Recensione ballata macabra regia di Dan Curtis USA 1976
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Recensione ballata macabra (1976)

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locandina del film BALLATA MACABRA

Immagine tratta dal film BALLATA MACABRA

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I coniugi Marian Rolf (Karen Black), Ben Rolf (Oliver Reed) con il figlio dodicenne David (Lee Montgommery), sono interessati ad un contratto d'affitto per una casa estiva e, allettati da un inserto giornalistico che propone una villa con piscina a un fitto ragionevole, decidono di partire per visitarla. L'edificio, e ciò di cui è attorniato, appaiono a prima vista bisognosi di cure, è un complesso suggestivo esteso che richiede molto lavoro, immerso in un parco ampio e incantevole. Seppur l'esiguità del canone, di soli 900 dollari, li lasci un po' perplessi i Rolf, dopo una breve consultazione, decidono di prendere la villa.
Gli unici vincoli posti dai due fratelli proprietari sono che la famiglia Rolf si prenda l'impegno del rassetto della casa e provveda ai pasti della loro vecchia madre lasciandole regolarmente un vassoio davanti alla porta. L'anziana che vive da sola, tra le sue antiche cose e i ricordi, abita in una stanza dell'ultimo piano.

Ben, il capofamiglia, non è del tutto convinto della scelta, tanto da mostrarsi spesso nervoso, turbato, perplesso, quasi ossessivo nell'interrogarsi sui motivi più reconditi che possono aver portato i proprietari a quella strana offerta. La sistemazione nella villa gli appare inconsueta, profittevole per via di una generosità elargita dai proprietari tale da sfiorare l'altruismo più estremo. E' quando viene preso, giocando in piscina con il figlio, da un raptus omicida verso il piccolo capisce che lui e la sua famiglia sono caduti in un pauroso intrigo, dai tratti diabolici, paranormali, oscuri, con degli effetti psicologici che potrebbero essere incalcolabili, se non per certi aspetti addirittura devastanti.
La villa appare tenebrosamente viva, straniante e dotata di poteri misteriosi, capace anche di rigenerarsi, abbellirsi, lavorare, come quando Ben nota, a seguito di improvvisi rumori, che essa fa volar via i vecchi telaietti di legno che la rivestono, scoprendo quelli nuovi simili ai precedenti ma un po' più moderni. La villa cerca con insistenza sia dei servitori fedeli, amanti delle ricercatezze quotidiane che una casa borghese deve avere in tutti i suoi aspetti, che delle persone disposte a quei sacrifici più legati al lavoro casalingo, quello in grado di accrescere il valore estetico della casa tramite un duro impegno pratico.
La villa perciò, con gli straordinari e chimerici poteri che emana, seduce la moglie di Ben, Marian, che rimane in toto posseduta dai suoi richiami irresistibili, emanati dal soffio spirituale noir creato dalla atmosfera altra che tende a far sentire Marian una vera regina della casa. La donna, pur tra momenti di repulsione e colpa, a un certo punto sembra avviarsi sempre più decisamente verso un'osmosi totale, una fusione psicologica con l'entità paranormale.
Il cambiamento di atteggiamento che, inevitabilmente, la donna avrà verso la famiglia, sarà notato dal marito e dal figlio, ai quali balzerà agli occhi l'esagerato interesse della donna per la cura della casa e il suo progressivo disinteresse verso di loro. Ciò farà entrare Marian in forte conflitto con i familiari, tanto da essere violentemente richiamata ad un comportamento confacente al dilettevole scopo vacanziero della famiglia in quel luogo.
Che sacrifici richiederà la personalità paranormale della villa alla moglie di Ben in cambio del ritrovato innamoramento della donna per la casa? Esigerà immolazioni umane? La villa si nutre di sangue?

Dan Curtis (nato nel 1927- deceduto nel 2006) famoso e acclamato regista americano, stimato dalla critica per l'originalità delle sue opere, è noto per grandi film horror di successo come "Lo strangolatore della notte" (1972), "Il demone nero" (1973), "Trilogia del terrore" (1975). Con "Ballata macabra", opera del 1976, Curtis firma il film forse più maturo della serie macabra che conferma, per qualche importante critico in modo indiscutibile, le sue qualità inventive soprattutto quelle espresse nel campo della costruzione psicologica più sottesa all'effetto filmico specifico ricercato in una forma di emotività horror che, a grandi linee, si potrebbe collocare tra il classico e il postmoderno e la cui caratteristica principale sarebbe lo spavento denudato nel contesto in cui si svolge da ogni forma di ironia e sarcasmo.
Un modo di spaventare che grosso modo va avanti fino a quasi tutto il 1979, in quasi tutti i film che precedono "Shining", dove l'ironia comincia ad esserci, in particolare nel famoso finale, ed è rappresentata dal cadavere di Jack Torrance (Jack Nicholson) padre di Danny, duro ghiacciato, semiretto, ripreso nei pressi del labirinto con una espressione del viso sogghignante.

Curtis crea, avvalendosi della innata dote di saper generare con i suoi film un forte impatto comunicativo con gli spettatori, situazioni estreme senza speranza, seriose, di grande tensione e apprensione, una sorta di eccitazione-turbamento capace di far giungere ad un tensione spasmodica lo spettatore.
Situazioni pulsionali complesse che appaiono in superficie con peculiarità raffigurative richiamanti il male, ma che in realtà sono di tipo semplicemente trasgressivo, ribellistico amorale, in grado di travolgere con un piacere anonimo, privo di un senso preciso, l'immaginario del civile più domestico e usuale, quello opprimente, e acquietando lo spettatore messo ripetutamente in tensione solo durante e dopo il finale del film, a volte fornendo una benevola e provvisoria assenza di apprensioni altre volte favorendo un piacere sereno, ritrovato, più costante, che si presenta dopo la bufera delle forti emozioni e che si diffonde tra la normalità del reale, quest'ultimo da intendere come quello più immediato e familiare della vita afferrabile solo dopo un certo tempo che si è usciti dal cinema.

Sono pulsioni queste molto amate dai cinefili perché spesso vengono confinate tra una normalità ambigua, sempre fittizia rispetto al primo modo introduttivo di presentarsi dei personaggi apparentemente non nevrotici o dai modi virtuosi ostentati che si affacciano sulla scena come moralmente ineccepibili, e un altrove trascendente di pura follia raffigurativa che anela all'assoluto protagonismo del sé più contratto, compresso, fuori da ogni etica e morale, una istanza a lungo ricercata dall'inconscio stesso dello spettatore bisognoso di scaricare con il protagonismo immaginifico ciò che non riesce a stare nella gabbia del civile, quello più coatto e di ritorno anche violento della società moderna.
Una follia che seduce e soddisfa aspetti sintomatici dello spettatore grazie a una possibilità fantastica ben materializzata, credibile, che fa da specchio all'inconscio grazie alla finzione scenica, ossia in virtù di una verosimiglianza che funziona proprio in quanto rafforzata da un contesto visivo di ampia profondità, reso credibile in quanto fotograficamente superbo, in grado di sostenere la drammaticità con forti tinte simboliche surreali e paranormali di difficile esecuzione fotografica; codici visivi che appaiono spesso sofisticati al punto giusto, ben inseriti in un ingranaggio narrativo scorrevole che non perde un colpo rispetto al crescendo che devono avere le tensioni, un ingranaggio costituito anche da dettagli con concatenamento significante effettuale, efficace, mai esaustivo, molto suggestivi e allusivi che ruotano in un senso solo accennato mai dato per certo, in grado perciò di favorire un finale a sorpresa perché il suo significato è sempre in bilico tra la soluzione dell'enigma o la sua esasperazione in una nuova complicazione significante.

Dan Curtis sa esprimere in questo genere il meglio di sé, ed è un raccontare per immagini di grande pregio per il cinema stesso, perché le opere di Curtis riusciranno ad imprimere un'accelerazione all'evoluzione stilistica innovativa dell'horror che segnerà la storia cinematografica sul genere.
"Ballata macabra" scuote qualcosa che riguarda lo stesso cinema hollywoodiano dell'epoca ormai vicino alla saturazione delle idee, contribuendo alla tipicizzazione cinematografica di uno stile a grandi linee neoclassico che fungerà da modello per molti registi giovani del futuro.
Successivamente infatti alcuni film horror di successo, come lo stesso "Shining" (1980) di Kubrick, per quanto riguarda l'idea sulla casa maledetta e la coppia con figlio piccolo rinchiusi per lungo tempo in un luogo isolato, non potranno fare a meno di tributare omaggi visivi a Dan Curtis riportandone con una certa fedeltà le scene meglio in grado di riprodurre un "effetto paura" non fine a se stesso ma preso in una complessità inconscia che, lungo un lavoro di interpretazione e spiegazione, fa cultura.

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 04/01/2012 15.19.00

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