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Mi era sfuggito, ai suoi tempi, questo filmone americano del... secolo scorso, e mai lo avrei visto se non per merito della televisione. Rendiamo onore al merito: la TV non ha solo Grandi Fratelli e Isole più o meno famose... ma pure cinema di tutti i tipi, da guardare comodi mangiando, senza uscire di casa e cercare parcheggi nel centro! Grazie proprio a questo, ci mette in condizione di guardare film che non avremmo scelto, arricchendo infine i nostri orizzonti.
Ed è vero, perché io per primo diffido in genere dei pluripremiati agli Oscar, sospettando convenzionalità, enfasi e sensazionalismi; e, dunque, per un errato preconcetto avrei perso un lavoro degno per alcuni aspetti, che voglio citare per primi.
Innanzitutto una ricostruzione storica accurata degli ambienti del tempo, davvero poveri, come molti, ignorando la storia, non sospettano. Il medioevo, dall'alto al basso, fu un'epoca oscura e triste, infinitamente povera e insana: dove i Signori stessi vivevano segregati tra le grigie pietre dei loro manieri, ben lontani dai fasti delle poche capitali dei centri, tormentati tra l'altro da una visone religiosa del mondo infelice, tetra e colpevolizzante.
E di questa atmosfera buia il film in oggetto fornisce valide testimonianze, soprattutto nel dipingere le losche manovre politiche dei potenti, vessati dalle richieste tributarie dei monarchi centrali, e portati a riversarle con prepotenza e ingiustizia nei confronti delle lacere masse popolari.
Dalla quale situazione si origina l'afflato ideale ad un mondo più giusto e alla ribellione contro i soprusi che aleggia in tutto il film; ma con toni favolistici e leggendari, come nella grande tradizione delle Chansons de geste, importata al di là della Manica con le storie arturiane e robiniane, le ricerche del Sacro Graal o le vicende di Tristano e Isotta.
Di questi elementi troviamo traccia nelle vicende amoroso-sentimentali del protagonista, con la prima amatissima moglie, crudelmente uccisa da un signorotto locale, e poi, addirittura, con la regina Isabella, moglie del Re Edoardo, che passa dalla sua parte tradendo il consorte... per amore dei suoi begli occhi! Con un sentimentalismo alla Harmony e trame ancillari che non fanno di certo onore al film.
Il quale invece, in realtà, punta alla grande sulle coordinate diverse di un racconto epico, imperniato sui grandi sentimenti popolari della giustizia e della libertà. E in effetti il film di Gibson è ragguagliabile al poema epico classico, quanto meno per l'impostazione strutturale fondata su un proemio (l'infanzia con la morte del padre), l'intreccio (con la morte dell'amata e la ribellione in armi), e la catarsi finale, con la morte sul patibolo.
Inoltre è tipico dell'epica il racconto di eventi memorabili con azioni gestite da uno o diversi eroi, dove i temi in campo rappresentino interessi sentiti ed effettivi di tutta una comunità; e dove non ha importanza che i fatti siano veri o scaturiscano dal mito, ma che mantengano comunque una certa unità di azione che consenta di narrarli in termini reali, anche se debitamente trasfigurati. In caso contrario non ci troveremmo nella dimensione dell'epos, ma più semplicemente in ambito storiografico.
Va ancora ricordato che l'origine dei racconti del genere è solitamente anonima e collettiva, se pesca nel passato; o da accreditare, nel presente, ad un singolo autore che miri a rappresentare ideali in cui tutta una società vorrebbe riconoscersi, come nel caso dell'opera di Mel Gibson.
E dunque dovremmo metterci alla ricerca dei messaggi simbolici nascosti dietro alla fiction cinematografica, incentrati nella fattispecie sull'anelito finale del rivoluzionario morente, con una sola parola: LIBERTA'!
Ben disgiunta, se vogliamo, da altre come GIUSTIZIA e COMPASSIONE, in un'ottica straordinariamente yankee che ci è difficile accettare; per chiarirci, nella stessa prospettiva del Western americano, dove si legittima ogni violenza, anche da parte degli eroi e dei giusti, in nome di un solo principio (e la forte commozione delle scene finali sta proprio nell' enunciazione corale degli spettatori di una "pity" che sembra non appartenere a questo mondo).
Nel complesso un'opera di forte connotazione "americana", che sembra compiacersi emblematicamente di violenze e crudeltà, alla maniera di "Platoon" e di tanti film sul Vietnam; mentre ricerca facili retoriche con frasi tipo: voglio credere in qualcosa come fece lui... mai più mi schiererò dalla parte sbagliata... tutti muoiono, pochi vivono veramente...!
Con un DNA di questo genere, mi sembra difficile ravvisare in "Braveheart" la tensione ideale ed estetica del racconto epico tradizionale, come ad esempio in certo cinema di Eisenstein ("Alexander Nevski - Ivan il Terribile"); pur rimanendo affascinato dalla maestria tecnica dell'esecuzione: fotografia, ricostruzione storico-ambientale, e scene di primissimo ordine, sufficienti a legittimare la visione del film (per non parlare della presenza maliarda di una Sophie Marceau agli esordi!).
Ma che dire, in conclusione?
Come nei film di Spielberg, capacità tecniche ed efficacia comunicativa senza pari, per prodotti splendidamente confezionati, ma senza l'afflato della vera poesia... pari ad una riuscita operazione di marketing!
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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 04/04/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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