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Il film, uscito nel 1951 e tratto dai racconti di Giovanni Guareschi, segna un altro passaggio del filone neorealista. Il regista a cui viene affidata la storia è il francese Julien Duvivier così come francese è il protagonista principale, il simpatico attore leggero Fernandel. Ci si trova così davanti ad una coproduzione, il neorealismo esce dai confini tutti nazionali per tentare un gemellaggio con i cugini d'oltralpe ai quali spesso ci si rivolgerà negli anni a venire per molte altre pellicole di successo di produzione prevalentemente italiana.
Molti attori (tra i tanti l'anziana Vera Carmi nel ruolo di una maestra in pensione) vengono da una tradizione teatrale e anche questo segna il passo con l'abitudine portata avanti negli anni precedenti di "lanciare" molti attori non professionisti destinati tante volte a scomparire dopo aver assaporato brevemente il gusto del successo; non si usa il dialetto che rimane solo come cadenza a dimostrare le origini dei personaggi e, caratteristica di questo film e di quelli che verranno ad esso correlati, viene aggiunta una sfumatura fantastica: il parroco del paesello ha l'abitudine di conversare con il crocefisso della chiesa e di riceverne risposte.
Questa sfumatura decisamente poco affine al mondo neorealista non è però totalmente nuova. Anzitutto occorre dire che l'idea è dello scrittore Guareschi quindi non originale nella sceneggiatura, poi, è d'uopo citare un esempio illustre di uso del fantastico nel cinema di matrice neorealista nel celebre film "Miracolo a Milano" di Vittorio De Sica, contemporaneo all'uscita di "Don Camillo". Il neorealismo "tout court" comunque, agli inizi degli anni Cinquanta, ha esaurito il primo filone per incanalarsi in quello più leggero a metà strada tra la commedia e il cinema rosa che negli anni immediatamente successivi darà origine a pellicole di grande successo come "Pane, amore e fantasia" e "Poveri ma belli".
Tornando all'analisi della pellicola di Duvivier, occorre dire che la scelta di trasporre sullo schermo più racconti di Guareschi ha portato a qualche inevitabile pausa e slegatura ma, d'altro canto, lo sviluppo delle storie può risultare egualmente assai gradevole con un'alternanza di episodi comici e drammatici. Gli attori sono tutti ben misurati: c'è da segnalare il giovane Franco Interlenghi scoperto ancora adolescente da De Sica in "Sciuscià" qui al suo primo ruolo da adulto mentre la presenza femminile pur affidata a solide interpreti è comunque assolutamente di second'ordine.
La parte del leone la fanno i due protagonisti assoluti della vicenda: l'emiliano Gino Cervi, truccato a mò di Stalin con baffoni e cipiglio nel ruolo del sindaco comunista Peppone e il francese Fernandel coadiuvato splendidamente dal doppiaggio di Carletto Romano (voce anche di Jerry Lewis e Hitchcock). Quest'ultimo, pur non italiano, è riuscito a calarsi in maniera impeccabile nel suo personaggio tanto da finire coll'essere identificato con esso nell'immaginario collettivo. I tentativi di rifare don Camillo ad opera di altri interpreti pur bravi e volenterosi come Gastone Moschin e Terence Hill sono infatti miseramente naufragati, consacrando quindi i primi film ispirati al ciclo di Guareschi nell'olimpo della cinematografia nazionale.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 17/07/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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