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Dopo "The Founding of a Republic", prodotto per celebrare il 60° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, arriva "Confucius", biopic che intende ricordare il 2560° anniversario della nascita del filosofo. Entrambe le opere sono due facce della stessa medaglia e condividono il medesimo intento celebrativo.
Se nel film di Huang Janxin e Han San-ping, didascalica quanto dignitosa parata all-star (da Jet Li a Andy Lau, passando per Peter Chan e Feng Xiaogang), lo scopo era quello di glorificare la storia politica del Partito Comunista, in "Confucius" la volontà di recuperare orgogliosamente le proprie radici culturali coesiste con il calcolo commerciale, considerato l'appeal del personaggio sui mercati asiatici.
La lezione politico-umanistica del filosofo divenne dottrina ufficiale dello stato durante la dinastia Han, ed è alla base del monumentale sistema burocratico che sostenne l'impero cinese fino al collasso della dinastia Quing, nel 1911.
Nel '900 il confucianesimo conobbe fasi alterne; il sogno di costruire uno stato etico, visto quale necessaria premessa alla fondazione di una società armonica, l'accento posto sul senso del dovere e sulla moralità personale, il rispetto della gerarchia sociale, sono valori che lo fecero etichettare come pensatore reazionario, portatore di una concezione conservatrice.
Duramente criticato negli anni della Repubblica e in quelli della Rivoluzione Culturale, durante i quali molti testi furono distrutti e gli studiosi perseguitati, dimenticato durante gli anni '80, Confucio è tornato una figura di attualità dagli inizi degli anni '90, tanto che sono state reintrodotte le annuali cerimonie per commemorarne il giorno della nascita e si sono tornati a studiare i testi classici del confucianesimo nelle scuole.
L'idea di dedicare un biopic ad un personaggio così importante per la cultura cinese ha un unico precedente, un film del 1940 diretto da Fei Mu che, creduto scomparso, è stato recentemente ritrovato e restaurato.
La regista Hu Mei, appartenente alla cosiddetta Quinta Generazione (quella di Chen Kaige e Zhang Yimou, per intendersi), ha alle spalle alcuni film storici di grande successo realizzati per la televisione, in particolare "Yong Zheng Dinasty" e "The Emperor in Han Dinasty". In questo caso sceglie di raccontare l'ultima parte della vita del filosofo, incorniciandola come fosse un ricordo del protagonista morente.
Il film inizia nella Cina feudale del 500 A.C., il periodo delle Primavere e degli Autunni. Il cinquantenne Confucio, consigliere politico e stratega militare del regno di Lu, verrà costretto all'esilio quando le sue convinzioni entreranno in conflitto con le macchinazioni politiche del Generale Ji Hengzi.
Abbandonerà la famiglia vagabondando per il paese per i 14 anni successivi, seguito dai suoi allievi. Anni in cui, viaggiando di villaggio in villaggio, si dedicherà all'insegnamento della filosofia finchè, richiamato in patria, si spegnerà serenamente in età avanzata.
Chow Yun-Fat aveva già dimostrato di sapersi ben destreggiare anche in ruoli in costume di una certa consistenza in "Curse of the Golden Flower", e anche questa volta, pur se doppiato in mandarino, ha il carisma e la presenza fisica necessari a sostenere un protagonista così ingombrante.
L'attore hongkonghese regge tutto il film sulle proprie spalle affidandosi al suo stile di recitazione impagabilmente emotivo, anche perchè gli altri comprimari hanno l'esile spessore della comparsa, da Chen Jianbin (Ji Hengzi) a Ren Quan (Yan Hui, l'allievo prediletto). Unica eccezione la bravissima Zhou Xun che nel ruolo di Nan Zi, giovane moglie del re di Wei, tenta di sedurre Confucio in uno sfavillante duetto che vale il film.
Non mancano momenti canonici in cui Chow snocciola aforismi dagli "Annali" o fa mostra d'una astuzia degna di Ulisse ingannando l'esercito del regno di Qi, e neanche momenti onirici (l'incontro con Lao Tse) dal sapore oleografico.
La regista si azzarda anche in sanguinose battaglie alla "Red Cliff", anche se la mano non è quella di John Woo e gli effetti digitali non sempre all'altezza.
Dato che Hu Mei è regista corretta ma impersonale, gran parte della riuscita del film è da addebitarsi a collaboratori di lusso quali Peter Pau ("La Tigre e il Dragone", "The Promise") alla fotografia, Yee Chung-man ("Curse of the Golden Flower") ai costumi e Zhao Jiping alla colonna sonora.
Data la scarsa progressione drammatica, il ritratto è eccessivamente reverenziale e agiografico, anche se moderato nell'enfasi: Confucio non è un uomo, ma un'icona alquanto unidimensionale da omaggiare, il recupero dei cui insegnamenti può servire da antidoto al capitalismo rampante e al materialismo della Cina contemporanea.
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Recensione a cura di Nicola Picchi - aggiornata al 28/04/2010
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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