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"Esistono in questa società molte cose che io non vorrei respingere del tutto [...] quello che però rifiuto nel modo più completo è il modo in cui questa società è organizzata, il modo in cui essa sperpera ed abusa delle proprie risorse, il modo in cui accresce la ricchezza di una parte della popolazione e allo steso tempo non si preoccupa di fare praticamente niente contro la cruda povertà esistente in vaste aree del pianeta."
(H. Marcuse)
Nel corso degli anni '60 tutto l'occidente fu scosso da un'ondata di protesta (o, se vogliamo chiamarla, di ribellione) antiautoritaria, che investì i valori di una società individualista e conformista che stentava a mutare; si rifiutò la repressione e l'autoritarismo delle vecchie generazioni, in nome di un mondo più libero e pacifico. Il movimento di protesta perseguiva valori egalitari, anti-borghesi, anti- autoritari e anti-militaristi, sull'onda degli ideali espressi dal filosofo americano di origini tedesche, Herbert Marcuse; e rigettava i modelli tradizionali di vita imposti dalla politica, dalla religione, dalla scuola. La contestazione globale mise insieme classi e ceti; investì il mondo del sapere, la morale e i rapporti umani; sovvertì un modello culturale, sconvolse un costume, rifiutando totalmente uno stile di vita e soprattutto quelle istituzioni finalizzate a trasmettere modelli di disciplina, per loro natura rigidamente repressive o fondate su principi fortemente gerarchici, come l'esercito, la polizia, la magistratura, la chiesa, i partiti; istituzioni che furono fortemente contestate e violentemente rifiutate.
Nacquero tentativi di creare cellule di strutture dove era messa al bando ogni forma di autorità: la comune al posto della famiglia; la democrazia partecipata in luogo di quella rappresentativa; l'impegno personale invece della delega; i comitati e le assemblee al posto della burocrazia di partito. Tutte forme che finirono per mettere in crisi tutte quelle figure sociali in cui si significava l'autorità: il padre, il poliziotto, il giudice, il militare, il rappresentante della chiesa, il professore, il caporeparto. Oggetto della contestazione fu anche (e, forse, principalmente) la società dei consumi, che proponeva come modello di riferimento, l'economia capitalista e il valore del denaro.
Videro la luce così i primi movimenti di opposizione, come quello degli studenti, che, nelle aule scolastiche confutavano l'autorità dei professori, e, più in generale, tutto l'impianto del sistema scolastico, considerato obsoleto e classista; o come quelli degli operai, che, nelle fabbriche rifiutavano l'organizzazione del lavoro e i principi dello sviluppo capitalistico, basati sulla ricchezza, il successo e il profitto, veicolati dal potere dei mass-media che anteponevano all'individuo il guadagno e l'efficienza lavorativa.
Altri movimenti che si sono sviluppati contemporaneamente a quello degli studenti furono i movimenti che contestavano le discriminazioni sessuali, il movimento femminista, e quello di liberazione omosessuale, che rivendicavano la libertà di vivere liberamente il loro orientamento sessuale; oltre a quelli che rivendicavano i diritti civili per i neri e le altre minoranze etniche, che contestavano qualunque emarginazione basata sulla razza o sul colore della pelle.
Caratteristica comune ai diversi movimenti fu il collegamento al movimento pacifista che si batteva contro la cultura della guerra e soprattutto contro l'impegno militare in Vietnam, intrapreso dal Governo americano, che temeva l'espansione del comunismo in tutto il continente asiatico.
L'opposizione alla guerra in Vietnam segnò uno dei maggiori momenti di rottura all'interno della società degli Stati Uniti e costituì l'elemento chiave che portò all'aggregazione dei movimenti di protesta in tutto il mondo; mentre con l'incarico di ricerca commissionato alle Università per la produzione di armi da inviare nel Paese del Sud-Est asiatico, il movimento assunse carattere più politico, entrando nelle aule scolastiche e determinando l'occupazione delle principali Università.
Proprio da uno di questi episodi prende l'avvio il film di Stuart Hagman, un regista televisivo che diresse solo un altro film per poi tornare alla sua attività di documentarista per la tv.
Prima di entrare nel merito del film, però, è opportuno soffermarsi un momento sul titolo originale del film, "The Strawberry Statement", cioè "La dichiarazione delle fragole", dove le fragole sono gli studenti in rivolta, che prende spunto da un’infelice affermazione di un rettore americano riguardo le continue rivendicazioni studentesche il quale, richiesto di un parere sulle occupazioni, infastidito rispose: "Non mi preoccupo degli studenti più di quanto mi preoccupo delle fragole".
La traduzione italiana, invece, per una volta molto più efficace del titolo originale, è più aderente alla morale del film, perchè oltre alle fragole del rettore fa riferimento al sangue che di li a poco avrebbe macchiato la protesta degli studenti.
Protagonista del film è un ragazzo ventenne, Simon, studente universitario e appassionato canoista. Simon vive il malcontento che sta montando nel suo College con distacco e indifferenza; solo un pizzico di ribellismo che manifesta in solitarie e brevi elucubrazioni sul divano della residenza universitaria in cui vive insieme ad un suo coetaneo.
Fino a quando, spinto dall'interesse sentimentale che nutre per Linda, una militante attiva, non si avvicina al movimento di protesta.
Il pretesto che la innesca è la destinazione di un campo da gioco, prima riservato agli afro-americani della zona, all'addestramento delle reclute da inviare in Vietnam. Spinto dalla curiosità, più da cineamatore che da contestatore, si reca allora nei pressi dell'Università armato della sua cinepresa per filmare quel che accade intorno. Ma poi il suo sguardo cade sulla ragazza che da tempo cerca di abbordare, ed è colpo di fulmine: si intruppa tra gli studenti che intendono occupare la facoltà, poi entra nel gruppo incaricato di procurare il cibo, di cui Linda è uno dei leader.
Poi, però, l'onda della contestazione si allarga a temi più vasti, e il ragazzo comincia a prendere coscienza delle ragioni della protesta. Va a trovare un amico pestato dalla polizia, durante gli allenamenti lo chiamano, spregiativamente, "comunista" ma lui non ci fa caso; insomma l'occupazione diventa motivo di crescita e palestra di vita. Poi arriva il fatidico giorno in cui l'Università deve essere sgomberata.
Più volte intimati di allontanarsi gli studenti si oppongono passivamente. Ma la polizia non scherza, e come vuole il meccanismo perverso della repressione, quando fa irruzione all'interno dell'Università, per portare via con la forza i manifestanti, è la fine della "dichiarazione delle fragole".
E nella scena finale, quando gli studenti disposti in cerchi concentrici a cantare la struggente "Give peace a chance" di John Lennon, in attesa della carica della polizia, le note lasciano il posto alle urla dei feriti, ai colpi dei manganelli, alle sirene delle autoblindo (i picchiatori della Caserma Diaz di Genova devono aver visto e rivisto tante volte questo vecchio film, per farne un remake da dedicare ai nostri politici di turno).
Ed è mattanza di "fragole" e di ideali.
Il fermo immagine prima del "The end", con Simon che comincia a menare le mai, anticipa quello che negli anni successivi ne sarebbe venuto. E non solo in America.
Tipico prodotto della New Hollywood degli anni '70, "Fragole e sangue", più che le giuste cause degli studenti, vuole evidenziare due cose: da una parte l'inconciliabilità tra l'ideologia pacifista e la violenza connaturata allo spirito americano, e dall'altra la straordinaria determinazione morale che guida le azioni degli studenti, tipica prerogativa dell'età giovanile, destinata col tempo ad affievolirsi, fino ad annullarsi nel conformismo e nell'opportunismo dell'età adulta.
Certo è sempre stato un privilegio dell'età giovanile "essere contro". Essere contro tutte le storture del mondo, contro le ingiustizie, le discriminazioni, le guerre, le violenze. Ma hanno sempre lasciato il tempo che trovavano. In quegli anni, invece, si ebbe paura di loro: si ebbe paura che davvero riuscissero a cambiare le cose, che riuscissero a sovvertire l'ordine costituito, che soffiasse impetuoso quel vento di cambiamento capace di spazzare via governi e sistemi politici, in nome di una trasformazione radicale della società.
Si ebbe paura delle teste pensanti di quei ragazzi con un grado di coscienza fuori dalla norma, ma con la costante di una certa dose di determinazione e di sperimentazione.
Erano un mosaico variegato e multiforme di saperi e di agire, quei ragazzi, capaci di discutere e di comportarsi, di dubitare e di sperimentare.
Vi erano i leader e i politicizzati, le femministe e le infatuate degli "eroi", ma tutti con una forte coscienza politica e una personalità carismatica anche nelle loro contraddizioni, capaci di spogliare la vita da tutte le ipocrisie che soffocavano le famiglie, la scuola, la società.
"Fragole e sangue" mette in scena proprio questo microcosmo giovanile, determinato eppure fragile, risoluto eppure effimero, un albero rigoglioso che non ha fruttificato.
La regia di Hagman conferisce al film un'impronta documentaristica, non priva però di tocchi personali, e di abilità nell'uso della macchina da presa, specialmente nelle inquadrature dall'alto o nelle riprese circolari, negli insistiti zoom o nelle tante situazioni molto spettacolari, che conferiscono all'opera una sua originalità e un'altrettanto personale vivacità intellettuale, e caratterizzano uno stile non molto sofisticato, ma capace di far rivivere allo spettatore, con assoluta fedeltà, l'atmosfera che si respirava in quegli anni '60 - '70, e la vivacità d'ingegno che animava la gioventù dell'epoca.
Lo spirito di creatività, la fucina delle idee, la dedizione politica, la smania di ribellione, il sostegno convinto all'antimilitarismo, furono tipici di quella gioventù e di quella stagione; che non fu poi tanto dissimile da quella attuale, soprattutto per ciò che riguarda l'anelito di libertà, che ancora sentiamo nostra, ma non certo per ciò che riguarda l'impegno civile delle nuove generazioni, poco propense a farsi coinvolgere per cercare di migliorare le condizioni di vita e la società in cui viviamo.
Ricco di metafore, (pensiamo ai tanti fili spinati o alla riprese attraverso le sbarre, simboliche affermazioni di libertà) e di immagini iconografiche (dai muri delle aule campeggiano le foto sia di Bob Kennedy che di Che Guevara, di Mao come di Fidel Castro), di slogan e di parole d'ordine, "Fragole e sangue" è forse il più letterale dei film sul sessantotto americano, e conserva ancora, nelle sue varie sfaccettature, una notevole forza magnetica e le pieghe dei ricordi di un futuro che non si è concretizzato.
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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 07/06/2010
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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