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Ann e George, con il figlioletto Georgie, si dirigono verso la loro casa sul lago, per trascorrervi un periodo di vacanza. Una volta arrivati sul posto, l'intera famiglia sarà presa in ostaggio da due ragazzi, che si sono introdotti in casa loro con una scusa.
I registi che hanno realizzato remake dei loro film si contano sulle dita di una mano.
Alfred Hitchcock ha rifatto "L'uomo che sapeva troppo", ma non l'ha certo riproposto tale e quale come ha fatto Haneke con questo "Funny Games U.S.".
Si solleva allora la seconda eventualità, ossia quella del remake che clona l'originale, come ha fatto Gus Van Sant nel suo warholiano "Psycho", seppure anche in questo caso non mancassero degli scarti, minimi ma significativi.
Questa volta la sceneggiatura e le inquadrature restano le stesse, compresa la scena del rewind, ma cambiano gli attori, con Naomi Watts, Tim Roth e Michael Pitt al posto di Susanne Lothar, Ulrich Muhe e Frank Giering.
Haneke ha dichiarato di aver realizzato questa versione per rendere il film accessibile anche al pubblico degli Stati Uniti, vista la scarsa diffusione negli USA della prima pellicola del 1997, aggiungendo che, essendo il film una reazione alla sconsiderata rappresentazione della violenza nel cinema americano, quello doveva essere il pubblico d'elezione del suo astratto teorema.
Ma qual è l'originale e qual è la copia? A parte mettere in crisi la nozione stessa di unicità dell'opera, possiamo dire che Haneke ha paradossalmente realizzato un secondo "originale", dando vita ad uno spazio eccentrico.
Le due opere si sovrappongono così l'una all'altra fino al punto di fusione, strutture identiche semplicemente abitate da corpi diversi, che creano un unico testo.
Deliberato quanto gelido esercizio di sadismo ai danni dello spettatore, "Funny Games" è una critica austera alla società dello spettacolo, quasi una versione più ascetica e rigorosa de "Il cameraman e l'assassino" di Belvaux, Bonzel e Poelvoorde, che al principio si guadagnava la complicità dello spettatore voyeur, per poi freddarlo con un finale di violenza inusitata, evidenziandone il colpevole coinvolgimento.
I frequenti ammiccamenti di Michael Pitt alla macchina da presa hanno infatti il compito di coinvolgere lo spettatore in prima persona, e quindi renderlo parte in causa se non addirittura accusarlo di collaborazionismo con le crudeli efferatezze che stanno per essere messe in scena.
La scelta di mantenere la violenza fuori campo non fa che accrescerne l'orrore, così come la decisione di limitare al minimo i movimenti di macchina, tanto che la lunghissima inquadratura a camera fissa di Ann, in salotto con il televisore acceso, è ai limiti con l'insostenibilità emotiva.
I due ragazzi significativamente hanno nomi fittizi e sarcastici come Peter e Paul, oppure quelli che sono loro concessi dai cascami della cultura pop americana, come Tom e Jerry o Beavis e Butt-Head, mentre Haneke calca la mano riducendo a brandelli tutti i clichè della sociologia spicciola che si usano al cinema in questi casi per giustificare comportamenti devianti, come abusi familiari, tossicodipendenza e quant'altro.
Sottilmente compiaciuta, ed anche un po' didascalica, la famosa scena del riavvolgimento con il telecomando, che evidenzia lo iato tra realtà e fiction o, se vogliamo, tra materia e anti-materia, come sottolineano i due soavi sociopatici nel dialogo che chiude il film.
Se "Funny Games U.S." sembra porre maggiore attenzione sulla figura di Ann, è solamente per le maggiori qualità di una sempre straordinaria Naomi Watts, ma bisogna dire che il mellifluo predatore disegnato da Michael Pitt non è da meno.
Impeccabilmente fotografata da Darius Khondji, l'ennesima aggressione (come altro qualificare "La pianista" o "Cachè"?) di Haneke allo spettatore colpisce nel segno anche stavolta, pur rimanendo nei limiti del film a tesi, mentre persino la colonna sonora si trasforma in una zona di guerra: John Zorn e i Naked City contro Handel e Mozart.
Volendo, si potrebbe aggiungere che il regista austriaco rovescia le conclusioni di Peckinpah in "Cane di paglia". Se nel film del regista americano la violazione dello spazio domestico innescava una regressione dell'uomo "civilizzato" ad uno stato primitivo, in "Funny Games" è proprio la patina di civiltà e di educazione dei due ragazzi ad inibire qualsiasi reazione, a dimostrazione del fatto che, talvolta, le buone maniere uccidono.
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Recensione a cura di Nicola Picchi - aggiornata al 29/09/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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