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La trama: il barone Ferdinando Cefalù, detto Fefè, si innamora della cugina diciottenne Angela. La ragazza, spigliata e moderna, ricambia l'amore del barone ed è pronta a sposarlo. Purtroppo Fefè è già sposato con Rosalia, donna brutta e gelosissima che non lascia mai un attimo il marito e lo sfinisce con le sue apprensioni. Ai due amanti viene in aiuto l'arrivo inaspettato di Carmelo Patanè, un pittore di poche speranze di cui Rosalia era stata profondamente innamorata in passato. Nonostante Rosalia sia una moglie fedele e integerrima Fefè tenta di riavvicinarla con diversi stratagemmi. Alla fine la macchinazione riesce e Ferdinando, colta in flagrante adulterio Rosalia con Carmelo, la uccide. Appoggiato dall'articolo 587 del codice penale che allora giustificava il cosiddetto delitto d'onore, Ferdinando è accusato e condannato a una pena molto breve. Uscito dal carcere, nella generale approvazione dei concittadini che lo vedono come un esempio da seguire, Fefè può finalmente sposare Angela. Peccato che di lì a poco la giovane e bella cugina inizi a essergli infedele.
La prima commedia di Pietro Germi doveva essere una storia drammatica, ispirata ad alcune vicende italiane di cronaca nera che raccontavano di delitti d'onore compiuti da mariti traditi e da donne disonorate.
"Stavo pensando da tempo a un film sul matrimonio in Italia", ricorderà il regista. "I soggetti non mancavano di certo, se ne trovavano a decine sui giornali ogni mattina, fatti di cronaca, qualche volta pittoreschi ma per lo più tragici. In Italia i matrimoni male assortiti vanno a finire spesso in tragedia, con maggior frequenza che in altre nazioni proprio perché qua da noi vigono ancora dei costumi medievali che sono troppo in contrasto con la realtà che stiamo vivendo. Pare che certi uomini non si rendano conto che il tempo passa e si illudano con quattro rivoltellate di poter inchiodare le sfere dell'orologio. Può esserci una cosa più assurda del delitto d'onore?"
Attore egli stesso, Germi curava personalmente il trucco e la caratterizzazione dei suoi attori, nei costumi e nelle acconciature, spesso esasperandoli. Come accade alla figura di Marcello Mastroianni, il volto e il corpo elettivi di "Divorzio all'italiana", nel ruolo del barone Cefalù.
Eppure non fu Mastroianni il primo a cui il regista pensò per il ruolo di protagonista. Inizialmente voleva un attore americano dotato di baffoni e sigaro: Ernie Kovacs; Mastroianni gli sembrava troppo romano.
In seguito molti attori, tra cui Alberto Sordi, rifiutarono la parte e Mastroianni, pur di farsi prendere inviò foto con basettoni, capelli stirati o tutti ricci, così perfette nella loro sicilianità da convincere il regista. Si sottopose inoltre a una dieta ingrassante a base di pastasciutta. Venne premiato: il suo Cefalù divenne "un ritratto stilisticamente impeccabile, pieno d'una cattiveria d'alta classe: un piccolo Monsieur Verdoux ripugnante e patetico nella giungla proibita del sesso" (Tullio Kezich). Su quel ghigno rigido, su quella grottesca muratura mimetica si stava scrivendo un vero e proprio genere iniziato da Monicelli con "I soliti ignoti" e destinato ad essere il tipo di cinema che ha lasciato un documento storico dell'Italia degli anni '60: la commedia all'italiana.
Germi ci dà un ritratto vero della Sicilia, terribilmente realistico nella sua stilizzazione. I delineamenti psicologici dei personaggi sono grotteschi e si rifanno alla commedia delle origini, plautina nella sua semplice caratterizzazione fisica e psichica: il protagonista svagato e innamorato, la moglie brutta e appassita, l'amante giovane e bella, eccetera...
Volontà che fuggono e s'intrecciano, desiderose di fuggire da una solitaria aridità dell'anima.
La bellezza dei monumenti e delle opere d'arte della Sicilia sono abbassate a infimo e orgoglioso elenco dei vantaggi della propria terra anche per una persona laureata e abbastanza colta come il barone Cefalù: il regista è allarmato che la cultura millenaria dell'isola venga liquidata in fretta e furia e sembra non aver avuto alcun importanza nella maturazione della società nel corso dei secoli. Le donne sono murate e imprigionate in casa e non hanno credito come gli uomini nella vita sociale, ma all'interno del nucleo familiare hanno una discreta considerazione che sembra emergere, però, solo nelle faccende puramente domestiche.
Qui la Chiesa si limita a "consigliare" di votare DC ("Vi esorto a dare il vostro suffragio a un partito che sia popolare, e cioè democratico e quindi rispettoso della nostra fede cristiana. Un partito, per concludere, che sia democratico e cristiano") e censura inequivocabilmente il sesso; le ideologie del PCI invece, che dovrebbero essere innovative e creative, stagnano oziosamente e inutilmente.
Nonostante l'apparente pace del complesso familiare, all'interno di esso prendono forma criminose pulsioni interne sedate con grande fatica, che scuotono inevitabilmente e indirettamente l'equilibrio dei rapporti umani. Le pulsioni si manifestano in desideri di completa distruzione della rigida situazione gerarchica verso forme più libere di composizione familiare, svincolate da anchilosate norme e precetti.
Ma l'invisibile ordine costituito è troppo solido e tentare di sovvertirlo equivarrebbe al proprio annientamento sociale.
La pulsione che prende forma in Cefalù è quella di eliminare definitivamente la moglie Rosalia, colpevole solamente della sua bruttezza e della sfioritura degli anni. Così il barone ordisce il delitto per evitare troppi anni di carcere: se Rosalia viene colta in flagrante con un altro uomo il "delitto d'onore" è giustificato e il reo ha una pena minore.
Nonostante il barone sia realmente innamorato della cugina Angela (amore espresso pateticamente comunque) e per questo pensi di fuggire dall'arretratezza, dalla mediocrità, dai monotoni e banali discorsi della moglie che vertono esclusivamente sul cibo (e quindi da ciò che considera primitivo della sua regione), Cefalù non fa altro che incrementarlo con la sua ottusa testardaggine: il meccanismo diventa una faida sociale perfetta e interminabile che si giustifica nella sua ipocrisia con l'utopia di un vero amore. Nel tentare di sfuggire al rigido e complesso sistema di usanze e costumi siciliani Cefalù non fa altro che idearne un altro, più primitivo e spietato, che tende a piegare indebitamente la legge e le istituzioni a suo favore.
Forse è meglio l'ignoranza genuina della moglie che l'aulica falsità delle parole dell'avvocato di Fefè, che non trovano punti di contatto con la gente comune.
Il ricorrere a primi piani dei difetti fisici e dei tic di Cefalù, inconsapevolmente ridicoli, rimanda ai vizi della Sicilia, una Sicilia che quando si guarda allo specchio si disconosce e non riesce a compatirsi per un orgoglio e una vanità congenite.
Ovviamente per Germi, regista genovese impegnato e indignato, la Sicilia non è altro che un escamotage, una metonimia per rappresentare l'Italia intera, colma di contraddizioni e ingiustizie.
Un film che ha rivoluzionato la commedia e di cui ancora oggi rimane intatta l'eccezionale verve comica.
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Recensione a cura di Marlon Brando - aggiornata al 28/03/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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