Recensione giu' al nord regia di Dany Boon Francia 2008
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Recensione giu' al nord (2008)

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locandina del film GIU' AL NORD

Immagine tratta dal film GIU' AL NORD

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Immagine tratta dal film GIU' AL NORD

Immagine tratta dal film GIU' AL NORD
 

Un direttore delle poste viene trasferito al Nord della Francia per aver barato su una presunta minorazione pur di farsi inviare in Costa Azzurra per compiacere la moglie. Teme di trovare al Nord un ambiente ostile, arretrato e volgare, per stupidi preconcetti; al contrario, ci troverà un mondo sorprendentemente caloroso, amichevole ed ospitale. Da rimpiangere fino alle lacrime.

"Giù al nord" ha riportato in Francia un successo senza precedenti, salendo al primo posto assoluto di sempre per numero di spettatori; non c'è da stupirsi, perchè il film fa ridere davvero, e per diverse ragioni: sentire certi tipi di suoni diverte in qualsiasi lingua e contesto, come dimostra la tendenza dei bambini a storpiare le parole; alcune gag poi, più mimiche che recitate, sono irresisitibili ovunque e comunque, quelle che hanno garantito fama immortale ai vari Chaplin, Buster Keaton e Stanlio e Ollio.
Non dimentichiamo a questo proposito il precedente francese del geniale Tati, maestro di una comicità più "visiva" che parlata, fondata su una sequela di gag sconclusionate, che riconducevano comunque al ridicolo del francese medio, nelle sue pochezze e nelle sue nevrosi; a confronto, nel dopoguerra, con una società sempre più frenetica e compulsiva (come il Paperino degli americani).
Non mancano poi altri elementi di una comicità più cerebrale, adulta e non più infantile, nel confronto tra epoche, contesti sociali e stili di vita differenti (che, mutatis mutandis, si riscontrano in tuttii Paesi). Tra città e paese, vita metropolitana e provinciale, generazioni precedenti e successive, partiti politici e classi sociali diverse, esistono dialettiche di fondo potenzialmente molto comiche: meglio riderne che farsi guerra, come insegnava Freud nel saggio sul "Motto di spirito per gli ebrei"; e come succede in tante opere comiche, dove i neri scherzano per primi sul colore della propria pelle e terroni e polentoni si prendono bellamente in giro tra di loro.

Perché l'ironizzare sui nostri difetti ci aiuta ad esorcizzare i sensi di inferiorità conseguenti e i sensi di inadeguatezza, fonti principali di sofferenze e nevrosi: per questo ridere fa bene, e ben vengano film come "Giù al nord", capaci di farlo.
Onore al merito, dunque, perché è sempre più difficile far ridere che piangere, ricordando pure a questo proposito quanto i film su Don Camillo (con gli indimenticati Cervi e Fernandel) siano riusciti a stemperare nel riso la violenta dialettica di classe dell'Italia del dopoguerra.
E poi, Troisi docet, dove si ride si può anche riflettere su questioni serie.
All'interno di "Giù al Nord" tutti hanno riso per gli errori linguistici, le gag e i personaggi, trascurando però la tematica più seria e attuale del conflitto di coppia: coniugi che per salvare un'unione non hanno altra via che tenersi a distanza; senza dimenticare che il povero protagonista era stato spinto alla sua piccola truffa dalla pretenziosità isterica della (pur bellissima) moglie.

In Italia molti si sono stupiti per il successo di "Giù al Nord", sostenendo che la comicità del film sia troppo legata alla sua "francesità": per i tipi di personaggio, il contesto ambientale, e, soprattutto, la peculiarità della dizione in certe regioni del Nord, dove la lettera S viene pronunciata come SC (da cui il titolo originale "La terra dei ch'tis"). Anche perchè, da noi, le differenze linguistiche di regione in regione sono tali e tante da non fare nemmeno ridere; semmai possono indispettire, come quando si sentono giornalisti della nostra TV nazionale parlare in romanesco, o presunti intellettuali di ogni dove impiegare il "Te" come soggetto, al posto del doveroso "Tu".
Diverso in Francia, dove secoli di unità nazionale, grazie alle grandi monarchie del passato, hanno inculcato nella popolazione senso dello stato, rispetto dell'ordine civico e sentimenti profondi di unità nazionale, di cui l'omogeneità linguistica è componente fondamentale.
Ecco perchè i Francesi ridono, sentendo biascicare malamente la loro lingua, mentre gli italiani mostrano sovente segni di stizza (per molti settentrionali i capolavori di Troisi, in napoletano stretto, erano insopportabili perchè incomprensibili).

Per concludere, una citazione di merito agli attori, tutti perfettamente nella parte, anche grazie alla sapiente regia di Dany Boon, che recita pure nei panni del postino/campanaro.
Curiosa poi la somiglianza del protagonista Kad Kérad coi modi mimici e recitativi di Walther Matthau.

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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 02/12/2008

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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