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Immaginarsi il futuro in un presente difficile risulta essere un'operazione inquietante, basti pensare al capolavoro di Orwell "1984" che nasce dopo la seconda guerra mondiale e dà il via a una letteratura di genere, che vedrà in Philip K. Dick e P.D. James degni seguaci. Dal libro si passa spesso al cinema con i vari "Fuga da..." di Carpenter fino a "Brazil" di Gilliam o "Blade Runner" di Ridley Scott.
"I figli degli uomini" rientra in questo filone ispirato dall'omonimo romanzo di P.D. James.
La storia prende inizio dal personaggio di Theo, disilluso ex-attivista politico che, su richiesta di Julian, una donna amata in passato, porterà in salvo una ragazza rimasta misteriosamente incinta, unica speranza per il futuro dell'umanità.
Il regista è Alfonso Cuaròn, che fa parte di quella nuova schiera di registi messicani, insieme ad Innaritu e Guillermo Del Toro, che in questi ultimi anni si stanno affacciando sul panorama cinematografico mondiale. Cuaròn riesce a coniugare un cinema prettamente di evasione a tematiche più impegnate come nella deliziosa commedia di qualche anno fa "Y Tu Mama Tambien" oppure dirigendo l'episodio più convincente della saga di Harry Potter, "il prigioniero di Azkaban".
Con questo film Cuaron abbandona la commedia e il fantasy per dedicarsi a un film di fantascienza dimostrandosi perfettamente a suo agio a dirigere generi così diversi; addirittura le scene finali di guerra lasciano prevedere che in futuro Cuaròn possa dedicarsi a questo tipo di film senza nessuna particolare difficoltà.
"I Figli degli Uomini" può essere diviso idealmente in due parti: nella prima parte abbiamo la presentazione della realtà del tempo, ambientato in un'Inghilterra decadente in preda a terrorismo e criminalità, presa dalla paura per il futuro e dalla difficoltà del suo triste presente. La scelta di Londra come sfondo delle vicende raccontate non è causale, dagli attentati del 2005 alla metropolitana a quello sventato di recente la sensazione di insicurezza che si vive in città è rimasta intatta fino a oggi (questo Cuaròn non lo poteva sapere visto che il film è stato completato prima di questa estate).
Proprio nella fase iniziale il film ha le sue maggiori pecche, troppo superficiale nel descrivere la realtà politica, come invece il libro da cui è tratto fa in modo approfondito, Cuaròn fa continui riferimenti alla realtà ma vuole evitare di fare un film politico; questa esigenza seppur comprensibile, lascia comunque un vuoto che si fa sentire, e dà allo spettatore una visione parziale e distorta della realtà che viene descritta. Da sottolineare che non è sempre convincente la ricostruzione scenografica del futuro, non basta riverniciare una Multipla o una Scènic per rendere le automobili del domani (si sarà voluto risparmiare?). Vengono seguiti troppo i cliché del genere lasciando poco spazio a una presentazione più compiuta.
Nel secondo tempo il film si riscatta, diventano evidenti i riferimenti all'attualità che viviamo, si aprono attente riflessioni sulla differenza fra "resistenza armata" e "terrorismo" e soprattutto il finale apocalittico, dove il regista con una serie di piano-sequenza rende in modo magistrale le scene di guerra, assumendo i connotati quasi di un reportage giornalistico; la tensione è palpabile e lo stile ricorda il finale di "Full Metal Jacket" di Kubrick.
Clive Owen risulta essere una scelta vincente, rappresenta in pieno il personaggio dell'anti-eroe. Dall'inizio non vuole essere coinvolto, è il prototipo del cittadino comune, vive la sua realtà con spirito passivo, tanto da essere un burocrate, Owen riesce a fare di Theo un personaggio pieno di sfaccettature, rendendolo più verosimile e facilmente identificabile.
Un buon periodo per questo attore dato che questo film arriva dopo il grande successo di "Inside Man" e "Sin City", ciò sta a dimostrare una capacità di cimentarsi in ruoli nuovi e partecipare a progetti validi sia qualitativamente che sotto il punto di vista commerciale.
Non si può dire lo stesso purtroppo per Julianne Moore, presente in un piccolo ruolo; ottima attrice da sempre sottovalutata dal cinema americano non si è mai saputa cimentare in opere realmente convincenti e il recente "The Forgotten" ne è un esempio; nonostante ciò, come in questo caso, riesce a dare spessore al suo personaggio anche se ha poco spazio in scena.
"I Figli degli Uomini" rifiuta una morale, Cuaròn è attento a non schierarsi in modo da non lanciare messaggi ambigui, denuncia i soprusi del potere ma riconosce le contraddizioni esistenti in pseudo-gruppi di "resistenza terroristica", così facendo evita di cadere nell'errore che è stato compiuto dal mediocre "V per Vendetta" (tematica simile e stessa ambientazione) dove addirittura da molti fu visto, e non a torto, come un vero e proprio inno al terrorismo. Sarà interessante notare l'andamento di questo film dal punto di vista commerciale, uscito in poche sale il 28 dicembre negli Stati Uniti, non rappresentando il solito "action movie" non ci sarebbe da meravigliarsi che nonostante le buone critiche ricevute i risultati al botteghino non dovessero essere proprio esaltanti. In Italia, primo paese in cui il film è uscito (cosa più unica che rara), è riuscito ad incassare poco meno di due milioni di euro, un risultato poco più che mediocre considerando che stiamo parlando di una grande produzione.
Nel complesso ci troviamo in presenza di una pellicola di genere, girata in modo convincente e preciso che, seppur pecchi di qualche ingenuità di troppo nella parte iniziale, resta valida e di piacevole visione.
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Recensione a cura di Paolo Ferretti De Luca aka ferro84 - aggiornata al 12/01/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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