Recensione arizona dream regia di Emir Kusturica Francia,USA 1993
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Recensione arizona dream (1993)

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locandina del film ARIZONA DREAM

Immagine tratta dal film ARIZONA DREAM

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Invitato a insegnare alla Columbia University di New York, sulle tracce di Milos Forman, Emir Kusturica riceve da un proprio allievo la sceneggiatura de "il valzer del pesce freccia" che diventerà dopo numerose riscritture "Arizona Dream", primo ed unico film americano del rutilante regista balcanico.
Kusturica si lascia stregare dagli spazi del territorio americano, che tanta fascinazione hanno sempre esercitato sui registi europei (la mente va ovviamente a Wenders); la sua freschezza ed i suoi colori si armonizzano in maniera superba con lo scenario naturale dell'Arizona creando una tragicommedia visionaria sul sogno americano, fatto di Cadillac che arrivano fino alla luna, smoking rosa e cactus che crescono all'ombra di un grande albero.

Ma durante la realizzazione del film gli eventi storici precipitano: in Yugoslavia scoppia la guerra civile, le milizie bosniache fanno irruzione nella sua casa natale, i suoi genitori fuggono in Montenegro e suo padre (al quale il film verrà dedicato) morirà dopo qualche mese.
Tali avvenimenti influenzeranno moltissimo la vita del regista e di conseguenza il suo film.
La sua idea iniziale continua ad evolversi, si muove e guizza; i suoi temi si caricano di nuovi significati e si vestono di nuovi simboli. Le riprese di questo film dureranno addirittura un anno e verranno interrotte per tre mesi a causa di un esaurimento nervoso del regista.

La trama è in realtà molto semplice: il giovane Axel (Johnny Depp, il più europeo fra gli attori americani) vive a New York dopo la morte dei genitori in un incidente d'auto; lavora come impiegato presso il Dipartimento per la Caccia e la Pesca, tratta i pesci da buoni amici e sogna un palloncino portato dal soffio ghiacciato dell'Alaska.
Ma il suo amico Paul (Vincent Gallo) viene a "rapirlo" per riportarlo in Arizona, dove deve far da testimone alle nozze di zio Leo (uno spassosissimo Jerry Lewis). Qui conosce Elaine una donna bellissima ma ormai matura (Faye Dunaway), e la sua gelosissima figliastra Grace (Lily Taylor).
La storia si delinea attraverso il travaglio dei personaggi - sempre in bilico fra situazioni farsesche ed il male di vivere - e si snoda fra ragazzi che crescono, folli visioni e animali scorazzanti. Tutto nella strana seduzione dell'irrealtà dei mondi che svaniscono.

È essenzialmente un film su quel periodo di passaggio verso l'età adulta: quando tutte le porte davanti a noi sono ugualmente invitanti, quando si è ancora capaci di sognare come i bambini (pur nel tormento dell'incertezza), quando l'unica cosa che si sa per certo è cosa NON si vuole essere.
Così, Axel sa di non voler diventare come suo zio, ma non può resistere all'eroe della propria infanzia, all'ultimo dinosauro, profumato di colonia scadente, che crede nel sogno americano.
Ma è al contempo un film sull'essere "grandi", sulla paura di invecchiare, di morire, sulla necessità di trasmettere la propria visione delle cose, il proprio stile di vita, anche quando questo non è altro che il trionfo del kitch.

Un film sui sogni e le utopie dei personaggi (del resto, come diceva il padre di Axel, "Se vuoi conoscere l'anima di un uomo, bisogna chiedergli cosa sogna"); sulle bizze e le follie di una vecchia bambina, sul suo desiderio di volare (splendida la scena in cui Elaine racconta ad Axel di aver sempre saputo di saper volare, ma di non averlo mai detto a nessuno, perché se qualcuno lo avesse saputo avrebbe potuto farla cadere); sull'evoluzione rispetto ai propri genitori, sulla vita passata nella loro ombra.

Kusturica si lascia andare a voli onirici, a pennellate d'assurdo usando un umorismo dal retrogusto ferroso, con situazioni grottesche e paradossali.
I suoi personaggi sono commoventi e toccanti, con la loro aria spaesata, disperata e buffonesca, come dei "comici spaventati e guerrieri", per dirla alla Stefano Benni.
Disperati e gioiosi, nel loro tentativo, a volte grandioso e splendido, di decollare lasciando sotto di se la realtà, di reinventare la propria vita, di credersi grandi artisti.
Il loro tormento li libera dalla gravità. Kusturica dà al suo film un tocco di levità, di umanità surreale, che trascina i personaggi in un vortice poetico; sembra quasi di trovarsi in un dipinto di Chagall, dove ciascuno può librarsi e fluttuare nel cielo, in pose incredibilmente contorte e serene.

Fra questi vi è un personaggio particolarmente bizzarro e spassoso: Paul Legèr, attraverso il quale Kusturica rende un sentito omaggio al grande cinema americano del passato. Paul (interpretato da un convincente Vincent Gallo) è un attore scadente e sconosciuto che sente il cinema puro dentro di se e si interroga già su come potrà coniugare i suoi affetti con la futura fama.
Splendida la messa in scena di "Toro Scatenato", la citazione da "Il Padrino - parte II" ma soprattutto, non si può fare a meno di cirare, la memorabile riproduzione della sequenza di Cary Grant inseguito dall'aeroplano da "Intrigo Internazionale"!.

Il regista in questo film riesce a trasportarci in un universo malinconico e strampalato, a mostrarci visivamente l'innamoramento, a trovarsi al posto degli angeli, a infiltrarsi e viaggiare nelle pieghe delle fantasie.
Come racconta in un'intervista, cerca di trasfigurare la relazione fra Faye Dunaway e Johnny Depp: questi non si dichiarano mai il proprio amore, ma ciò che li unisce è qualcosa di ben più forte, che cambia, come qualcosa di vivo, e che si trasforma, un percorso di coscienza.
Ma pur nella disperazione e nella follia, la vita resta qualcosa di meraviglioso e vivace, da celebrare come un compleanno al suono di un orchestrina di mariachi, con la festosità di una sagra paesana, come si saluta l'arrivo della primavera.

Ogni scena di questo film funziona in maniera autonoma, ma non slegata; mentre lo si guarda non si sa mai quale sarà la direzione che prenderanno gli avvenimenti, ma ciò non lo rende difficile da seguire. Basta lasciare indietro i pensieri, non attribuire una simbologia ad ogni oggetto, ogni animale o creatura, basta seguire il flusso delle immagini e il profumo purpureo del deserto.
"Arizona Dream" richiede sicuramente un'analisi, ma rifiuta interpretazioni e chiavi di lettura universali, ed in questo si concretizza proprio la più grande conquista del regista: aver creato un film della stessa materia dei sogni.

Tuttora mi stupisco della ben misera fama di quest'opera pur essendo un film profondo, poetico, con una regia originale, una recitazione eccellente ed una colonna sonora a dir poco strepitosa (Goran Bregovic al suo meglio e la straordinaria partecipazione di Iggy Pop), decisamente meglio strutturato rispetto all'elogiato ed acclamato "La vita è un miracolo".
L'impressione che ne ho ricavato in questi anni è che l'intellighenzia dei cineasti da festival, che con tanto favore ha accolto al proprio interno Kustiruca, sia indulgente con la sua verve gitana quando ritrae zingari e tzigani, ma lo ricacci fra i Balcani quando osa applicare lo stesso paradigma al grande sogno americano.

Ovviamente troppo indigesto per la produzione media hollywoodiana, questo film non è stato per nulla apprezzato negli Stati Uniti ed è stato accolto tiepidamente in Europa, malgrado il premio della giuria del Festival di Berlino.
L'unica eccezione è costituita dalla Francia, paese che ha prodotto il film, dove questo è quasi un cult-movie. In Italia è stato distribuito solo nel 1998, quando Kusturica era già stato raggiunto (ed etichettato) dal successo a Cannes con "Underground".

E' un vero peccato che "Arizona Dream" goda di così poca considerazione nel nostro paese, perché la sua fotografia eccellente, i colori sgargianti e la magica originalità delle musiche ci trasportano in un universo, che di certo è meno caleidoscopico rispetto alle ultime produzioni del regista, ma che ben dipinge la battaglia interiore di tutti coloro che si sentono sperduti in un angolo di deserto. Con la leggerezza di un soffio di vento.

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Recensione a cura di Laura Ciranna - aggiornata al 18/10/2005

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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