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Il diciannovesimo titolo della filmografia di Tony Gatlif, vincitore del premio per la miglior regia a Cannes 2006, ad una attenta rilettura si rivela un'opera estremamente importante, specialmente in un periodo come quello che stiamo vivendo, in cui gli egoismi, le paure, i calcoli politici, l'integralismo estremista di fronte al diverso o al non omologato tentano di contrapporre le culture e ne indicano alcune come fossero il "male", rendendoci così orfani di altre storie ed altri volti, altri suoni, altre etnie, altri luoghi, altre esperienze.
"Exils" nasce perciò dall'esigenza del regista di stimolare il pubblico a guardare al di là dell'orizzonte, per portarci in un luogo dell'anima dove ognuno di noi può diventare veramente se stesso e può riappropriarsi delle proprie radici e delle proprie origini.
Un luogo in cui ognuno di noi può dismettere il dolore e rinascere più completo e purificato.
La magia di "Exils" nasce dalla forza metaforica delle immagini, dalla ossessiva bellezza della musica, dall'esaltazione degli spazi e dei colori, dal linguaggio dei corpi nudi di Zano e Naima, fragili e indifesi di fronte al luogo-esilio che li ha fatti diventare adulti ma li ha resi fragili, e per questo determinati a riappropriarsi del luogo-grembo che li ha partoriti.
Partendo da una Parigi periferica ed emarginante, Tony Gatlif fa compiere ai due protagonisti un viaggio a ritroso rispetto a quello fatto dai loro genitori anni prima, alla ricerca della loro memoria perduta, in fuga da se stessi, fino a quando non ne saranno totalmente riassorbiti, per tornare forse più nuovi, sicuramente diversi, non più algerini, mai completamente francesi.
La scena si apre con Zano e Naima nudi, a significare la sensualità della carne e il dolore di ferite mai sanate, come se la nudità dei loro corpi fosse anche la nudità delle loro anime.
Zano è un pied-noir, nato in Algeria, figlio di francesi che hanno dovuto abbandonare Algeri dopo l'indipendenza; lei, Naima, è algerina, figlia e nipote di emigranti alla quale non è stato insegnato nemmeno l'arabo; entrambi sono orfani, lui per disgrazia, lei per scelta.
Nudo, ripreso di spalle, Zano guarda fuori dalla finestra la città del loro disagio e della loro emarginazione in cui non riescono a trovare la loro reale collocazione, e mentre una musica techno si diffonde per la stanza un'idea gli attraversa la mente: "Partiamo per Algeri", le dice.
Nessuno dei due sa nulla di quella terra lontana, nessuno dei due la conosce; forse riusciranno ad averne la percezione solo quando arriveranno a conoscere la propria anima e i contorni delle loro identità.
Ha così inizio il viaggio di Zano e Naima, un viaggio alla scoperta della loro identità perduta, esattamente opposto a quello compiuto dai loro genitori tanti anni prima, costretti a lasciare il paese nordafricano, esattamente opposto a quello dei tanti esuli che incontreranno durante il viaggio, che lasciano la famiglia e la loro terra in cerca di fortuna in Europa.
Un viaggio che, come tutti i viaggi che contano, sarà fatto di musica e di libertà, di avvenimenti e di scoperte, di sensualità e di colori, che servirà ai due ragazzi per liberare i loro corpi e la loro anima dai condizionamenti e dai pregiudizi occidentali, sarà un viaggio da compiere un po' a piedi e un po' con mezzi di fortuna, sbagliando anche direzione (come la nave che, invece di condurli in Algeria, li sbarca in Marocco), ma liberatorio ed emancipatore.
Dopo la partenza da Parigi la coppia approda a Siviglia, dove si lascerà sedurre dalle note sensuali del flamenco andaluso (ascoltato nella famosa Carboneria di Siviglia), prima di imbarcarsi sulla nave sbagliata che li porta in Marocco. Da lì, con un viaggio avventuroso attraversano la frontiera chiusa tra i due paesi, eccoli finalmente ad Algeri, dove affronteranno le ombre del loro passato prima di potersi riappropriare delle loro vite.
L'esperienza del lungo viaggio nomade appena concluso li ha segnati, anche se in modo diverso: Zano lo ha vissuto con occhi curiosi, incantato dalla sinfonia dei paesaggi, inebriato dalla sensualità del corpo di lei, e quando finalmente riapre la casa natia, lacrime liberatorie righeranno il suo volto e bagneranno le sbarre della prigione che lo ha tenuto prigioniero; Naima è pù istintiva, più passionale, più "selvaggia" ma al tempo stesso più innocente; vive ogni attimo del viaggio con più disincanto, forse perchè è lei ad avere nell'animo le ferite più profonde, si lascia vivere ed è più scettica nel riappropriarsi di un passato che non sente completamente suo.
Quando si ritroveranno in una casa di Algeri, i due ragazzi, e maggiormante Naima, si sottoporranno volontariamente al rituale purificatorio della cerimonia sufi (cerimonia mistica dell'Islam), un rituale suggestivo accompagnato da una musica ossessiva che li porterà a raggiungere uno stato di trance che, in un vero e proprio delirio liberatorio, li allontanerà definitivamente dai loro fantasmi e li porterà a recuperare finalmente la loro identità.
La storia di Zano e Naima, antropologica e musicale insieme, è anche la storia di Tony Gatlif, algerino, maghrebino, gitano, europeo di spirito ma non di intelletto, alla ricerca incessante dei valori e della cultura mediterranea della sua gente, una cultura antica di millenni e generata dai continui rimescolamenti di popoli che quel mare ha unito più che separare.
Bellissime e di atmosfera alcune sequenze veramente memorabili come quella di Parigi, quando l'occhio della macchina da presa spazia sui tetti della vasta periferia della città e il protagonista guarda il mondo al di là della finestra come a cercare la sua collocazione in un mondo non ancora completamente suo.
Molto bella anche la scena nella piazza di Siviglia, con la luce dell'alba che illumina il selciato ricoperto di lattine vuote e sensualmete suggestiva quella del frutteto quando, sotto una pioggia che li bagna, il gesto di mangiare alcuni frutti assume una valenza talmente erotica, come fosse un primordiale atto d'amore. Cruda la visione di Algeri ferita dal terremoto e toccante la scena in cui Zano ritrova miracolosamente integra la casa paterna, con le foto della sua famiglia ingiallite dal tempo ancora al loro posto.
Ma la vera scena clou rimane quella del rito sufi, coinvolgente, sensuale, ipnotico, nel quale Zano e Naima mettono a nudo le loro anime per ritrovarsi più puri e più completi, e nella quale Gatlif condensa il messaggio principale che ci vuole lanciare: riappropriarci della nostra razionalità e poi guardare giù, dentro di noi, per liberarci da paure, da inibizioni, da condizionamenti che soffocano la nostra identità e il nostro essere.
Una scena lunghissima e trascinante, che può anche risultare sgradevole ma che sicuramente non lascia indifferenti, nella quale Gatlif dà un saggio delle sue capacità stilistiche nell'esaltare volti, espressioni, suoni, atmosfere che erompono da quel rituale atavico; capacità che sono molto lontani da certa filmografia occidentale, alla quale siamo ormai assuefatti, ma non per questo meno intense.
Un film sul ritorno di coloro che sono stranieri ovunque, in fuga da sè stessi e verso sè stessi, di coloro che si sentono esiliati nel mondo, in uno stato di solitudine interiore che si annida nelle profondità del loro essere.
Un film che è la storia di un viaggio on-the-road, al ritmo avvolgente della musica (in parte composta dallo stesso Gatlif in cui ha riversato le sue origini nomade e gitane), che è più di un semplice viaggio alla ricerca di qualcosa di noi, è un viaggio di iniziazione alla cultura di un popolo, cultura che non è mai sbagliata o arretrata, ma semplicemente diversa, sbagliati sono gli uomini e le loro azioni.
Nama ha il volto dell'attrice di origini marocchine nata in Belgio Lubna Azabal, mentre Zano è interpretato dal francese Romain Duris, che si avvia a diventare vera e propria icona del cinema di Tony Gatlif. È stato, infatti, Stéfan, lo studente protagonista di "Gadjo-dilo Lo straniero pazzo", un'altra storia di un altro viaggio on-the-road sulle note della musica di una musicassetta, alla ricerca della cantante Rom che l'ha incisa.
"A Parigi c'è tutto, ma non per tutti", dicono Zano e Naima agli emigranti arabi incontrati lungo la strada. Ed in effetti a Parigi c'è tutto, ma tutto quello che avevano a Parigi Zano e Naima erano tanto sesso e un po' di birra in una squallida stanza di un palazzone di periferia; ora, forse, ad Algeri ritroveranno un po' di se stessi e di calore umano.
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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 01/02/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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