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La frase finale del film, che recita «è difficile dire se il mondo in cui viviamo è sogno o realtà», è studiata apposta per lasciare nello spettatore molti dubbi sull'interpretazione dell'opera.
La storia - quasi del tutto priva di dialoghi, del tutto senza parole fra i protagonisti, salvo un significativo «ti amo» pronunciato da lei – si svolge per buona parte all'interno di case che il ragazzo da solo prima, in compagnia di lei poi, viola senza nessun fine illecito se non quello di trovare rifugio per qualche ora, il tempo di rifocillarsi e dormire, ricambiando poi per l'ospitalità ricevuta facendo il bucato e riparando gli elettrodomestici rotti.
Quale sia il senso di questi peregrinaggi non è chiaro: indubbiamente c'è un grande fascino nell'entrare nell'intimità delle persone, nello scoprire il loro mondo senza essere invitati, sebbene questo non emerga del tutto dal film. A parte un grande interesse per tutti i congegni presenti nella casa, il ragazzo non sembra dimostrare particolari curiosità né ricavare grandi insegnamenti dalle visite che effettua. Sicuramente lui soffre a causa di un enorme senso di straniazione rispetto al mondo che lo circonda e, per qualche sua intima ragione, ha deciso di chiudere qualsiasi contatto con l'esterno. Persino quando viene arrestato rifiuta caparbiamente di spiegare il fatto occorso, cosa che lo mette nei guai molto più del necessario.
L'incontro con la ragazza assume fin dall'inizio il significato di un percorso iniziatico, che termina con la totale sublimazione del loro amore, un amore capace di sconfiggere qualsiasi situazione avversa e di elevarsi oltre la volgarità del mondo.
La sensazione finale è quella di un film anarchico, o meglio di personaggi anarchici che rifiutano qualsiasi soluzione basata sul comunicare e spiegare le proprie ragioni, l'autismo caparbio di chi non ha alcuna fiducia negli esseri umani perché ne ha incontrati sempre e solo di estremamente cattivi.
Mirabile, come sempre, la regia di Kim Ki-duk, autore coerano che ha scoperto tardi la sua vocazione filmica, riuscendo in questo modo a darne un'interpretazione del tutto personale, fuori dagli schemi. Straordinario il suo precedente film, "Primavera, estate, autunno, inverno...e ancora primavera" (titolo originale "Bom, Yeo-reum, Ga-eul, Gyeo-ul, geu-ri-go Bom"), originalissimo nell'indagare le pulsioni umane, dalla crudeltà dei bimbi, alla sensualità incontenibile della giovinezza, alla maturità e alla calma accettazione della vita dell'età adulta e della vecchiaia.
Rispetto a questa prova di grande maturità registica e autoriale, "Ferro 3" sembra uno di quei tanti film, troppi ormai, pensati per il mercato occidentale, che ricavano la loro ispirazione dai luoghi di origine (oltre alla Corea, l'Iran per esempio) e la trasmutano soltanto ai fini di stupire o incantare un certo pubblico d'essai.
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Recensione a cura di Susanna! - aggiornata al 12/01/2005
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