Sotto l'ombrello protettivo di Film Commission, Comunità Europea e Città di Torino, nasce all'ombra della Mole un film tutto giovane, pensato, diretto e realizzato da una coppia di ragazzi, lui alla macchina e alla regia, lei allo studio del soggetto (meno di 50 anni in due!). O, almeno, così doveva essere, nelle intenzioni originarie, a giudicare dai bandi circolanti per la ricerca delle comparse (oltre 400, reclutate con esplicito invito al no profit!).
Evidentemente nel corso del lavoro gli apporti sono mutati, se è vero che, infine, risulta il nome di due registi, lei e lui, Sonia Trinchero e Luca Bronzi, e che al titolo viene aggiunto un sottotitolo esplicativo, pretenziosamente didascalico: "la ricerca del Sé passa attraverso l'amore"; così, come se niente fosse... per un assioma indiscutibile, di tono catechistico.
Diamo rilievo alla cosa per evidenziare come nella visione del film emergano in effetti due apporti molto distinti; quello puramente filmico, di immagini, fotografia e riprese, e quello di soggetto, sceneggiatura e dialoghi: il primo, un po' fine a se stesso, estetizzante, istintivamente sperimentale, vivace, emotivo e multiforme, il secondo freddo e cerebrale, alla ricerca confusa di verità psico-filosofico-esistenziali fondamentali, e pertanto infarcito di citazioni di ogni genere, da Einstein a Schopenhauer, di conoscenze psicanalitiche e credenze orientaleggianti e/o new age.
Curioso che tali differenze coincidano in genere con il gap tra maschile (freddo - razionale - poco emotivo - concettualizzante e sintetico) ed il femminile (più "di pancia" - immaginifico - fantasioso - estemporaneo - analitico e "decorativo"); requisiti che invece, nella fattispecie di "Danza la coscienza", sembrano stranamente invertiti, distribuendosi in modo opposto tra il Lui e la Lei della regia. Un po' come se "lato sinistro" e "lato destro" del cervello dovessero cambiare la loro disposizione fisiologica tendenziale, con una sovrannaturale permutazione genetica.
Ma, per tranquillizzare il lettore, fortunatamente "natura non facit saltus"... e la conclusione del film sarà invece al femminile più ortodosso: solo entrando in una relazione d'amore la protagonista troverà una panacea per il male dell'esistenza e uscirà dallo stato autistico e depressivo a lei abituale.
Beh, proprio una storia nuova non diremmo, oltre che penosamente improbabile! Dunque non si illudano i giovani di risolvere le proprie problematiche esistenziali scaricando su un partner il fardello dei propri bisogni... Ma anzi si sforzino di capire che il "centro di se stessi" auspicato nel film, può consistere solamente nella realizzazione di una identità personale di individui che camminino sulle loro gambe, in modo totalmente autonomo, con una buona dose di autostima.
Solo in questo modo avranno la giusta energia per relazionarsi alla pari non solo con il partner amoroso, ma col resto dell'umanità di cui fanno parte (e qui la citazione "atomistica" di Einstein ci sta bene), realizzandosi appieno.
Che dire, in conclusione? Il film nasce sotto l'egida di "Cinemanch'io - Affinché si possa conoscere e praticare l'arte cinematografica"; dunque di fronte alla nobiltà dell'intento ci inchiniamo.
In effetti, da qualche parte bisogna pur cominciare. Ed è vero che ai giovani d'oggi, malgrado tante facilitazioni di base, mancano abitualmente le opportunità di inserirsi precocemente nel mondo (del lavoro come dell'arte); che erano invece maggiori quando si andava a bottega o si studiava più duramente. Ma è anche vero che, ai primi passi, non si può pensare di fare "opere capitali", credendo di spiegare tutti insieme, con saccenza, i problemi dell'esistere; anzi, così facendo, si finisce per esprimere solamente la propria confusione mentale, inevitabile ove non si sia ancora vissuto abbastanza.
A discolpa, peraltro, il discorso della montagna di Zarathustra ai giovani: "Chi non ha il caos dentro di sè, non partorià mai una stella danzante"! Dove si parla, ovviamente, di un caos creativo, portatore nel tempo di ordine estetico ed armonia, non di disordini mentali o sballi senza ritorno... e poi, nel film, si parlava per l'appunto di... danze".
Ho sempre amato le opere prime, perché capaci di rivelare l'essenza di nuovi talenti; ma ho in mente lavori come "Accattone" di Pasolini o "La comare secca" di Bertolucci, di persone cioè che approdavano al cinema dopo convincenti percorsi di altra natura.
In caso di esordi assoluti, come per questo film, sospenderei invece il giudizio, rivolgendo un invito ai due giovani autori. A lui consiglierei di impegnarsi a fondo in studi umanistici e letterari, per arrivare a lavorare su soggetti suoi: gli manca solo... la parola... perché occhio alla fotografia e all'immagine ne ha indubbiamente.
A lei, se me lo permette, direi altro: per primo, di leggere il saggio di Umberto Eco "Come si fa una tesi di laurea"; dove si consiglia ai neo dottorandi di sperimentarsi con temi circoscritti, anziché di partire per la tangente con discorsi di impegno enciclopedico. In secondo luogo, ma particolare non meno importante, se vuole continuare col cinema, rifletta bene sulla peculiare semantica di questo: fondato per definizione su immagini (in movimento secondo l'etimo), non su discorsi, citazioni apodittiche e frasi celebri (che sono invece appannaggio della saggistica). I significati dei film devono scaturire dalla "lettura" e dalla interpretazione soggettiva delle sue metafore, non dalle predicazioni catechistiche degli autori.
Cosa che la giovane autrice, ancora fortemente inviluppata in dinamiche edipiche, raggomitolata in posizione "fetale" come la protagonista nella locandina del film, tende a fare con ingenua saccenza, alla ricerca confusa di verità... che verranno!
Tutto questo non per stroncare, ma per fornire un supporto costruttivo a due giovani che dimostrano comunque una rara intraprendenza e, pure, buone qualità artistiche; con immagini fantasiose, effetti di luci particolari, suggestive "solarizzazioni", scene di danza e di teatro commiste in modo inconsueto e stimolante.
C'è materia, che va curata! E, a questo fine, sconsiglierei loro di "girare", d'ora in poi, con attori improvvisati: perché infine proprio la recitazione di questi risultava la parte più scadente del film.
Non me ne vogliano i due autori per la mia critica (in sé affettuosamente costruttiva)... peggio sarebbe stato per loro destare semplice indifferenza.
Invece segnalo volentieri il loro film al pubblico di Filmscoop, che, in quanto composto da giovani cinefili, avrà piacere di riconoscersi proiettivamente nei giovani registi esordienti torinesi.
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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 19/04/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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