Recensione e ora dove andiamo? regia di Nadine Labaki Francia, Libano 2011
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Recensione e ora dove andiamo? (2011)

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locandina del film E ORA DOVE ANDIAMO?

Immagine tratta dal film E ORA DOVE ANDIAMO?

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Immagine tratta dal film E ORA DOVE ANDIAMO?

Immagine tratta dal film E ORA DOVE ANDIAMO?
 

Donne vestite di nero strette strette camminano mestamente lungo una stradina polverosa e desolata di campagna, poi improvvisamente iniziano mosse di ballo: inizia così il nuovo film di Nadine Labaki, la talentuosa attrice e regista libanese esplosa pochi anni fa con il fenomeno "Caramel".

Stavolta l'azione non è nella capitale del Libano, la sgangherata e multietnìca Beirut, ma in un isolato paesino dell'entroterra dove il segnale televisivo è difettoso e dove musulmani e cristiani convivono pacificamente: le donne cuciono e ciacolano insieme, la moglie del sindaco islamico è devota della Madonna, la proprietaria dell'emporio-bar locale (la stessa regista) sogna romanticamente di ballare con l'aitante imbianchino arabo, mentre Imam e Parroco, dirimpettai, curano in reciproco rispetto le loro anime.

Il paesino è talmente isolato dal resto del paese che per riuscire a captare il segnale televisivo i giovani del luogo muniti di una parabola gigantesca quanto arcaica riescono a trovare una flebile possibilità sotto gli ulivi a parecchi chilometri di distanza dal centro abitato e così, una sera, tutti insieme cristiani e muslmani si ritrovano davanti al preistorico e mastodontico televisore prestato dal sindaco, uno dei pochissimi notabili del villaggio a guardare dei film un po' indecenti con qualche bacetto di troppo e dei documentari sugli animali.

Casualmente la televisione captata in campagna (allegoricamente mezzo diabolico che semina zizzania come il mitologico vaso di Pandora) riporta le notizie relative a una ripresa del conflitto etnìco in Libano dando la stura a dissidi tra gli abitanti di sesso maschile di diversa fede malgrado l'opposizione chiassosa delle donne del villaggio, ribellione che ricorda le commedie greche del buon Aristofane (vedasi Lisistrata e compagne che inscenarono uno sciopero del sesso per far rientrare una guerra lunga e sanguinosa).

A metà tra la commedia e il musical, con momenti corali molto belli, ma anche con scene drammatiche commoventi e piene di pathos (la morte del ragazzo cristiano e la disperazione della madre dolente che si accanisce contro la statua della Vergine), il film esamina l'eterna conflittualità che da decenni insaguina e piega il Libano con l'occhio delicato proprio dell'animo femminile: le donne cercano in tutte le maniere di fermare l'esacerbata tendenza ad agire sconsideratamente propria dei compagni, giungendo al paradosso di scambiarsi i ruoli: le cristiane indossano i veli scuri e iniziano a inginnocchiarsi verso la Mecca, mentre le islamiche si riempiono di statue della Madonna e inducono i figli, ingenui e tutto sommato con il culto arcaico della Madre, a ripetere le medesime azioni.

Messaggio implicito ed esplicito a un comportamento di fratellanza e unità non in nome di una fede, ma della pacifica convivenza tra popoli come testimonia la scena finale che dà il titolo alla pellicola: ormai nuovamente resi fratelli dallo scambio di religioni delle donne, gli uomini portano a spalla la bara del giovinetto ucciso poco fuori dal villaggio e, davanti al piccolo camposanto interetnìco non sanno più dove posare il defunto perché non vedono più differenze tra musulmani e cristiani.

Recitazione a tratti enfatica, tipicamente medio-orientale, fotografia non perfetta, ma nonostante le minime sbavature, il film è un altro punto a favore della Labaki. Consigliato.

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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 14/06/2012 15.31.00

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