Voto Visitatori: | 7,91 / 10 (91 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 9,50 / 10 | ||
Perplessità... questo è quello che si prova appena finito il film, un senso di incompiutezza, di fatti il quarto film dei Coen - divisi uno alla regia e l'altro alla produzione, ma creatori pari merito dei loro film - ha da sempre diviso la critica: chi ne elogia la perfetta tecnica da una parte, chi ne denuncia la mancata riuscita dall'altra.
La prima parte del film è chiarissima e scorre via a meraviglia, Barton Fink giovane scrittore di teatro della NY anni '40, dopo un clamoroso successo a Brodway viene convinto ad andare a Hollywood per "fare quattrini", un passaggio molto comune per grandi artisti e intellettuali (forse anche per gli stessi Coen), vendendo il proprio talento.
Proprio il talento dei Coen fa si che una storia che in mano a qualsiasi altro regista sarebbe rimasta piatta e lineare si trasformi in un vortice sublime e grottesco.
Il punto X, quello della svolta è da inserire appena Barton si trasferisce e accetta il nuovo incarico, raffigurato con una potente onda che si frantuma su uno scoglio. Il protagonista viene catapultato in un hotel fatiscente in cui dovrà vivere e lavorare.
Immaginiamo che l'hotel Earle sia un limbo, o ancora peggio l'anticamera dell'inferno, in cui a Barton viene dato l'onore di vivere per un certo periodo, alla reception infatti Buscemi entra in scena da una botola... lo sguardo vispo e un po' matto dell'ottimo caratterista riflette l'atmosfera surreale della hall e ricorda uno spiritoso diavoletto, che chiede in maniera insistente a Barton se deve alloggiare per un breve o lungo periodo (limbo o morte), paragone che viene valorizzato anche quando viene inquadrato il blocnotes dell'hotel in cui c'è scritto a day or a lifetime, Barton, che è una persona colta ma sempre sulle nuvole, viene condotto nella sua stanza prendendo un ascensore guidato da un vecchio, più morto che vivo, una sorta di Caronte traghettatore.
La stanza, cupa e malsana, sembra quasi morente, ovvero, qualcosa che un tempo fu un rispettoso alloggio ora pare una catapecchia che cade a pezzi, infestata da insetti, soprattutto zanzare che succhiano il sangue, la carta da parati si stacca sudando un liquido colloso e dove l'unico oggetto positivo è un quadro appeso sopra la scrivania che ritrae un paesaggio marittimo con una donna di spalle, quasi come un agognato traguardo. I registi mostrano ancora una volta la loro alienazione nei riguardi delle sensazioni che vogliono offrire allo spettatore, curando ogni inquadratura nel minimo dettaglio.
La vena autobiografica dei Coen si trasmette ancora una volta nel personaggio di Barton Fink, che come la maggior parte degli artisti ha il cosiddetto blocco creativo e non riesce a scrivere quello che lo strano editore gli ha richiesto, ovvero una banalissima storia di wrestling, quasi un insulto per che come lui era abituato a descrivere la vita delle persone comuni, appartenenti alla classe lavoratrice, che vivono nei loro drammi quotidiani.
Dalla sua stanza, Barton, sente diversi lamenti provenienti dalla stanza affianco, come se fossero i luoghi in cui qualcuno tenta di redimersi dai peccati, ne salta fuori un simpatico e goffo vicino, Charlie Meadows. Nasce una bellissima amicizia, il magro colto scrittore e il grosso stupido assicuratore, il primo cerca risposte impossibili, l'altro vuole giocare al wrestling.
Barton, come Charlie, non è vincolato all'hotel infatti può uscire da questa specie di loggia infernale, incontra uno stimato scrittore, oramai succube dell'alcool, una figura secondaria ma di grande importanza nel film, soprattutto per quel che raffigura, la decadenza e la falsità.
Il secondo punto X del film lo si inconta quando l'insicuro Barton deve fare i conti con una morte quasi sovrannaturale. Ma proprio questo dramma nel dramma da la forza a Barton per finire il suo lavoro ed ispirato da un passo della Bibbia crea un capolavoro.
In questo inferno terrestre fanno la comparsa anche due agenti, che dovrebbero essere qualcosa di vicino ad angeli, in quanto rappresentanti della giustizia, ma la vena satirica dei Coen li tramuta in persone cattive, che deridono Barton per la sua inutilità e per la sua fede ebraica, accennando ancora una volta all'interno del film il delicato tema dell'intolleranza razziale/religiosa nell'america degli anni '40 e di oggi.
A questo punto con maestria e con ironia i Coen mostrano allo spettatore una sequenza chiarificatrice e sorprendente inserendo il "sovrannaturale" dando cosi numerose risposte a sequenze quasi prive di senso viste precedentemente, e lo fanno sconvolgendo lo spettatore che fino a quel momento era passivo.
Questa furia ha una ragione, un errore commesso da Barton, quello di essersi lamentato, cosa insignificante nel mondo esterno, ma non nell'hotel dove tutti cercano pentimento, questa cosa assume tutto un altro valore.
Sul fronte lavorativo Barton soffre quanto nella vita di tutti i giorni, la bocciatura del suo lavoro, il suo capolavoro, poiché troppo ricercato.
Il fatto che il produttore sottolinei sempre la sua supremazia rispetto agli scrittori, ma che sappia anche baciare i piedi quando vede un profitto, la scelta di un prodotto scarso anche quando si è consapevoli di poter avere prodotti ricercati e particolari, è senza dubbio la critica più forte verso lo show business hollywoodiano presente nel film.
Il finale è per Barton l'avverarsi di un sogno, una bellissima donna in una spiaggia che in maniera identica al quadro che tanto ha osservato mentre scriveva, la sua meta.
I Coen inseriscono come consapevoli di creare un piccolo cult un MacGuffin, infatti il contenuto del pacco donato a Barton dall'instabile amico Charlie non viene svelato nemmeno nel finale, scelta che fa storcere il naso allo spettatore, ma sicuramente in linea con la storia, chiunque altro avrebbe fatto lo stesso nei panni di Barton, ora ha trovato la sua meta, la pace, per nessun motivo al mondo aprirebbe il contenitore dei suoi mali, una specie di vaso di Pandora, pacco che lo farebbe ripiombare nell'incubo da poco superato.
Tecnicamente i Coen si divertono ad inserire sequenze da manuale o clichè dei film ambientati negli anni '40, che impreziosiscono ancora di più il lungometraggio, il quarto del duo, acclamato dai critici e premiato sia in America che in Europa.
Gli attori (i fedelissimi) sono ottimi, soprattutto Turturro e Goodman che riescono nel difficile compito di dare sostanza agli insoliti personaggi tratteggiati dai Coen.
Il film tratta molte tematiche, alcune ricorrenti nei film dei Coen, come l'importanza basilare di dare sostanza ai sensi, l'olfatto, l'udito, la vista, il tatto e il gusto vengono valorizzati ad ogni inquadratura, soprattutto quelle che in apparenza sembrano estranee al film, inoltre la pellicola viene utilizzata come strumento di satira per quel mondo di cui ormai i Coen fanno parte, di fatti sono chiari anche svolte autobiografiche nel personaggio interpretato da Turturro.
Concludendo è chiaramente un'opera complessa, visionaria e allucinante come un quadro metafisico, dove si riconoscono facilmente alcuni oggetti e situazioni ma che messi in quel contesto assumono un valore unico e personalissimo.
Commenta la recensione di BARTON FINK sul forum
Condividi recensione su Facebook
Recensione a cura di Andre85 - aggiornata al 18/09/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
Ordine elenco: Data Media voti Commenti Alfabetico
in sala
archivio