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L'infanzia e l'adolescenza sono due momenti delicatissimi della crescita e dello sviluppo psichico, in cui le esperienze negative e traumatiche diventano una fonte primaria di disagio e possono segnare per sempre la vita d'adulto.
A volte capita, nell'infanzia, di essere costretti a passare e sopportare situazioni difficili, che provocano paura o dolore insieme ad una situazione di impotenza. I bambini (e gli adolescenti) tendono a fidarsi molto degli adulti, soprattutto dei genitori, che hanno una grande credibilità ai loro occhi.
Per questo molto gravi sono i danni riportati dai bambini costretti ad assistere ai violenti e cronici litigi dei genitori, anche quando non si picchiano, ma che usano come stabile modalità di relazionarsi fra loro una grave violenza verbale, accompagnata, a volte, da violenza fisica, anche se non estrema.
In ogni caso non sono le esperienze ad avere un effetto traumatico, ma il loro riviverle come ricordo.
Un'infanzia di questo tipo è stata costretta a vivere Leena, la protagonista di "Beyond", film d'esordio come regista dell'attrice Pernilla August (ex moglie di Bille e creatura di Ingmar Bergman, che le offrì il ruolo della governante in Fanny e Alexander).
Oggi Leena ha trent'anni ed è una donna apparentemente serena e appagata. È sposata con un uomo, Johan, con cui ha costruito una solida e felice famiglia, ed è madre di due piccole, bellissime bambine. Una mattina di un giorno di festa (S. Lucia) la tranquillità famigliare è improvvisamente sconvolta da una telefonata che risveglia in Leena i fantasmi del suo angoscioso passato. Al telefono una voce malferma di donna chiede di lei. È sua madre. Una madre dimenticata che non vede e non sente da moltissimi anni. Istintivamente scatta in lei un innato istinto di autodifesa che le fa interrompere bruscamente la comunicazione.
Quando il telefono squilla nuovamente, l'infermiera di un ospedale della sua città natale la informa che sua madre giace in un lettino di quell'ospedale, gravemente malata, e chiede di vederla per l'ultima volta, prima di morire.
Leena rimane interdetta, è sul punto di rifiutare, poi suo marito, convinto assertore della necessità di affrontare con fermezza i propri fantasmi per riuscire a liberarsene definitivamente, intuendo il suo conflitto interiore e la certezza che la moglie gli nasconda qualcosa di cupo e angoscioso del suo passato, la convince a partire insieme con lui e alle loro due bambine per andare a trovare la donna.
Comincia così il viaggio di Leena verso l'ospedale, che è anche un viaggio catartico nelle reminescenze e nelle emozioni del suo passato, un viaggio che ingloba le memorie di una infanzia fatta di brutalità e solitudine, una infanzia vissuta insieme al fratellino più piccolo all'ombra di una famiglia infelice, povera e disadattata.
Un orrore che aveva cercato di esorcizzare, impegnandosi nello sport e diventando una campionessa di nuoto o dedicandosi allo studio della nuova lingua che non conosceva.
Incontrare dopo tanti anni la madre, rivedere i luoghi della sua infanzia, visitare le stanze della sua vecchia casa, ritrovare gli oggetti un tempo familiari è, per Leena, come riaprire le vecchie ferite del suo cuore, mai del tutto rimarginate e ritrovare l'ombra di quei due genitori che nascondevano potenzialità di bene e di male chiuse nella loro anima; è come rivivere il trauma psicologico della bambina di allora, a cui è stato tolto il sorriso troppo presto.
I genitori, due finlandesi emigrati in Svezia in cerca di fortuna, che non si erano mai del tutto integrati nella nuova cultura e che vivevano la loro emarginazione tra abuso di alcol e litigi violenti, alternati a momenti di passionalità cieca e devastante, avevano un amore per i figli, sbagliato e controverso, segnato soprattutto da una madre incapace di opporsi ai soprusi del marito.
La regia alterna momenti di attualità a flashback del passato, intrecciando abilmente i due piani narrativi della storia, per ricostruire, tassello dopo tassello, il puzzle di una vita segnata inesorabilmente dal difficile e sofferto passato di violenza e di alcool dei genitori e il male oscuro del vivere di quella famiglia che non ha saputo offrire ai figli, sopratutto al maschio, gli strumenti giusti per diventare adulti.
È la morte imminente della madre che ricollega la Leena bambina alla Leena donna, come se rievocare il passato, a volte, serva per chiarire il presente, un presente ambiguo e insincero, con se stessi e con coloro che ci stanno attorno.
Il film di Pernilla August, che rivela la chiara impronta della cinematografia bergmaniana (impronta che la regista ha saputo abilmente elaborare in una prospettiva del tutto autonoma e personalizzata) e che si nutre di certe atmosfere della drammaturgia ibseniana, si caratterizza per la lucidità della scrittura e per una rappresentazione estetica del pudore che si fa etica del dolore e che affonda nelle piaghe del vivere disilluso, senza curarle. Per ciò il film è duro, cupo, freddo e tipicamente nordico, inquadrato nel contesto di una realtà che mette a nudo il tema del conflitto madre-figlia, attraverso l'esame intenso e tormentato dell'animo umano.
Accanto a questo si sviluppano, anche se non compiutamente, altri temi importanti, come: l'emarginazione sociale, la difficile integrazione degli immigrati, i problemi profondi legati alla dipendenza dall'alcool.
Tutto è raccontato attraverso lo sguardo di Leena, che ha trasformato le traumatiche esperienze dell’infanzia in un rapporto di odio-amore per la sua famiglia.
Solo all’annuncio della morte della madre potrà abbandonarsi ad un pianto liberatorio, che le farà mettere definitivamente ordine nello scomposto puzzle della sua vita e accettare la sua appartenenza a quella famiglia, che a modo suo l'ha amata, ma che l'ha costretta a subirne le debolezze e le violenze.
Leena ha il volto pallido e affilato di Noomi Rapace (la Lisbeth Salander della trilogia del "Millennium"), un'interprete che si conferma bravissima e capace di infondere al suo personaggio quel coinvolgimento psicologico ed esistenziale, che, oltre a rivelare impegno autentico, si rende necessario per dare al film quella dimensione reale che si insinua nella mente dello spettatore per rimanervi a lungo.
Per la prima volta al suo fianco, nel ruolo del marito Johan, l'attore e musicista svedese Ola Rapace, suo marito anche nella vita reale, che con lei condivide le difficoltà interpretative di un personaggio che sotto una solida sicurezza nasconde un grande e rasserenante senso etico e morale, capace di offrire alla moglie quel calore umano che le è stato negato da bambina.
Leena bambina è interpretata dalla giovanissima e sorprendente Tehilla Blad, una convincente e brava attrice quattordicenne, astro nascente della cinematografia svedese, anche lei interprete della trilogia "Millennium", dove era sempre Noomi Rapace bambina.
Al suo esordio alla regia, Pernilla August costruisce un dramma gotico e freddo nella forma ma bollente nella sostanza, le cui premesse melodrammatiche, il ritmo lento e struggente, non sminuiscono in nessun modo la forza del film.
La morale è semplice e fondamentale per chi si trova a vivere i conflitti e le contraddizioni della condizione umana, per chi si trova costretto a soffrire e a cercare l'autostima e la dignità attraverso una serie di comportamenti estremi: imparare ad affrontare le insidie del crescere per apprendere a poco a poco il valore dei legami domestici che vivificano il rapporto con i propri familiari. In sintesi l'accettazione delle responsabilità adulte, beyond, aldilà, oltre.
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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 04/04/2011 16.19.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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