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Tratto dal romanzo di Massimo Carlotto, autore noir molto in voga in questi ultimi anni, il film deve moltissimo alla maschera del "bello e dannato" che ormai volente o nolente il bravo Alessio Boni sembra essersi cucito addosso con cura e meticolosità sin dai tempi de "La meglio gioventù".
L'attore è sullo schermo praticamente per tutto il tempo e senza mai stancare lo spettatore né farlo interrogare sul motivo di tanta ossessiva presenza, forse perché proprio sulle ossessioni, sul "leit motiv" che la storia è costruita.
Il regista Michele Soavi è abilissimo con la camera in molte riprese stile "horror film" (cosa del resto a lui facile venendo dall'esperienza di "Deliria" film di buona scuola del genere) a far entrare lo spettatore dentro la scena, come a inizio storia con la camera lambita nel fiume limaccioso sudamericano tesa a dare una sensazione di stordimento e soffocamento soprattutto a chi rammenta di avere difficoltà oggettive a restare a galla, ma ancor più abile ad entrare nella psiche del protagonista riportando alla luce i suoi ricordi traumatici con l'aiuto di una colonna sonora del passato di solito legata a momenti felici.
La canzone scritta da Paolo Conte ed interpretata da Caterina Caselli "Insieme a te non ci sto più", il cui ritornello da' il titolo alla storia riporta più volte Giorgio (il nome del personaggio interpretato da Boni) al suo tragico passato impossibile da cancellare.
Il film vuole sancire la morte delle ideologie che hanno imperversato negli anni Settanta. Giorgio, se da una parte vuole rinnegare il passato ricostruendosi una improponibile verginità, dall'altra se ne avvale per portare avanti un cammino fatto solo di male apparentemente quasi fine a sé stesso trascinando ogni cosa nella sua personale "discesa all'inferno" morale.
Il messaggio del regista è univoco: l'ideologia eversiva è morta e i suoi protagonisti si sono svenduti barattando le loro idee per un piatto di lenticchie come il biblico Esaù. (L'esempio è il compagno di Giorgio, scrittore di successo a Parigi, figura quasi sicuramente ispirata a un personaggio reale).
Ma non sono solo le idee di Giorgio ad essere morte, trascinate dalla melma della corruzione imperante nella società di oggi. Tra le altre anime perse c'è Michele Placido, vice questore corrotto e senza scrupoli, la "quarantenne disperata" Isabella Ferrari da alcuni anni (fatta eccezione forse per "Amatemi") legata a ruoli in cui la sua figura esile ben si sposa con la malinconia e la drammaticità dei personaggi da lei interpretati e la sognatrice Roberta (Alina Nedelea), più che anima persa a dire il vero, vittima sacrificale predestinata. E' proprio la Nedelea che ci regala una delle scene più angoscianti del film, lunga e seguita dalla camera con maniacale attenzione.
Si esce dalla sala con l'amaro in bocca perché la riabilitazione tanto tenacemente voluta dal protagonista è in realtà finta, apparente, ottenuta a prezzo carissimo ed il suo passato non è visto come una ribellione romantica o voglia di libertà bensì solo come smania di prevaricazione e insita violenza. Ma è davvero così? Le riflessioni sulla storia più recente del nostro paese sono solo sfiorate dal regista che ha voluto soffermarsi di più sulla costruzione della psicologia del protagonista autentico "bastardo dentro".
Il film è comunque ben costruito anche se a tratti sembra paragonabile ad una buona fiction televisiva ma in tempi di "vacche magre" è già tanto...
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 08/05/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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