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Il recente cinema francese, con il film "Corpi impazienti", dell'esordiente Xavier Giannoli (e prima ancora con "Son frère", di Patrice Chereau), sembra avere avviato un discorso molto realistico sul linguaggio dei corpi, visti sia nella loro fisicità che nella loro interiorità.
Un discorso estremamente impegnativo che altre cinematografie, attualmente, paiono ignorare. Un esercizio difficile, nel quale il cinema d'oltralpe si destreggia con sensibilità e padronanza, lasciando spazio alla fantasia ma anche alla durezza della realtà, che spesse volte supera la fantasia.
In questo duplice aspetto di fisicità e interiorità i corpi non sono astrazioni, ma sono corpi "carnali", ovvero viventi, tangibili, sono corpi accorati, sono corpi raggianti, sono corpi dolenti, sono corpi impazienti.
E sono corpi che comunicano. In un ineludibile differire ogni corpo dagli altri corpi e da sé, in un continuo andare a un senso ulteriore. Corpi impazienti. Impazienti per attesa della fine. Impazienti di amare e di toccarsi, di godere e di vivere. E di morire, anche. Corpi nel fulgore della giovinezza e corpi sfiniti dalla malattia.
E così, dopo "Son frère", un'altra pellicola francese torna sul tema della malattia e sul senso di assoluta distanza che si crea tra il corpo di chi se lo sente malato ed il mondo esterno. La malattia che ci rivela oltre e più che la nostra fragilità e capacità di soffrire, la nostra passività.
Si tratta del film "Corpi impazienti", opera prima del giovane regista Xavier Giannoli, che con questo lavoro ha voluto rappresentare lo strazio prolungato della sofferenza umana e l'impatto devastante che l'incedere inesorabile della malattia ha su chi ne è affetto, e al tempo stesso su chi gli è vicino. I corpi impazienti del titolo sono quelli di due, anzi tre, ragazzi che si amano nonostante l'incombere della morte.
Su un soggetto semplice e terribile nella sua drammaticità, Xavier Giannoli ha tratto un film lucido ed implacabile, intenso ed estremo, che parla di amore e di passione, di desiderio e di gelosia, di malattia e di morte. Temi esistenziali su cui, da sempre, gira il mondo e si concreta la vita.
Protagonisti di questa storia sono Paul, Charlotte e Ninon, tre ragazzi appena usciti dall'adolescenza, ancora impreparati alle cose tragiche della vita. E come potrebbero, d'altronde, se a vent'anni la vita è ancora tutta da scoprire e l'idea della mortalità è un concetto assolutamente astratto.
Paul, studente universitario, e Charlotte hanno circa vent'anni, vivono nella provincia francese e si amano di un amore passionale ed assoluto, come solo a vent'anni è possibile amare. Due ragazzi che vivono la grande stagione dell'amore, quando non ci sono pensieri, quando il desiderio si fa assoluto e l'amore diventa necessario. Quando una notte di passione vale più di mille emozioni.
Ma Charlotte non sta bene e spesso accusa degli strani malesseri che la costringono a recarsi con Paul a Parigi per sottoporsi ad alcuni test clinici. I risultati degli esami sono agghiaccianti e non lasciano scampo: cancro ai polmoni.
Diagnosi drammatica per chiunque, inaccettabile per una ragazza di vent'anni che ha ancora tutta la vita davanti a sè. La gravità della malattia la costringe a sottoporsi ad un pesantissimo trattamento chemioterapico che, giorno dopo giorno, le distrugge il corpo e le mortifica la bellezza della giovinezza, mettendo a dura prova il suo fisico e un amore appena sbocciato.
All'inizio Paul, del tutto inconsapevole della gravità del male che ha colpito la sua ragazza, cerca di assisterla e aiutarla come meglio può, cercando di dare il meglio di sé.
Poi, però, progressivamente, prende coscienza della sua impotenza di fronte ad una situazione più grande di lui, che non comprende pienamente, che lo spaventa e non sa gestire. E accetta l'aiuto di Ninon.
Ninon vive a Parigi ed è una lontana cugina di Charlotte, ed è a lei che la madre della ragazza si rivolge perché aiuti sua figlia ad affrontare una realtà in cui non sono ammessi i sogni e neppure la certezza di poterne avere.
Ninot è coetanea di Charlotte e di Paul, è bella e passionale, ha un corpo appetitoso e una sensualità dirompente, ed è il ritratto della vita e della salute, tutte qualità che Charlotte non può esibire più. L'irruzione nelle loro vite dell'esuberante cugina sconvolge gli equilibri della coppia rendendoli sempre più precari e instabili.
La passione erotica che si instaura tra lei e Paul, peraltro, all'inizio, perversamente incoraggiata dalla stessa Charlotte, diventa una sorgente di vita e una sorta di talismano per sublimarla. I due vivono una storia di forte passione sessuale, i loro amplessi diventano urgenti e quasi necessari, non c'è spazio per i sentimenti e le sensazioni si fanno strumentali per esorcizzare la paura della malattia e elaborare il lutto della perdita.
La fisicità dei loro incontri, carnali e violenti, resi più incandescenti dal desiderio di fuga dalla realtà e dall'impazienza dei corpi, finisce per accendere una forte gelosia in Charlotte, che pur partecipando, soffre nel vedere la bruciante passione che li unisce e aggredisce verbalmente e fisicamente gli amanti traditori.
Tre corpi che si cercano, che si amano, che si fanno del male. Corpi in attesa della morte, corpi impazienti del nuovo. Corpi senzienti quando ogni senso si perde.
E dato che sono troppo giovani per trovare la soluzione giusta, finiranno per formare un triangolo amoroso, dove sono i corpi a parlare e le emozioni sono portate allo stremo, in un gioco compromissorio che nasce dalle contraddizioni che ciascuno di noi si porta dentro.
Tratto dall'omonimo romanzo di Christian de Montella, il film di Xavier Giannoli è un trattato di emozioni forti che scaturiscono da una situazione estrema e da una realtà in cui ci si riconosce, ma che ci trova impreparati, nudi, liberati da ogni protezione, da ogni finzione.
Una discesa agli inferi nel groviglio dei sentimenti dove si rivelano debolezze e fragilità, lacerazioni e priorità; in cui l'angoscia scandisce il tempo e i corpi si fanno impazienti del piacere e della morte.
Un dramma di vita vissuta, crudo e vero; un viaggio iniziatico verso una meta obbligata dove nulla è estraneo. Prima fra tutte la passione, il desiderio di un gesto necessario, lo struggimento dei corpi nell'amplesso. In una parola l'amore. E poi la gelosia e il tormento, la malattia e la morte.
Un film dolente e coinvolgente, un corredo certo di lacrime trattenute, il desiderio inedito di una vicinanza e la certezza insopportabile di una separazione; una storia sulla passione amorosa che "diventa urgente", un dramma che non scade mai nel melodramma e un film sentimentale che non sfiora mai il sentimentalismo.
Alla sua prima esperienza dietro la macchia da presa, Xavier Giannoli ha assimilato a fondo il cinema di Maurice Pialat, il regista ammirato dal giovane autore (nel documentario "L'oeil uman", girato prima di questo film, il regista ha svolto un'analisi molto approfondita del suo film "A nos amours"), ma si avvertono influenze anche del cinema di Jean-Paul Civeyrac, con cui ha in comune il senso fantastico di catturare l'intimità, e ha girato un film tutto teso ad esplorare i corpi e i volti, gli sguardi e le espressioni, il desiderio e la passione, la paura e il pathos.
Ha fotografato con sofferta lucidità la struggente consunzione dei corpi e il desiderio intenso di arrivare all'altro, "la forza cieca ed essenziale del sesso" e "l'emozione che scaturisce dai sentimenti". Si percepisce il tanfo della morte e l'odore dei corpi che si amano, si respira aria di freschezza e si precipita nell'angoscia della malattia.
Pellicola di silenzi e di introspezione psicologica, una radiografia dell'animo e un'istantanea dei corpi. Giannoli dimostra di conoscere molto bene il mondo dei giovani (d'altro canto è giovane egli stesso), di saper narrare i flussi dell'animo e la forza dell'attrazione fisica.
Certo non tutto fila alla perfezione, e a tratti il film si ammanta di un'aura eccessivamente intellettualoide; ci sono situazioni poco approfondite (penso ad alcune riflessioni sull'infermità e la patologia) e alcuni personaggi (per esempio la madre di Charlotte) risultano appena abbozzati o poco funzionali alla storia, mentre non mancano alcuni momenti di una certa stanchezza, specie nella seconda parte quando alcuni dialoghi si rivelano poco veritieri e le scenate di Charlotte ripetitive.
Nonostante ciò "Corpi impazienti" rimane un film straordinario, che fa male sullo schermo. Un film doloroso per il tema toccato, in cui gli eventi sono gestiti in modo del tutto naturale e molte scene sono così intime e credibili che si rimane scossi e turbati (drammatiche le scene delle visite mediche e toccante la scena finale con Paul e Ninon che si prendono cura della loro Charlotte, ormai indebolita ed esausta).
Una scommessa vinta e un esordio davvero sorprendente, quello di Xavier Giannoli, per la grande capacità di saper trattare un soggetto difficile, qual è quello della malattia, e per la grande capacità di saper entrare nel mondo dei suoi personaggi, rispettandone sentimenti, emozioni e scelte.
Ottime infine la scelta dei tre attori protagonisti, tutti giovanissimi, tutti alle prime armi (o quasi) e tutti capaci di calarsi con estrema naturalezza nei rispettivi, non facili, ruoli.
Strepitosa Laura Smet (doppia figlia d'arte di Nathalie Baye e Johnny Hollyday) nel ruolo aspro e doloroso di Charlotte, e indimenticabile l'espressione del suo viso che il destino avverso continua a disegnare senza mai finirlo.
Straordinario il giovanissimo Nicholas Duvauchelle e lo sguardo amaro dei suoi occhi che non smettono di guardare increduli il crudele e assurdo disegno della vita.
Prorompente la fisicità del corpo di Marie Denarnaud, che buca lo schermo con una recitazione calda e sensuale e una forte carica erotica che riesce a sprigionare nelle lunghe e realistiche scene di sesso.
Un'ultima notazione: il film (mai titolo è stato così perfettamente indovinato: "Corpi impazienti") è passato quasi inosservato, penalizzato fortemente dall'etichetta di film erotico, appioppatogli dalla distribuzione (si spera solo da quella italiana), quasi si trattasse del solito film scopereccio e scollacciato come se ne vedono tanti in circolazione.
E invece è un film pulito (e direi quasi casto), per la delicatezza dell'argomento e il suo estremismo poco consolatorio. Un film che ha delle cose da dire e le dice senza remore e senza compiacimenti, pieno di pudori e di sentimenti che non scadono mai nel morboso o nell'indecente, neppure nella famosa, e chiacchierata, scena della notte d'amore a tre, passionale e colma di pulsioni erotiche, ma al tempo stesso assolutamente incorrotta e pulita. Perchè in fondo... è amore.
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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 25/11/2010 15.11.00
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