Recensione dies irae regia di Carl Theodor Dreyer Danimarca 1943
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Recensione dies irae (1943)

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locandina del film DIES IRAE

Immagine tratta dal film DIES IRAE

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Il regista danese Carl Theodor Dreyer (1889-1968) è forse sconosciuto al grande pubblico dei frequentatori dei cinema. Eppure è stato autore di capolavori indiscussi tra cui Dies Irae, uscito in Danimarca nel 1943. Nella sua carriera cinematografica si è occupato di occulto, demonismo e di misticismo religioso (Pagine dal Libro di Satana 1921, Vampyr 1931, Ordet 1954) e della celebrazione di grandi figure femminili (La Passione di Giovanna d'Arco 1928, Gertrud 1964). Dies Irae è il film dove si esprimono al meglio tutti i temi preferiti del regista.

La fama di Dreyer è dovuta soprattutto alla perfezione formale delle sue opere. Ogni elemento, dalla scenografia, alle riprese, alla recitazione è curato in maniera maniacale. Niente è superfluo o casuale. Il prodotto finale è un film essenziale, che va subito al dunque. Riesce a colpire lo spettatore grazie alla nudità e alla concentrazione delle scene e lo emoziona con la chiarezza e la profondità dei sentimenti espressi. Dies Irae si differenzia dai film precedenti per un maggiore movimento della cinepresa, anche se spesso ci sono degli improssivi stacchi di primo piano che danno solennità ai personaggi. Bellissima è la scena del funerale, in cui la cinepresa da un punto fisso segue il movimento in circolo dei chierichetti, rivelando tutti i particolari della stanza. In pratica il punto di vista diventa la bara del morto. Spesso gli attori sono disposti quasi a rappresentare dei quadri olandesi del Seicento, in particolare di Rembrandt, ma il tutto avviene con molta naturalezza, senza forzature. L'inizio e la fine sono segnati dalla drammatica recita dell'Apocalisse. Tutto questo, insieme all'atmosfera cupa e persecutoria che si respira nel film, ha fatto pensare ad accenni al nazismo e alla guerra in corso all'epoca.

La storia si svolge in Danimarca nel 1623 e ruota intorno a cinque personaggi. Absalon è un vecchio pastore che in tarda età si è risposato con la giovane Anne, avuta grazie al salvataggio della madre di Anne da morte per stregoneria. Per lui la fede religiosa consiste nel mantenere la propria anima esente da qualunque peccato. Ma dubbi ossessivi e rimorsi gli rendono amara e travagliata l'esistenza. Sua madre, un'anziana severissima ed energica, intende la fede invece come un sistema di vita basato su una rigida morale delle apparenze: si deve solo lavorare, stare in casa, mai ridere o mostrare i propri sentimenti. Nutre una profondissima avversione verso la giovane nuora.

Il ruolo della vecchia madre è forse quello meglio recitato nel film. Anne è la protagonista indiscussa, ma la sua figura emerge piano piano e si evolve fino a prendere il sopravvento. All'inizio è una timida moglie rassegnata e insoddisfatta ma con il tempo prende coscienza di se stessa e sviluppa una fede e una morale tutta sua, fatta di amore anche sensuale e di passione per la vita. Scopre una forza inaspettata, quasi sovrannaturale, di cui lei stessa ha paura e che le darebbe la possibilità di ammaliare o uccidere con il pensiero. Alla fine è lei quella che ha la "fede" più forte e convinta e si dimostra pronta a morire pur di rimanerle fedele. Anne si innamora di Martin, il giovane figlio di Absalon, avuto dalla prima moglie. Il suo è un carattere dolce, riflessivo piuttosto ambiguo, sempre in bilico fra lo splendore e la bellezza del sentimento che gli dona Anne e il richiamo al dovere, alla missione terrena rappresentato dal padre e dalla nonna. Non possiede il coraggio di Anne e alla fine, al momento della scelta, rifiuta Anne e dimostra di averla solo usata per sfogare i propri impulsi.
Il quinto personaggio è Marthe Herslof, il primo ad apparire nel film. E' una vecchia fattucchiera presa di mira dalla gente del paese come "strega" e come tale subisce il processo inquisitorio con relative torture. Ammette colpe che non ha, ma affida la sua salvezza alla coscienza di Absalon. Gli rinfaccia l'episodio della madre di Anne che Marthe considera una "vera" strega. Tutte le preghiere e le minacce della povera e debole vecchia su Absalon non hanno esito e alla fine viene gettata - in una scena molto drammatica - nel rogo.
Intanto è tornato Martin da una lunga assenza e tra lui e Anne c'è subito simpatia e ben presto amore. Anne ha spiato il dialogo fra Marthe e Absalon e adesso sa degli strani poteri di sua madre. Per lei è l'appiglio ideale giusto per poter sfogare tutti i suoi istinti repressi di giovane donna vogliosa di vivere, ridere, fare l'amore, avere dei figli. Desidera l'amore di Martin e fra loro si svolge una storia accompagnata nel film da belle e essenziali immagini di natura primaverile e dolce musica. Absalon nel frattempo si incupisce e si macera nei rimorsi. Le minacce di Marthe si avverano e anche gli strani "poteri" di Anne sembrano avere riscontro nel reale. Ormai Anne ha preso coscienza di se stessa e non ammette più compromessi. Nella scena culmine del film, in un dialogo drammatico, Anne non vuole mentire a Absalon e gli svela il desiderio di vederlo morto e il suo amore per Martin. Absalon sconvolto si alza ma viene stroncato da un infarto (fatalità o i "poteri" di Anne?). Sembra che i desideri di Anne si stiano avverando, ma al funerale di Absalon l'anziana madre accusa Anne di avere usato arti "demoniache" per ucciderlo. Alla richiesta di giurare sul corpo del morto di non avere mai desiderato la sua morte, Anne fa la scelta drastica e coraggiosa di rimanere se stessa dicendo la verità, andando così incontro alla morte. Dreyer gira questa scena con una luce particolare e con una enfasi che fa di Anne una eroina, quasi una Madonna, senz'altro una figura molto forte ed esemplare, un punto di riferimento per tutte le donne e non solo, un po' come Giovanna d'Arco nell'omonimo film.

Un film quasi nudo, senza attrattive sceniche, azioni, con dialoghi lenti e senza fronzoli eppure profondissimo. Sono tante le questioni che pone. Prima fra tutte l'esistenza o meno di forze "sovrannaturali" all'interno dell'animo umano. Nel film si condanna la superstizione e la barbarie dei processi inquisitori ma allo stesso tempo s'insinua nello spettatore moderno la possibilità che quello che una volta si chiamava "diavolo", non sia altro che il nome di atti e avvenimenti di cui non si riesce a dare una spiegazione razionale. Del resto tutti i personaggi del film credono all'esistenza del "diavolo" e ne rimangono affascinati. Ci sono risorse sconosciute nell'animo umano - questo sembra dirci Dreyer - soprattutto nell'animo femminile. Le sue opere vogliono essere una dimostrazione che le donne sanno essere (se lo vogliono) più forti e spirituali degli uomini. Infatti in quello stesso anno morivano due donne - Virginia Woolf e Simone Weil - testimonianza che quello che è considerato il sesso "debole" non lo è nei fatti.

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Recensione a cura di amterme63 - aggiornata al 06/02/2007

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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