. Notevolmente ingrassato oltre le previsioni più pessimiste del regista stesso, Brando non possedeva certo il phisique du role di un colonnello dei marines.
Coppola quindi limitò al massimo le inquadrature sulla figura intera, concentrandosi molto sui primi piani dell'attore in modo da nascondere il più possibile il fisico ingrassato anche con l'ausilio di abiti molto larghi. Dopotutto però lo stato fisico di Brando rende pienamente l'idea del disfacimento di Kurtz, un uomo ormai distrutto da un'esperienza che lo ha segnato nel profondo, che è trapassata dai ricordi del campo di fiori lungo il fiume Ohio, il paradiso sotto forma di gardenia, all'orrore della guerra in Vietnam dove ha raggiunto la rivelazione, cioè la consapevolezza che la vittoria nel conflitto occorre venire a patti con l'orrore, farselo amico liberandosi di ogni zavorra razionalistica e di ogni capacità di giudizio.
Ciò che deve rimanere, secondo Kurtz, è solo il singolo atto, puro, chiaro e cristallino dentro una crudeltà orribile, ma non immorale. E' questo il patto stipulato da Kurtz con l'Orrore: un paradosso in cui una causa giusta passa sopra ad ogni scrupolo e giustifichi ogni cosa. Un simile postulato significa far emergere solo il lato istintivo e animale dell'uomo eliminando la razionalità, la cultura e la civiltà stessa, negandone persino l'esistenza.
Si tratta di un pensiero libero, coerente ed onesto pur nella sua crudeltà di fondo che squarcia definitivamente il velo di ipocrisia dei superiori di Natrang i quali sicuramente sono arrivati alla stessa conclusione ma che non possono o non vogliono accettarne le conseguenze. In definitiva ciò che rimane è il 'Nulla assoluto', il totale annullamento di Bene e Male ed è un peso che ogni uomo razionale non può sostenere.
L'unico modo per venirne fuori è la morte
Questi sono i progetti di Kurtz per Willard, sicuramente già esposti (il regista ce lo fa solo supporre), al capitano Colby (Scott Glenn) mandato in missione prima di lui. Colby ha però accettato le regole della giungla rimanendo con Kutrz e tagliando tutti i ponti con la sua famiglia.
La morte di Kurtz quindi è un atto irrinunciabile perché, oltre ad alleviare le sofferenze di un uomo ormai distrutto, significa al tempo stesso la salvezza per Willard allontanandolo dal gelido abbraccio della giungla e del colonnello e non seguire lo stesso identico destino di Colby.
Il tutto avviene in una sorta di rito sacrificale dove, in un montaggio parallelo, si consuma il sacrificio di un animale e l'uccisione di un dio-padre, con il brano "The End " dei Doors a fare da perfetto contrappunto da tragedia edipica.Proprio la canzone chiude la simmetria con l'inizio del film: una fine che, già presente all'inizio, si prefigurava come una tragedia annunciata.
I finali del film
Malgrado le lunghe riprese e l'ancor più lungo lavoro di montaggio, Coppola non aveva ancora deciso quale finale adottare. Sostanzialmente si può parlare di due finali, anche se tuttavia vi è un terzo finale che in realtà è una variante del secondo:
il primo finale si conclude con l'uccisione di Kurtz da parte di Willard che ne prende il posto per diventare il nuovo capo dell'accampamento e continuare la guerra di Kurtz. Un finale più negativo in effetti, ma più efficace per il discorso di circolarità della pellicola. Inoltre ad un livello più metaforico, l'utilizzo e soprattutto l'uccisione del personaggio di Marlon Brando, icona della Grande (e Vecchia) Hollywood simbolicamente rappresenta la definitiva dipartita di un modo di concepire il cinema e l'emergere della New Hollywood che, come già detto, aveva in Coppola la sua punta di diamante.
In maniera più sottile e con lo stesso Brando protagonista, nel primo Padrino assistiamo a qualcosa di simile: la lenta ma inesorabile estromissione del vecchio Vito Corleone da parte del figlio Michael.
Nel secondo finale, quello disponibile fra l'altro nell'edizione del dvd e scelto da Coppola, il film si conclude con il ritorno di Willard e Lance, unico sopravvissuto dell'equipaggio, verso la civiltà.
Una conclusione più aperta, apparentemente più ottimista, se non altro per la capacità di uscire fuori dopo aver visto e toccato l'Orrore. La variante al secondo finale consiste invece nei soli titoli di coda dove si vedono le scene di distruzione del villaggio di Kurtz sotto da parte dei bombardieri dell'esercito americano. Un'aggiunta al secondo finale molto spettacolare e che presenta una eccellente commistione tra la bellissima colonna sonora di Carmine Coppola (certamente il suo miglior lavoro) e le immagini della distruzione del villaggio.
Questa variante comunque era compresa nel secondo finale definitivo, giacchè era presente nelle vecchie edizioni vhs, ma poi fu eliminata nell'edizione del dvd.
Fare un film di guerra dopo "Apocalypse now" non sarà più lo stesso come lo è stato nel decennio precedente "2001: Odissea nello spazio" di Stanley Kubrick per il genere della fantascienza. Non ci sono catene abbastanza forti da trattenere questi due film nelle nicchie dei generi cinematografici perché vanno troppo oltre.
La loro forza è di aver scardinato tutte le regole e imposto nuovi modelli a cui tutte le pellicole successive hanno dovuto fare riferimento e, al tempo stesso, rimanere nel tempo come dei gioielli unici e intramontabili.
"Drop the Bomb. Exterminate them all!"
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Recensione a cura di The Gaunt - aggiornata al 10/09/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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