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"Bisogna diventare un mostro per combatterne un altro?"
"Si deve sacrificare la propria umanità per salvare chi amiamo e chi va salvato?"
Questo il dilemma che turba la sensibilità di Tuvia Bielski e dei suoi fratelli Zus e Asael, ebrei perseguitati ed eroi misconosciuti al tempo della 2a guerra mondiale, anime di una imponente operazione di salvataggio armato di ebrei da parte di altri ebrei.
Non più dunque ebrei visti solo come vittime passive, ma indomiti combattenti che seppero tenere testa alle preponderanti forze naziste, impugnando le armi e approntando una fiera resistenza alla minaccia e all'odio di Hitler e dei soldati della Wehrmacht.
Una pagina di storia semisconosciuta della 2a guerra mondiale, che tale sarebbe rimasta se, nel 1993, Nechama Tec, sopravvissuta all'Olocausto, docente di sociologia alla Stanford University nel Connecticut, dopo annose ricerche, non avesse pubblicato il saggio storico, "Defiance - The Bielski Partisan", per raccontare la straordinaria impresa dei tre fratelli che osarono sfidare Hitler, e dei 1200 ebrei che con loro sopravvissero, in condizioni difficilissime, nella foresta di Nabiloki, sfuggendo ai rastrellamenti e alle deportazioni dei soldati nazisti.
A guidarli Tuvia e Zus Bielski e con loro il minore di fratelli, Asael, costretto ad una traumatica maturazione per mediare tra i due, nell'eterno rapporto conflittuale che li divise a causa della differente visione sulla strategia da seguire per fronteggiare l'aggressione e la persecuzione delle S.S.: la spietatezza di Zus, più istintivo e assetato di sangue nazista opposta alla più pacata concezione di Tuvia, più saggio e compassato.
Il film di Edward Zwick (regista che ha visitato il Giappone antico con "L'ultimo samurai" e l'Africa depredata dagli europei con "Blood Diamond"), che ha potuto contare sull'ottima collaborazione dello sceneggiatore Clayton Frohman (ebreo come lui), racconta nel suo coinvolgente dramma la straordinaria epopea di questi tre eroi senza paura anche se, come sostengono alcuni, non senza macchia, fatta di coraggio, sofferenza, crudeltà e amore.
A prestare il volto e il suo fascino ruvido a Tuvia Bielski è Daniel Craig, il quale, riposti i panni (e i Martini) dell'agente 007, si cala nel ruolo dell'eroe della resistenza polacca con veridicità e giusta partecipazione, regalandoci, col suo sguardo di ghiaccio, lampi espressivi di forte intensità dai quali traspaiono i dubbi e le determinazioni, le riluttanze e gli slanci che travagliano il suo personaggio.
Accanto a lui non sfigurano l'ottimo Liev Schreiber (già visto come interprete in "The Manchiurian Candidate" e come regista di "Ogni cosa è illuminata"), che conferisce veridicità tragica al suo ruolo del fratello Zus, e il giovane Jamie Bell ("Billy Elliot", "Flags of Our Fathers") che interpreta il personaggio del fratello minore Asael.
La storia era cominciata quando, con l'Operazione Barbarossa del 22 giugno del 1941, Hitler aveva aperto ad oriente un nuovo fronte di guerra, attaccando l'Unione Sovietica di Stalin e iniziando una feroce e massiccia opera di deportazione e sterminio degli ebrei dell'est.
I fratelli Bielski, contadini ebrei polacchi, cresciuti in un villaggio che oggi fa parte della Bielorussia ma che allora era sotto l'influenza sovietica, erano considerati ribelli e allergici ad ogni tipo di autorità, e quindi presi subito di mira dalle S.S. naziste e rinchiusi nel ghetto di Novogrudok.
Molti membri della loro famiglia, compresi i genitori, la moglie e la figlioletta neonata di Tuvia vennero trucidati durante il rastrellamento del loro villaggio da parte delle S.S. e della polizia locale collaborazionista.
Ricercati dai nazisti i tre fratelli, insieme ad altri 13 compatriotti si trovarono costretti a darsi alla macchia e rifugiarsi nei boschi dell'entroterra polacco, che conoscevano fin dalla loro infanzia, dove si organizzarono in un gruppo di partigiani.
Determinati a salvare le loro vite per i fratelli Bielski, che erano di alta statura, biondi e di aspetto molto simile ai loro vicini polacchi e russi, fu molto facile nascondere le loro origini ebraiche, iniziare una sistematica opera di sabotaggio e tenere in scacco i potenti mezzi del Reich.
All'inizio lo scopo sostanzialmente egoistico di pura sopravvivenza della loro opera li portò ad attaccare solo i villaggi che cooperavano con i nazisti, permettendo la fuga di diversi ebrei rinchiusi nei campi di concentramento, ma poi una serie di eventi li indusse a prendere un insieme di decisioni che li costrinsero ad agire per vendetta e desiderio di giustizia.
Diventati capipopolo, cominciano così ad accogliere attorno a loro tutti coloro che avevano bisogno di aiuto e di protezione e tutti quelli che come loro avevano perso tutto quello che avevano di più caro, ma erano disposti a morire pur di mantenere un barlume di libertà e la consapevoleza di avere un'identità personale.
Progressivamente il loro rifugio divenne meta di tutti coloro che riuscivano a sfuggire ai rastrellamenti delle S.S. e ai campi di concentramento nazisti.
Grazie all'aiuto e sotto la guida di Tuvia e dei suoi fratelli, l'incredibile comunità riuscì a sopravvivere per tre lunghi anni alla fame (mangeranno cosa riuscivano a razziare nelle fattorie vicine), al terribile inverno bielorusso e alla caccia nazista, mentre cominciano ad organizzare una sorta di resistenza armata e a dare appoggio contrastato alla "resistenza ufficiale" dell'Armata Rossa.
L'accresciuta presenza di rifugiati portò il gruppo a creare nella foresta una forma di rudimentale società autosufficiente, chiamata la "Gerusalemme dei boschi".
Costruirono baracche di fortuna, misero su una cucina, un mulino, una panetteria, dei bagni, un negozio di ferramenta, un ospedale da campo con annesso luogo di isolamento per affetti da malattie infettive. C'erano persino una sinagoga e officine per artigiani, mentre nelle loro fila c'era gente di ogni estrazione sociale, dall'avvocato al dottore, dall'agricoltore all'artigiano e al carpentiere.
Un atto di sfida (la defiance del titolo) che fu anche un atto di ricerca del senso della vita e dell'essenza del coraggio di essere uomini, che passerà anche attraverso la riscoperta di emozioni che credevano placati.
È così il sentimento, combattuto e incerto, che nasce tra Tuvia e Lieka, una ragazza dell'accampamento, fatto di sguardi e cullato dal suono di un violino, intessuto di slanci e di passione, di incertezze e di inibizioni, ma che comunque alimenta la linfa per vivere, attimo dopo attimo, giorno dopo giorno, perchè "ogni giorno di libertà è un atto di fede, e se moriremo cercando di vivere, almeno moriremo come esseri umani".
Poi quando l'offensiva nazista si fa più pressante e virulenta, nascono i primi contrasti tra Tuvia e Zus (rivali ma uniti dalla condivisione assoluta della missione di salvare più ebrei possibili dalla morte), in attesa di trovare il giusto equilibrio di cui mancavano (Zus non esita a giustiziare con un colpo di pistola alla testa un tedesco catturato, ed anche Tuvia non indugia ad usare il pugno di ferro per sedare i tentativi di insubordinazione all'interno della comunità).
Fra storie d'amore, matrimoni, morti improvvise, nuove vite e tante rappresaglie sanguinose, compiute con i fucili, alla ricerca di cibo, armi e di una vendetta cieca contro i nazisti, “la Gerusalemme dei boschi” andò avanti nella sua vita nascosta fino al 1944, quando la guerra finì e dal bosco riemersero circa 1.200 ebrei.
Una pagina di storia straordinaria e un film onesto ma non eccezionale e con qualche stereotipo di troppo (i collaborazionisti bielorussi sono tutti volgari, i russi tutta vodka e fucile facile, Tuvia è il cavaliere errante che si inoltra per il "Bosco Oscuro" sul suo cavallo bianco), che fa leva sul sentimento della commozione facile in una storia già emozionante di suo.
Ma è una storia con la S maiuscola, che bisognava assolutamente raccontare per trarla dall'oblio cui sembrava destinata e a cui l'aveva relegata la volontà dei fratelli Bielski, restii a parlare del loro passato persino con i loro familiari, e per far conoscere la storia di una resistenza ad opera di ebrei, altrimenti oscurata dal buco nero dell'Olocausto.
Qualcuno è arrivato ad accusare i fratelli Bielski di violenze gratuite e di aver partecipato al massacro di villaggi di collaborazionisti polacchi, tanto da porli sullo stesso piano dei loro stessi aguzzini; solo dopo la guerra si venne a sapere che il gruppo dei Bielski all'epoca si trovava lontano dal luogo del massacro, e comunque sono stati ampiamente riabilitati dai compagni sopravvissuti ("Non erano perfetti ma ci salvarono la vita").
Il film, al di là del valore storico e documentaristico, ha un andamento veloce ed è arricchito da appassionanti scene di combattimento: il modo migliore per parlare di "coloro che ebbero la forza di dire basta e di reagire".
"Defiance" è in sostanza la storia di eroi non convenzionali che seppero sfatare il mito di ebrei biblicamente destinati e rassegnati a subire.
Il film evidenzia la fuga del popolo ebraico che allude alla diaspora biblica e mette in risalto le fratture ideologiche ed etiche tra Tuvia e Zus che sottintendono alla discordia tra Mosè e il fratello Aronne; Tuvia, poi, è il Mosè che fa attraversare il mar Rosso al suo popolo per salvarlo dall'esercito faraoniche.
Il dramma del popolo ebraico può, inoltre, essere messo in parallelo con le sciagure odierne che colpiscono intere popolazioni, costretti a fuggire dalle loro case e dalle loro terre, mentre si cerca di annientare la loro storia e la loro cultura.
Un film che racconta l'altro lato degli avvenimenti, quasi a privileggiare il valore storico e di documentazione sul mezzo narrativo, che pur non manca, con sequenze cariche di contenuti volte ad esortare il pubblico a riflettere e pensare come tutto ciò che è successo sia collegabile al momento e alla realtà attuale.
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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 28/01/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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