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Quando si parla di Jerry Bruckheimer torna subito alla mente il cinema americano più patinato e ricco di effetti speciali, e per questa occasione al nome di Bruckheimer va associato anche quello di Tony Scott, che stavolta sostituisce il solito Michael Bay. La formula, dunque, rimane la stessa.
La pellicola segna però, strano a credersi, un'eccezione, infatti laddove altri film appartenenti allo stesso genere erano per lo più una baraonda di inseguimenti e sparatorie, questo ha dalla sua il tentativo degli sceneggiatori di creare una storia compiuta e la decisione di usare effetti speciali realizzati dal vero e dosati nei punti giusti, anche se tutto ciò si deve probabilmente a Scott, che nel bene e nel male di cinema d'azione si è sempre nutrito.
Ma andiamo con ordine. Bisogna dire innanzitutto che "Dèjà Vu" è un poliziesco fantascientifico, con un inizio dei più classici: l'arrivo del tipico poliziotto solitario sulla scena del crimine. Qui purtroppo si sprecano i luoghi comuni condivisi con molti altri film già visti e rivisti, tant'è che la sensazione di dèjà vu comincia a farsi strada nella mente dello spettatore più preparato. Ma man mano che si prosegue nella visione iniziamo a capire il vero fulcro del film, e cioè l'ipotesi di viaggiare indietro nel tempo per fermare un crimine, ma nella scena in cui tutto ciò viene spiegato Tony & Jerry non volevano evidentemente soffermarsi troppo, e così se la cavano con un giro di parole pronunciato da uno dei personaggi al poliziotto Denzel Washington, che finge di capire e tira avanti la baracca da solo.
Durante il corso della film sono purtroppo più di uno i punti sbrigati alla svelta, come ad esempio la parte centrale, quando il buon Denzel si ritrova a guidare un gigantesco veicolo Hummer con un mini satellite a bordo nel traffico di New Orleans, causando incidenti mortali qua e là.
L'idea è di per sé buona, ma è il suo sviluppo che lascia un po' interdetti, e nulla riesce davvero a catturare l'attenzione fino in fondo, neanche il prevedibile finale, quando ci si aspetta almeno un colpo di scena e invece capita esattamente ciò che chiunque potrebbe prevedere almeno con mezzora di anticipo.
Se però il finale cade banalmente nel baratro del "ehi ma io questo l'ho già visto", con tanto di dito accusatorio puntato contro lo schermo e sbadiglio incombente, i primi minuti sono gradevoli e rappresentano forse la parte più riuscita del film.
Ancora prima dell'entrata in scena del protagonista, Tony Scott costruisce i momenti che precedono l'attentato terroristico al traghetto basandoli esclusivamente sull'attesa, il crescendo della tensione non è niente male e culmina con un'immensa esplosione dove vediamo volare di tutto, dalle macchine agli stuntman in fiamme.
Scott, quindi, si destreggia bene nell'incipit, ma per tutto il resto della pellicola sembra affetto dalla "sindrome delle due inquadrature", non è ancora ben chiaro il perché ricorrere solo ai primi piani e ai totali in movimento di steady-cam per risolvere i dialoghi; spesso, infatti, limitare il campo visivo alle sole fisionomie degli attori non è una scelta azzeccata, e sembra quasi di averli costantemente addosso, con il risultato di creare un po' di ulteriore confusione. Poi sul fatto che i visi degli attori abbiano un bel colorito non vi è alcun dubbio, ma non c'è bisogno di ricordarcelo in ogni momento.
Se poi possiamo anche chiudere un occhio su alcuni buchi di sceneggiatura classici del cinema dei viaggi nel tempo non possiamo invece sorvolare un passaggio ben importante: il movente che spinge il cattivo di turno a complicare la vita della popolazione di New Orleans. Ebbene, quello che sembrava un riferimento al clima di paura post 11 settembre e alla sfiducia post uragano Katrina si risolve con un banalissimo motivo che porta Jim Caviezel ad accoppare cinquecento e passa persone su un traghetto.
Forse per non offendere nessuno, in pieno politically correct alla Bruckheimer, l'attentato diventa quasi un pretesto per muovere Denzel Washington all'interno della scena, non c'è un vero motivo, né tanto meno il discorso apocalittico che Caviezel pronuncia minacciosamente si risolve in alcunché, ci aspetta sempre che succeda qualcosa, che il terrorista ribalti la situazione, e invece niente, classici botti, esplosioni, mitra spianati, come un normalissimo "Bad Boys".
Si accenna anche ad un discorso sulla variante, possibile ma non calcolata, presente in ogni esperimento scientifico, in questo caso due dimensioni temporali coesistenti che un ipotetico viaggio nel tempo potrebbe creare, ma anche questa idea decade a favore dell'azione e dello scontato happy end, e forse tirare in ballo la fisica quantistica sarebbe stato troppo per Bruckheimer.
Per carità, nulla di male nel voler realizzare solo un film d'azione, ma quello che dispiace è che stavolta le premesse per mettere in piedi qualcosa di più c'erano, e come al solito sono state sprecate.
Indubbiamente i mezzi e i soldi non sono mancati alla produzione (150 milioni di dollari di budget), e si vede, ma forse la cosa più impressionante di tutto il film sono le scene girate in mezzo alla vera devastazione di New Orleans, dopo l'uragano. Come primo film girato sul posto è forse un po' troppo, non si sentiva il bisogno di vedere tutti quei mezzi tra case e strade completamente distrutte da una tragedia che poteva essere evitata. La retorica patriottarda di Bruckheimer questa volta risulta ancora più fuori luogo.
Ricordando invece gli aspetti positivi della pellicola l'interpretazione di almeno due attori del cast rappresenta una piccola salvezza. Denzel Washington, dopotutto, il suo mestiere lo conosce bene, arrivato a 52 anni riesce ad essere credibile anche in un personaggio d'azione e bisogna pur contare che per tutte le due ore di film lui è sempre presente.
Jim Caviezel regala invece l'interpretazione migliore, il suo villani (tutto americano, stavolta gli arabi non c'entrano) è un buon personaggio, a metà tra un serial killer e l'attentatore di Oklahoma City, anche se purtroppo gli viene attribuita scarsa importanza, non esiste infatti nessun approfondimento psicologico, nessuna legame tra quello che combina e la storia in sé, anche quel poco di interessante che gli viene fatto dire è subito lasciato cadere.
Se questi due interpreti si mettono d'impegno ce n'è un altro che è assolutamente inappropriato: Val Kilmer. Fa un certo effetto vederlo tremendamente stanco, invecchiato e imbolsito, ombra di quell'uomo affascinante che fu. Anche senza mai eccellere veramente, Kilmer aveva sempre cercato di dare il meglio di sé, in "Dèjà Vu invece non dà il meglio di sé, e non dà neanche il peggio, ma semplicemente non dà: il suo personaggio è insignificante (segno di apparizione dettata da ragioni alimentari) e ciò che fa e dice è monotono e piatto, se al suo posto ci fosse stata una sagoma di cartone probabilmente nessuno avrebbe notato la differenza. La sua scena è soffiata da un caratterista in crescita: Adam Goldberg, un attore dalla faccia espressiva e particolare che, curiosamente, da quando ha recitato ventenne in "Dazed and confused" di Richard Linklater non è cambiato di una virgola.
Dunque, concludendo l'arringa, se Tony Scott è lecito preferirlo nei suoi classici film d'azione senza pretese come il bel "L'ultimo boyscout", il discorso cambia per Bruckheimer, il quale potrebbe evitare di trattare tutto il pubblico come una sciocca massa affamata di inseguimenti da playstation e cominciare a pensare a storie di intrattenimento un po' più interessanti, magari basandosi anche sui gusti di una platea cresciuta e perfettamente in grado di stroncare le sue produzioni.
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Recensione a cura di matteoscarface - aggiornata al 15/12/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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